Emma Dante
Malinconica riflessione
sul tempo ed elegia della memoria, il notevole Le sorelle Macaluso
è la seconda regia di Emma Dante dopo Via Castellana
Bandiera, anch'esso tratto da una sua pièce (con la
sceneggiatura di Emma Dante, Elena Stancanelli e Giorgio Vasta), ma
assai diverso. Mentre Via Castellana Bandiera era strutturato
intorno a un episodio, con due protagoniste contrapposte, in unità
di tempo, il presente film è collettivo, fluido, ellittico. Non è,
questa sua natura, semplicemente questione di stile narrativo: Le
sorelle Macaluso è un film di momenti: la narrazione frammentata
restituisce un flusso vitale spezzato in lampi di esistenza.
La narrazione consta di
tre età, cui ci avviciniamo attraverso tre brevi periodi di tempo.
Il primo è la giovinezza delle cinque sorelle orfane, d'età molto
diversa fra loro: Lia, Maria, Pinuccia, Katia e Antonella, delineate
con mano sicura nelle loro personalità e passioni. Vivono in una
vecchia casa con una piccionaia di sopra. Le vediamo in un giorno
sereno, tra allegria e piccoli litigi – in cui una malaugurata gita
al mare si rovescia in tragedia. La disgrazia, trattata con grande
pudore, è la morte della piccola Antonella, il cui modo di
verificarsi verrà precisato lungo il film.
Il secondo periodo è
la mezza età: sotto la quotidianità, l'impegno di andare avanti, il
gusto di ritrovarsi insieme (le paste col kiwi) resta il peso di
quella disgrazia che ha segnato la vita delle sorelle e l'ha
rovinata; ha aperto sensi di colpa e recriminazioni incancellabili; è
facile pensare che il disordine mentale di Lia si sia originato da
qui, come il fallimento di Maria che non è diventata ballerina. Il
terzo periodo mostra la morte di Lia (nota
il tocco grottesco dell'applauso degli astanti alla bara portata giù
con un elevatore da traslochi quando tocca terra); ma in questo
chiudersi della vita – con l'abbraccio fra le due sorelle
superstiti – c’è una sorta di pacificazione. Il film ci parla
del flusso implacabile, eppure a suo modo rasserenante, delle cose.
Nel
trascorrere solido del racconto entra con naturalezza, senza stupire
lo spettatore, la presenza dei morti accanto ai vivi (nel Le
sorelle Macaluso teatrale una
striscia di scotch sul palcoscenico segnava il labile confine tra i
due mondi). La piccola Antonella e più tardi Maria ricompaiono a
tratti nella casa, e le vedremo anche insieme alle due sorelle vive
davanti alla bara di Lia. Non sono, questi morti, entità
fantasmatiche attive, come quelle di Pietrangeli in Fantasmi
a Roma (che l'immagine citata fa
tornare in mente) o quelle immaginarie di Eduardo; siamo più vicini
a Edgar Reitz; i morti che si presentano alle sorelle sono memoria,
concrezioni carnali del ricordo. Come tutti i fantasmi, sono fatti di
ripetizione (il Kinder dato alla piccola).
Per
realizzare questo lavoro, Emma Dante ha compiuto un magnifico lavoro
con nove eccellenti attrici che incarnano le differenti età delle
sorelle. Occorrevano attrici che, accanto alla scontata bravura
interpretativa, potessero per così dire “incastrarsi” l’una
nell’altra in modo da garantire la continuità della persona
– e non è solo questione, evidentemente, di somiglianza fisica. Il
risultato si può definire strabiliante.
Dice Emma Dante che la
casa è una protagonista del film, ed è vero. Allo stesso modo che
vediamo invecchiare le sorelle, così invecchia questa casa (qui
bisogna rendere omaggio al grande lavoro scenografico di Emita
Frigato) in modo quasi umano. I mobili e gli arredi mostrano il segno
degli anni come un volto; una maniglia che continua a staccarsi lungo
il film innesta una sorta di riconoscimento come il tratto
abitudinario d'una persona. Alla fine, venduta e sgomberata dai
mobili, la casa resta vuota.
E poi i piccioni, così
presenti nel film. Hanno una giustificazione diegetica (in origine le
sorelle li allevavano per guadagnarsi da vivere); ma il film insiste
con un lirismo forse eccessivo sui voli di piccioni bianchi nel
cielo. E' anche vero che offrono un momento di “apertura” e di
libertà; e probabilmente Emma Dante vuole contrapporre
l'immediatezza vitale e i sentimenti poveri dei piccioni al dolore
che rode gli umani. Anche sulla scorta di una pagina di A.M. Ortese
che sentiamo leggere nel film.
Le
sorelle Macaluso è un film
fisico, un film di corpi; ma di corpi (e anime) nel tempo. Non è
soltanto un’opera sul suo scorrere, che non cela l'evidenza fisica
del corpo vecchio – ma anche, dolorosamente, sulla sua
irrevocabilità. La cosa più crudele del tempo non è neanche la
perdita, è il nostro tormentarci perché non è reversibile.
L'incoscienza, nel
senso originario di “non pensarci”, è lo stato naturale in cui
ci muoviamo (“al piede teso ghiaccio che s'incrina”), o
altrimenti dovremmo vivere come se fossimo fatti di vetro; ma quando,
una volta su diecimila, ne emerge la tragedia, allora la tortura del
“se solo avessi fatto, se solo non avessi fatto” si presenta con
evidenza feroce; ma tornare indietro non è possibile. Che questa
riflessione sia centrale nel film non solo è implicito nello
svolgimento ma è introdotto in modo semplice e assai intelligente
prima della tragedia, quando in un dialogo fra amiche/amanti viene
evocato, attraverso il racconto della trama, il sogno impossibile di
Ritorno al futuro di
Zemeckis.
L'inizio
del film con le sorelle che scavano un foro nel muro verso l'esterno
come una finestra supplementare e segreta (una spia)
potrebbe alludere al cinema: la lama di luce in cui danza il
pulviscolo sembra veramente quella del proiettore; e sembra una
dichiarazione, un riconoscimento cinematografico. Giustamente per
Emma Dante, regista teatrale e cinematografica, il cinema non è “la
continuazione del teatro con altri mezzi” ma una riformulazione, in
cui le sue pièce non vengono “adattate” ma ripensate e
riscritte. Anche il momento in cui Maria si ingozza disperatamente
dei pasticcini sul vassoio, trasformandoli in poltiglia, prima di
confessare alle sorelle la sua malattia, è un momento di
espressività teatrale ma tradotta linguisticamente in cinema (il
dettaglio, il primissimo piano, lo sguardo in macchina).
La conclusione con
l'immagine delle cinque sorelle giovani di spalle che guardano il
mare – su quest'immagine riappare il titolo – rappresenta una
permanenza dell'esistere nel tempo che solo la memoria su un versante
della realtà, l'arte (il teatro e il cinema) sull'altro possono
dare.