Il panorama udinese dei cineclub da Guido Galanti ai giorni nostri: il Centro Espressioni Cinematografiche e il Far East Film Festival
Intervento al convegno “La frontiera nel cinema e nella storia” – Gorizia, 6-8 maggio 2024
Per
parlare del cineclubismo udinese bisogna partire
da Guido Galanti, che nel 1930 fondò il Cine Club Udine – il
terzo, in ordine temporale, in tutt’Italia (1). Accanto a lui
bisogna menzionare almeno Renato Spinotti (zio di Dante Spinotti). Il
Cine Club produce in 16mm nel 1934 il mediometraggio Giornate di
sole, una commedia diretta e interpretata da Galanti e fotografata da
Spinotti (con un cartello iniziale con l’angelo del colle di Udine
disegnato a mano e la scritta “La Galanti Film presenta”). Nel
1935, però, un decreto del regime
ordina che tutti i cineclub italiano debbano fare capo ai rispettivi
GUF (Gruppi Universitari Fascisti), e anche a Udine il Cine Club
diventa CineGuf.
Ciò
non impedisce a Galanti e al suo gruppo di realizzare altre due
commedie (rispettivamente, 19’ e 18’): nel 1937 A Villa Rosa è
proibito l’amore e nel 1938 Contro Vento (premiato alla Mostra di
Venezia nella categoria 16mm), opere leggere e ariose, quanto mai
lontane dall’illusione militaresca del regime. Nel 1943 Galanti
viene chiamato a Roma come ispettore di produzione del film Inviati
speciali di Romolo Marcellini; a chiamarlo è Asvero Gravelli,
un’interessante figura di gerarca attivo nel cinema, che era stato
a Fiume con Luigi Freddi, e che fra l’altro è sceneggiatore de
L’uomo della croce di Rossellini. Sarebbe potuta nascere una
carriera, ma l’8 settembre interrompe tutto e Galanti ritorna a
Udine.
Di
Giornate di sole, amabile commedia ambientata, dopo l’inizio girato
a Udine, a Lignano, è stato messo in risalto (Mario
Quargnolo,
Carlo
Gaberscek)
che il modello è Camerini. Non solo per il soggetto (un povero in
una compagnia di ricchi che si finge ricco) ma anche per alcune
riprese “meccaniche”, dall’auto in corsa, sia pure con i
piccoli mezzi consentiti. A Villa Rosa è proibito l’amore è più
mosso, forse meno chiaro all’inizio: c’è sempre una tendenza di
Galanti, anche nel documentarismo, a “stringere” un’inquadratura
in un tempo assai breve. Contro Vento è un divertito esercizio
metacinematografico, con un personaggio femminile, Luisa, “rapita”
due volte, nel film (per
farglielo interpretare)
e
nel film-nel-film in qualità di classica damsel in distress. Ma non
bisogna trascurare un bell’esempio della produzione di Galanti di
film fiabeschi di bambini, il brevissimo (3’) Il sogno di
Biancastella del 1942, che colpisce anche per il fascino del colore
Agfacolor. Con un montaggio un po’ (ma piacevolmente) sgrammaticato
nella scena di apertura, è un piccolo film sognante, al di là della
trama, e (forse a occhi odierni) malinconico. Non è Jacques Démy ma
lascia un grato ricordo.
Dell’opera
documentaristica di Galanti ricordiamo
La
liberazione di Udine (15’), del 1945, la cui prima sequenza mostra
il ritiro delle truppe tedesche dalla città: è girata
dall’appartamento di Galanti in Viale Venezia e si
possono vedere
le imposte nelle inquadrature, a
testimonianza della pericolosità;
e poi
Quattro passi per Udine (8’, 1953), in cui le riprese della città
sono vivificate dall’apparizione di conoscenti che salutano in
macchina. Uno fa il saluto fascista: distrattamente? per scherzo? Qui
viene opportuna la tendenza di Galanti a “tagliare” dopo un
secondo. Infine bisogna menzionare Il mio amico agricoltore (19’,
1958), si commissione della Federazione Casse di Risparmio delle
Venezie), opera didattica sul valore del lavoro, della scienza e del
risparmio in ambito agricolo, con un uso del sonoro che si alterna
fra la voce over e il dialogo.
Nel
1949 viene fondato il Circolo del Cinema, con al centro Rodolfo
Castiglione, e rinasce il Cineclub Udinese, con Adriano Degano,
Antonio Seguini de Santi e Walter Faglioni. Faglioni, grande cinefilo
e insegnante di dizione, è spesso lo speaker nelle numerose
produzioni amatoriali dell’epoca. Fra queste, è più volte
presente Elio Ciol (premiato con La Galleria Melonella, 1957), e si
forma in quest'ambito il direttore della fotografia Alessandro D’Eva.
Nel
1973 Giancarlo Zannier fonda il Centro Espressioni Cinematografiche
(CEC), con intenti produttivi: i ricavi delle rassegne e in seguito
dell'esercizio (con la gestione del cinema Ferroviario del DLF, che
prese il nome di Ferroviario d’Essai) servono a finanziare
l’attività di produzione di cinema indipendente. Fra le produzioni
documentarie possiamo ricordare Le brigate del fieno (1979), su un
lavoro di fienagione con connotati politici creato da Giorgio Ferigo
e organizzato dalla Federazione Giovanile Comunista, e Il cinema
gira, sull'attività itinerante del CEC con un furgone attrezzato. Vi
sono poi esercizi di cinema sperimentale, che girano intorno a Valter
Criscuoli. Sul piano della fiction politicizzata, è ambizioso Ogni
riferimento alla realtà è puramente casuale
di
Giancarlo Zannier (1976: l’ultima scena fu
girata proprio il 6 maggio, il giorno del terremoto). Il titolo è
ovviamente ironico: il film traeva ispirazione da un fatto di
cronaca, il ritrovamento di un cadavere, per una storia politica
sull’alienazione e la droga. La foto del protagonista, interpretato
da Carlo Barbiera, fu direttamente inserita sulle pagine del
quotidiano Messaggero Veneto che parlavano del ritrovamento.
A
onta dei mezzi minimi, il film mira a un massimalismo del racconto,
con un dramma politico-psicologico e anche una sequenza psichedelica.
L’ingenuità
produce un senso di astrazione; la recitazione non professionale
diventa quasi epica; tanto che il film sembra un Alexander Kluge
involontario. È
molto interessante come “capsula del tempo”: mostra immagini
perdute della vecchia Udine, in particolare del quartiere popolare di
Via Villalta prima delle ristrutturazioni. Giancarlo Zannier aveva un
occhio documentaristico: nel plot il protagonista lavora
all’acciaieria Safau, e in una scena al suo interno lo sguardo sul
funzionamento della
fabbrica si
dilata, quasi
mettendo
fra parentesi lo svolgimento, in un bel
gioco
di colori sul metallo incandescente, che rende questo squarcio la
pagina migliore del film.
Le
strade di Zannier e del CEC finirono per separarsi, dolorosamente, e
in seguito Zannier si dedicò al Laboratorio Audiovisivi Friulano,
associazione nata nel 1997 a Premariacco con lo scopo di valorizzare
le espressioni fondate sull’immagine, caratterizzata da un
intendimento didattico (corsi sulle pratiche audiovisive), dalla
produzione di filmati e da un’attenzione alla tradizione popolare e
alla lingua friulana. Ricordiamo Striis (Giancarlo Zannier e Galdino
Zuliani, 2006), C’era una volta l’orto (Marco Fabbro, 2015) e –
visibile su YouTube – il raffinato Tracce visive di Giancarlo
Zannier del 2009, un lavoro di ricomposizione poetica di antiche e
vecchie foto di gente di San Leonardo. Ma non ci separeremo da
Giancarlo Zannier senza menzionare il suo bel docu-drama Benandants
del 1995.
Il
CEC invece si concentrò sull'esercizio, continuando la gestione del
cinema Ferroviario – in seguito sostituito dal Visionario, che ha
assunto le dimensioni di un vero palazzo del cinema. Fra le altre
attività, tralasciando l’ordine cronologico, bisogna menzionare Lo
Sguardo dei Maestri, realizzato in tandem dal CEC e Cinemazero di
Pordenone, consistente in retrospettive complete di grandi maestri
concluse ogni volta da un convegno internazionale, i cui atti
venivano pubblicati dalla casa editrice Il Castoro di Milano.
Inoltre, la Mostre dal Cine Furlan, curata da Fabiano Rosso, ha
presentato una grande quantità di nomi importanti della
cinematografia locale e non solo. Citiamo Lauro Pittini, Marcello De
Stefano, Remigio Romano, Lorenzo Bianchini (da I dincj de lune a
Lidrîs cuadrade di tre),
Renatro Calligaro, Massimo Garlatti-Costa, Benedetto Parisi,
Christiane Rorato, ancora Giancarlo Zannier, Marco Rossitti, Dorino
Minigutti, Marcello Terranova, Carlo Della Vedova e Luca Peresson
(Farcadice) e tanti altri. Da questa temperie, se non altro come
ispirazione, sono venuti Alberto Fasulo (Rumore bianco), Matteo
Oleotto (Zoran – Il mio nipote scemo), i progetti tv di Claudia
Brugnetta (Autogrill, Bed & Breakfast), Marco Londero e Giulio
Venier (Visins di cjase), Alessandro di Pauli e Tommaso Pecile
(Felici ma furlans).
Abbiamo
lasciato per ultima la più importante realizzazione del CEC. Ai
tempi del cinema Visionario, si organizzavano delle rassegna annuali
a tema, dal cinema di Marguerite Duras a quello di Samuel Fuller,
dall'espressionismo tedesco al documentario, corredati da
pubblicazioni, sotto il nome di UdineIncontri Cinema. Tale
manifestazione aveva poi iniziato a stabilizzarsi nel segno di
un'attenzione al cinema popolare italiano ed europeo, con grande
ricchezza di ospiti: “Cinema e Italietta anni Cinquanta”,
“Contestazione generale” sugli anni Sessanta, “Eurowestern”.
E qui bisogna rendere omaggio all'intelligenza e all’impegno di
Lorenzo Codelli, direttore della manifestazione, e all'insostituibile
apporto della Cineteca del Friuli di Gemona.
Dopo
il successo di “Eurowestern”, si trattava di trovare l’argomento
per l’anno seguente (è scomparsa di recente Lina Wertmüller,
e questo ci ricorda che una proposta furono “i musicarelli”, il
che avrebbe consentito di provare a recuperare, Rai permettendo,
anche il suo capolavoro Il giornalino di Gian Burrasca). Siccome il
cinema di Hong Kong era ancora relativamente poco noto, fu questo
l’argomento prescelto.
La
retrospettiva, temuta come le precedenti al Visionario fu un successo
strepitoso, e fra l’altro vi partecipò un numero mai visto di star
hongkonghesi, da Lau Ching-wan a Francis Ng a Johnnie To, destinato a
diventare un amico costante del FEFF. Infatti quel successo “fissò”
definitivamente l’impegno del CEC sul Far East, e così nacque il
FEFF, Far East Film Festival, trasferendosi dal piccolo Ferroviario
ai 1200 posti del Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
Variety,
che è un po’ la Bibbia americana dello spettacolo, ha famosamente
scritto che vi sono 50 festival imperdibili in tutto il mondo e di
questo due hanno sede nella regione Friuli-Venezia Giulia: le
Giornate del Cinema Muto di Pordenone e il Far East Film Festival di
Udine. Diretto da Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, il FEFF si è
stabilito come il più importante ponte fra il cinema asiatico e
l’Europa, arrivando nell’ultima edizione a 65.000 presenze,
dedicandosi specificamente al cinema popolare ma con fruttuose
escursioni nei territori arthouse. Il FEFF ha una doppia dimensione,
sincronica e diacronica: esplora lo state of the art del cinema
asiatico e scava nella sua storia con fondamentali retrospettive. Il
Gelso d’Oro alla Carriera – l’ultimo è stato attribuito a
Zhang Yimou, ospite a Udine – ha composto negli anni un Albo d’Oro
del cinema asiatico. Si può aggiungere che una grande quantità di
eventi collaterali dedicati al mondo orientale invade a ogni edizione
la città di Udine trasformandola in un piccolo centro di cultura
asiatica.
In
sinergia fra Udine e Pordenone, è nata la Tucker Film, casa
distributrice attenta al Far East (da Departures a Drive My Car) ma
altresì attenta al “nostro” Est: ha distribuito per esempio Sole
alto (Zvidzan) di Dalibor Matanić.
E ha in un certo senso “chiuso il cerchio” lanciandosi nella
produzione con L’angelo dei muri di Lorenzo Bianchini. Sempre
muovendosi all’insegna dell’apertura.
Ringrazio Giulia Cane per la preziosa collaborazione, senza la quale non sarebbe stato possibile questo intervento, e Mateja Zorn del Kinoatelje, responsabile del programma del convegno.
(1) Per le informazioni storiche cfr. Livio Jacob – Carlo Gaberscek, Il Friuli e il cinema, La Cineteca del Friuli, Gemona 1966. La Cineteca del Friuli ha anche pubblicato in tre dvd una scelta dell’opera di Guido Galanti, Antonio Seguini de Santi e Giorgio Trentin.
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