Avete
mai pensato che onirico è l'anagramma di ironico? Ce lo ricorda in
modo fulminante il film 9 doigts – 9 dita del regista,
poeta, scrittore, musicista F.J. Ossang: un piacevolissimo film
d'avanguardia che è passato in proiezioni speciali per alcuni cinema
selezionati.
Impossibile
da riassumere se non per sommi e infedeli capi, 9 doigts si
situa sotto i numi tutelari di Jean-Luc Godard e Raul Ruiz. A un
certo punto di questo lungometraggio poetico-noir-fantastico viene
esibito il romanzo Vampir di Hanns Heinz Ewers
(incidentalmente, l'autore de La mandragora e sceneggiatore de
Lo studente di Praga); e questo testo un personaggio lo
definisce “un romanzo a pezzi e colori”. Ma proprio questo è il
film di Ossang! Che è un mosaico non tanto di frammenti narrativi quanto
di suggestioni (cinematografiche, letterarie, paraletterarie, eccetera) in forma semi-narrativa. Le brevi scene sono
tagliate da stacchi bruschi e improvvisi che sottolineano le battute
finali con una perentorietà godardiana (si pensa subito ad
Alphaville); né, è chiaro, sarebbe stato possibile un altro
tipo di interpunzione. La bella fotografia in b/n, che concretizza
l'amore di Ossang per l'espressionismo, è firmata da Simon Roca.
Il
film incrocia le forme ben conosciute del noir e del polar
per sfociare nel delirio. Inizia sulla misteriosa fuga del
protagonista Magloire, con un cappotto dal bavero alzato da
personaggio di Wenders (ma nel corso del film par di notare una vaga
somiglianza con Jean-Paul Belmondo che rafforza la matrice
godardiana). Ed è, questo inizio, ingannevolmente narrativo: la sua
fuga sui binari fa pensare all'inizio di Mr. Arkadin
di Welles; tanto più che la continuazione della fuga nel tunnel
roccioso, con quel falò acceso, ricorda ancora il barocchismo
wellesiano, benché spinto verso l'estremismo dei B-movies
(il Jesus Franco “wellesiano” del primo periodo ne sarebbe stato
fiero).
Catturato
in un acquario (ombra di The Lady from Shanghai!)
dai suoi inseguitori, Magloire viene arruolato a forza in una folle
banda di gangster (un viaggio in auto a un certo punto passa al
negativo, come in Nosferatu
di Murnau) e finisce su una nave da carico che solca l'oceano
portando un velenoso carico di polonio. Le inquadrature di
navigazione viste dalla nave ricordano l'Atalante
di Jean Vigo; non so se questo abbia un collegamento con una battuta
memorabile quando più tardi un ambiguo medico dice a una delle due
donne “Le darò delle pillole di Atalanta Fugiens” – ma
certamente è divertente vedere l'Atalanta mitologica trasformata in
un'erba medicinale.
La
nave è pilotata dal capobanda Kurtz; e se uno non avesse colto il
riferimento, basterebbe una battuta quando il film si avvia verso la
fine, “E Kurtz che crede ancora di poter seguire la mappa!” (del
resto risuona anche il korzbskiano “La mappa non è il
territorio”). I suoi folli disegni di rotta sono fallaci e/o
sabotati. La nave non va verso la sua destinazione ma viene attirata
e come fagocitata dalla cupa Nowhereland, un'isola “senza radici”
nata dai rifiuti, e simbolo della polluzione. I personaggi si
chiedono se non siano capitati su un vascello fantasma; ma concludono
che il vero vascello fantasma è la Nowhereland stessa. Come che sia,
non per nulla la loro la nave si chiama Marryat. Il capitano Marryat
era uno scrittore dell'Ottocento, allora noto e oggi dimenticato, che
appunto scrisse un romanzo sul vascello fantasma dell'Olandese
Volante... Ma nota (e questo potrebbe essere lo scherzo più nascosto
del film) che Marryat scrisse anche uno dei più famosi racconti di
lupi mannari del XIX secolo; ed ecco che, in mezzo a immagini
ricorrenti della luna piena che corre tra le nuvole, ci vien detto
che uno dei gangster si chiama Warner Oland – come l'attore che
interpretò il licantropo che contagia il protagonista nel primo film
hollywoodiano sull'uomo lupo, The Werewolf of London
del 1935 (Lon Chaney jr. verrà dopo).
Questa
quantità di riferimenti, che lo spettatore del film si diverte molto
a cogliere, non deve far pensare che 9 doigts
sia un gioco letterario-cinefilo, una specie di film à
clef. I riferimenti nascosti e
le citazioni appartengono al procedimento poetico di marca
surrealista di Ossang, che vorrei qui paragonare alle deliziose
poesie tassellate di citazioni di Marianne Moore. Il film è appunto
un'opera poetica (in un passaggio il capitano della nave, in
primissimo piano guardando in macchina, recita un grande discorso
tratto dai Canti di Maldoror
di Lautréamont: “Io ti saluto vecchio oceano”), e attraverso
questa una meditazione allegorica politico-ecologica in una
dimensione apocalittica.
Un'opera
oscura e chiarissima, onirica e ironica, indubbiamente ricca di
fascino. Il Pardo d'Argento per la miglior regia al Festival di
Locarno per questo film è meritato.