Gabriele Salvatores
“Comedians” di
Gabriele Salvatores fa scontrare due opposte concezioni della
comicità, incarnate da Natalino Balasso e Christian De Sica. Il
comico deve rompere i pregiudizi frantumando le concezioni radicate o
deve semplicemente limitarsi a far ridere sua maestà lo spettatore?
Intorno ai due, ruotano le vite di un gruppo di nervosi dilettanti,
aspiranti comici in gara per un contratto con un'agenzia (col
miraggio della tv).
Costruito su ritratti
psicologici (di diverso spessore) e rabbiosi scontri caratteriali, il
film contiene una bizzarra aporia. Salvatores nella sua sceneggiatura
(dal testo teatrale di Trevor Griffith già messo in scena al Teatro
dell'Elfo nel 1985 e già ispiratore del suo film “Kamikazen”)
rinuncia a inserire quella comicità di cui si discute così
furiosamente. Non sentiamo nulla di divertente nel film: non solo
dagli aspiranti comici, che si può sempre pensare siano in partenza
dei perdenti, ma neppure dai due maestri contrapposti. Il loro breve
duello verbale quando s'incontrano, pur essendo animoso, non va oltre
il più piatto varietà televisivo. L'unico reale momento di
divertimento si ha alla fine, con la barzelletta indù raccontata
dall'immigrato Patel.
Intendiamoci, che si
trattasse di un'epopea del vuoto e della sconfitta, era già chiaro
dalla presentazione iniziale dei convenuti. Tuttavia, restando
semplicemente sul piano teorico, il dilemma su cui i due maestri si
sbranano non fa che replicare la vecchia distinzione di Umberto Eco
fra apocalittici e integrati. Fatto sta che una didattica (del
comico) senza il suo oggetto, un litigio senza ciò per cui si
litiga, rende il film astratto e a suo modo sbilenco. È come
“Helga”, vecchio (e sedicente primo) film di educazione sessuale,
senza il corpo, o se preferite, “Masterchef” senza il cibo.