Guillermo
Del Toro ha diviso la sua carriera tra film più personali (famoso Il
labirinto del fauno) e
film, si potrebbe dire, più hollywoodiani, come Mimic
(c'è anche un punto di congiunzione, forse irripetibile: i due
Hellboy). Pacific
Rim appartiene senza alcun
dubbio alla seconda categoria; se il regista si fosse firmato con uno
pseudonimo, avremmo avuto una bella difficoltà ad accorgercene. Ciò
non vuol dire, tuttavia, che il film non sia piacevole.
E'
un omaggio dichiarato al cinema fantastico giapponese, che incrocia due
sottogeneri tutt'altro che estranei l'uno all'altro. Da un lato i
kaiju eiga, cioè i
film di mostri, in cui ciclopici bestioni squamosi (Godzilla o Rodan,
Baragon o Ghidorah) distruggono mezzo Giappone prima di essere
abbattuti. Dall'altro i telefilm e cartoni animati di robottoni
giganti comandati da un agente umano al loro interno, come Mazinga e
Goldrake.
Il
presupposto è semplice - tant'è vero che Pacific Rim
per fornire il contesto se la sbriga, coll'ausilio di un'inelegante
voce over, in due minuti. Dal Pacifico emergono mostri giganteschi, i
Kaiju, mandati da alieni che vogliono spazzar via l'umanità. Per
combatterli sono stati inventati gli Jaeger: robot giganti guidati da
coppie legate fra loro da un rapporto quasi telepatico - infatti di
solito sono fratelli o padri e figli. Poi i politici, come sempre, si
mettono di mezzo e mandano in pensione gli Jaeger in favore di una
super-muraglia di sbarramento, che naturalmente non tiene (ma i
politici non vanno mai al cinema?). Ora gli ultimi Jaeger rimasti
devono combattere la battaglia finale.
La
regia di Del Toro, se non è personale, è competente. Va segnalato
un raro tocco di ironia all'inizio del film, quando un paio di
cercatori di residui di metallo sulla spiaggia restano delusi
trovando sotto la sabbia un piccolo robot giocattolo - ed ecco che
davanti a loro esce dall'acqua il robottone gigantesco, e crolla
semidistrutto. I personaggi dei due scienziati amici-nemici sono meno
stereotipati del solito; molto gustosa è la descrizione del mercato
nero di parti dei corpi dei Kaiju abbattuti che è fiorito a Hong
Kong. Vediamo un vero e proprio supermarket segreto dei pezzi di
Kaiju, e lo dirige, nei panni del gangster Hannibal Chow, niente meno
che Ron Perlman. Questo è un accenno di firma del regista: Ron
Perlman è l'indimenticato protagonista della saga Hellboy.
Alla solennità molto
macho dei piloti e del loro comandante risponde il personaggio della
combattente giapponese Mako (Rinko Kikuchi), che declina con sobrietà
quel tema classico del cinema eroico che è lo shock disabilitante:
mentre è al comando del robot insieme al protagonista Charlie
Hunnam, è sopraffatta dai ricordi di quand'era bambina e ha visto
morire i suoi genitori. La sequenza in flashback, con la crudeltà
della descrizione del suo terrore, è uno dei pochi tocchi nel film
che fanno pensare immediatamente a Guillermo Del Toro, il quale
tratta spesso, in forme fantastiche, del dolore dell'infanzia.
Per
inciso, questa scena di perdita di controllo della Mako adulta
contiene una bizzarra espressione non spiegata dal film: i suoi
controllori terrorizzati (una donna in crisi psicotica alla guida di
un mega-robot distruttore non sono bruscolini) continuano a gridarle
di “non inseguire Rabbit”. Azzardo un'ipotesi: potrebbe essere
mal tradotto e significare metaforicamente “seguire il coniglio”, da Alice nel Paese delle Meraviglie.
Ma
naturalmente abbiamo comprato il biglietto per le scene di
combattimento e disastro. Sono puro cinema giapponese “godzilliano”
le scene dei Kaiju che camminano sfasciando tutto fra i grattacieli
della città (Hong Kong) e i loro scontri con gli Jaeger, in mare o
in terra, dove i contendenti si prendono a sganassoni usando come
armi contundenti vagoni ferroviari o un'intera nave. Manca,
naturalmente, in Pacific Rim
quell'elemento naïf che era forse il maggior piacere dei vecchi
kaiju eiga giapponesi:
vedere un mostro in plastilina che calpestava modellini di case era
più godibile del realismo visuale di questo film in cui tutto sembra
vero. Ma sarebbe assurdo, solo per questo, negare il divertimento. E
quindi ce la spassiamo quando i robot si scazzottano con i mostri
annunciando a voce alta, proprio come nei cartoon giapponesi, il tipo
di arma che intendono usare - ed è solo naturale che facciamo il tifo per loro. Forza
Jaeger! Forza lupi! So' finiti i tempi cupi!