Ci
sono (ma rari) dei film così belli che salgono le lacrime agli occhi
durante la visione, non per un materiale commovente ma per il puro
impatto della bellezza. Eccone uno: Visages Villages di Agnès
Varda – che fornisce esattamente ciò che dice il titolo: è un
viaggio fra i volti e i villaggi: due concetti che si fondono,
giacché Varda stessa (90 anni) e JR, famoso come autore di collages
fotografici inseriti nello spazio urbano, girano per la Francia
cercando visi/storie, stampano fotografie giganti degli abitanti dei
luoghi e le incollano sui muri.
Come
accade sempre nell'opera documentaristica di Agnès Varda, questo
film è un documentario anche su di lei, compreso qui il rapporto di
amicizia che si è creato col giovane JR, amico misterioso con quegli
eterni occhiali neri che lei detesta. Un'inquadratura ricorrente li
mostra, spesso seduti di spalle, che discutono del loro progetto e
del mondo.
Agnès
Varda, che com'è noto è nata artisticamente come fotografa,
possiede il dono, in misura quasi sovrumana, della profondità di
sguardo sul mondo. Anche nei suoi film di fiction le location,
i segni come i cartelli stradali, tutto il profilmico vive e balza
all'occhio alla stessa stregua dei personaggi. Nel suo documentarismo (ma
in Varda la differenza tra fiction e documentario è sfumata) si
esprime una pregnanza stupefacente della cosa vista.
In Visages Villages la presenza fisica degli autori si
intreccia all'evidenza (Agnès Varda è un'evocatrice)
dei personaggi ritratti e all'evidenza dei luoghi, anzi, di più,
della natura: “Il mare ha sempre ragione, e il vento, e la sabbia”,
commenta Varda quando l'alta marea lava via una delle loro
gigantografie incollate. L'unica a sparire nel film; le altre vengono
onorate e ammirate dagli abitanti... ma la Terra si muove su un'altra
lunghezza d'onda.
Ciascuna
delle figure del film, i soggetti delle foto, rappresenta una storia
che varrebbe un piccolo documentario per sé, ma che emerge con più
forza nella concentrazione. Pochi minuti di immagini rivelano un
mondo e una biografia, e il climax è la reazione di fronte alla
propria gigantografia incollata sulla “pubblica via”. Jeanine,
l'ultima abitante di una casa di minatori, si commuove fino alle
lacrime (“Que peux-je dire?”). L'Agricoltore fiero dei suoi
enormi macchinari si mette in posa davanti alla propria enorme
immagine assumendo la stessa posa. E' una mise en abyme, e non
a caso questo concetto è menzionato altrove nel film, a scopo
esplicitamente e quasi sfacciatamente didattico. Ne comparirà anche
un'altra, di tipo diverso, quando le mogli vive e attive di tre
lavoratori del porto di Le Havre compaiono in alto, piccolissime,
sedute sul bordo di un container che fa parte di un vero
“grattacielo” di containers sul quale campeggia la loro triplice
enorme immagine – un totem, dice Varda, autrice femminista senza
manifesti.
O come dimenticare Pony, l'anziano pensionato hippy con treccine rasta, che crea objects d'art con materiali di di scarto come tappi di bibite: e potrebbe essere uscito da Les glaneurs et la glaneuse, altro bellissimo documentario del 2000 sui raccoglitori, che anche di questo tipo di opere parlava. Ove la glaneuse, la spigolatrice, del titolo era la stessa Varda, perché di tal fatta è il suo cinema, fatto di immediato, curioso delle opportunità. “Il caso è sempre stato il migliore dei miei assistenti”, dice lei nel presente film.
O come dimenticare Pony, l'anziano pensionato hippy con treccine rasta, che crea objects d'art con materiali di di scarto come tappi di bibite: e potrebbe essere uscito da Les glaneurs et la glaneuse, altro bellissimo documentario del 2000 sui raccoglitori, che anche di questo tipo di opere parlava. Ove la glaneuse, la spigolatrice, del titolo era la stessa Varda, perché di tal fatta è il suo cinema, fatto di immediato, curioso delle opportunità. “Il caso è sempre stato il migliore dei miei assistenti”, dice lei nel presente film.
Visages
Villages è un film insieme capriccioso e molto logico. Il
principio dell'analogia guida a sorprendenti collegamenti. Mentre i
due stanno fotografando dei pesci morti al mercato (per decorare col
loro ingrandimento il serbatoio di una fabbrica) Varda nota l'occhio
sbarrato di uno di questi – e il montaggio ci porta all'occhio in
dettaglio di Varda stessa durante una piccola operazione medica
(scena corredata con umorismo un po' perverso dalla citazione
appropriata, l'occhio tagliato, di Buñuel).
Più
tardi nel film sono ancora porzioni del corpo segnato dagli anni di
lei, gli occhi, i piedi, ad essere fotografati (le foto ingrandite
viaggeranno su vagoni di un treno). Questo ci ricorda come torni nel
cinema di Varda il dettaglio netto e lucido del corpo invecchiato, il
suo (anche ne Les glaneurs et la glaneuse)
ma anche quello del marito Jacques Demy nell'indimenticabile Garage
Demy (Jacquot de
Nantes). In Visages
Villages una visita al piccolo
cimitero dove riposa Henri Cartier-Bresson (“Che colpo d'occhio
aveva”) introduce una discussione sulla morte: inevitabile portato
di un film dove ritorna il discorso della vecchiaia – ma ricordiamo
che la mortalità e il tempo sono temi fissi dei film di Varda.
In
una delle interviste, al lavoratore di un allevamento di capre,
vediamo la piccola équipe del documentario che lo sta filmando. Ah,
ma questo è il vecchio gioco del cinema (chi filma?), che se
mette in scena se stesso deve farlo come finzione e riproduzione:
perché la mdp non può filmare se stessa, dev'essere filmata da
un'altra mdp, in una vertigine potenzialmente infinita. Però subito
dopo la ricostruzione del filmare segue l'evidenza della realtà
filmata, con un piccolo litigio tra Varda e JR a proposito degli
occhiali neri di quest'ultimo, che non si vuole mai togliere, mentre
Varda lo vorrebbe vedere. Tutto ciò esploderà nel finale a
proposito di Jean-Luc Godard, già evocato con foto, filmati,
discorsi, perfino un rifacimento-omaggio di Bande à part,
lungo tutto il film (davvero il segreto dei film di Agnès Varda è
la connessione). I due vanno a trovarlo nella sua casa in
Svizzera e lui, tipicamente, non si lascia trovare, lasciando un
messaggio scritto sul vetro che allude a ricordi molto personali
(Jacques Demy, naturalmente) della sua vecchia amica Varda; e lei,
nel momento più emozionalmente carico dell'intero film, piange: “Se
voleva ferirmi c'è riuscito... Non è divertente... Oggi Jean-Luc ha
esagerato”. Questo non è un gioco di cinema, non è il filmare che
filma se stesso, è la realtà immediata.
Per
consolarla, sulla riva del lago, JR si toglie eccezionalmente gli
occhiali neri – ma siccome nella vita reale fa parte della sua
immagine pubblica il mistero, l'immagine che vediamo come soggettiva
di Varda è fuori fuoco. Ma c'è anche una sorta di pudore qui.
Quest'immagine apparterrà esclusivamente ad Agnès Varda. Non
possono che seguire i titoli di coda.