sabato 30 gennaio 2021

Outside the Wire

 Mikael Håfström

La guerra del futuro prossimo assomiglia molto a quella di oggi, solo che a fianco dei soldati umani combattono dei robot chiamati Gump. E' il 2036 e siamo nell'Est europeo con le truppe americane immischiate in una guerra civile, che appoggiano gli indipendentisti contro un “signore della guerra” filo-russo. Il film di fantascienza d'azione Outside the Wire di Mikael Håfström, coproduzione statunitense-ungherese, inizia con una buona, realistica scena di combattimento, che rende tutta la concitazione e la paura – sotto la telecamera di un drone da guerra armato di missili, controllato dal tenente Harp, che con un contrasto di forte valenza simbolica vediamo mangiare caramelle mentre segue la scena. Qui il film pone un elemento polemico che non è fantascientifico ma riguarda l'oggi: il concetto di un soldato che manovra le armi e dispensa la morte non sul campo ma seduto mille miglia lontano. Forse perfino il cognome Harp, “arpa”, rimanda a un senso di elegante distacco dalla polvere e dal terrore della guerra?Disobbedendo a un ordine diretto, Harp spara un missile contro una minaccia, uccidendo due soldati americani non ricuperati – ma salvando gli altri. Il dilemma (salvare 38 soldati al prezzo di due o lasciare che probabilmente ne muoiano 40?) avrà una amplificazione nello sviluppo finale. Viene trasferito per punizione in zona di combattimento, agli ordini del capitano Leo, il classico militare tough as nails, e con lui deve compiere una missione fuori dal perimetro di sicurezza. Salta subito fuori che Leo non è umano: è un avanzatissimo prototipo di androide (diverso dai massicci e goffi Gump), con volto e comportamenti umani – per ragioni (dice) di “guerra psicologica”.
Harp è tutt'altro che entusiasta della situazione (certi suoi commenti sono... come dire? Razzisti? Specisti? Biologisti?), e il film sembra diventare un buddy movie, quel tipo di cinema che accoppia in un lavoro pericoloso tipi opposti (vecchio e giovane, bianco e nero, maschilista e donna) che prima si detestano, poi diventano amiconi. A metà, però, cambia improvvisamente strada; e a questo punto bisogna avvertire chi legge che seguono degli importanti spoiler.
Infatti l'androide ha un'agenda tutta sua (ormai si dice così anche in italiano), ed essendo – parole dello stesso Harp – un grande manipolatore, con l'inganno riesce a farsi togliere dal partner il dispositivo di sicurezza che lo costringerebbe a obbedire a un ordine diretto di un essere umano. Ombra di Isaac Asimov! A questo punto comincia a precisarsi un suo piano, che modifica le coordinate morali che davamo per acquisite nel film. Va detto però che questa svolta, esposta in modo un po' fumoso, finisce per risolversi più secondo i canoni del film di avventura che della “fantascienza filosofica” verso la quale il regista e gli sceneggiatori (Rob Yescombe e Rowan Athale) tentano un passo non eccessivamente convinto.
Così il meglio del film restano le atmosfere, sulle quali Håfström è piuttosto bravo (ricordiamo il bell'horror 1408), la messa in scena della tensione (come quando un condominio che pare vuoto si popola di nemici che sparano dalle finestre), gli scontri sia di gruppo sia individuali (senza sorpresa, l'androide Leo mostra abilità di combattimento nel corpo a corpo da fare invidia a Terminator).
Se nel ruolo piuttosto ingrato di Harp, sempre in ritardo sulla comprensione, Damson Idris è anodino, Anthony Mackie (il Falcon dei film Marvel) è convincente e spiritoso nel ruolo di Leo, e trae il meglio da un dialogo “super-macho” che sfiora la parodia involontaria. Emily Beecham infine dà vita a una comandante degli indipendentisti non meno dura di Leo, giustamente convinta che una canaglia diventa meno canaglia quando ha una pallottola in testa.




sabato 16 gennaio 2021

Eat Local - A cena coi vampiri

Jason Flemyng 

I vampiri d'Inghilterra, nella loro riunione cinquantennale, sono irritati col Consiglio (dei vampiri) d'Europa che impone le quote di vittime concesse. Il più cattivo, Boniface, sbotta: “Fanculo il Consiglio. Le possiamo stabilire noi le nostre quote”. E qui lo spettatore ha un soprassalto divertito: non basta la Brexit, gli inglesi vogliono la Vampexit.
Questo tocco satirico è uno dei momenti felici della commedia horror Eat Local – A cena coi vampiri di Jason Flemyng. Nota che c'è una differenza in italiano rispetto al titolo originale: in originale, a Eat Local una manina malandrina ha aggiunto una esse, per cui il titolo del film risulta Eat Locals.
Si chiama “Eat Local” la fattoria dove si sono riuniti gli otto vampiri inglesi, facendo prigionieri i proprietari, i tutt'altro che innocenti coniugi Thatcher (inutile dire che il nome fa parte dell'apparato satirico del film, per cui Mrs. Thatcher è un bersaglio predefinito). Attirato lì con la promessa di una notte di sesso, il giovane mortale Sebastian è candidato a sua insaputa a diventare l'ottavo vampiro del gruppo, al posto di un membro giustiziato per aver infranto le regole. Siccome però manca l'unanimità sulla proposta, i vampiri decidono invece di consumarlo come cena. Ma sul più bello la fattoria viene attaccata da un gruppo paramilitare di cacciatori di vampiri – e Sebastian si trova fra due fuochi.
Eat Local non mantiene tutto quello che promette ma è abbastanza piacevole, sebbene si abbia l'impressione che ora il regista ora il protagonista Billy Cook avrebbero potuto fare di più. Quale commedia horror, sul piano commedia genere “vita da vampiri” non è divertente come What We Do in Shadows, sul piano horror genere “soldati contro mostri” non è emozionante come Dog Soldiers. Ha qualcosa di frenato: eppure Jason Flemyng, attore nei primi film dello scatenato Guy Ritchie, avrà certo avuto modo di osservarlo e imparare. Forse Billy Crook non è abbastanza sfacciato come comedian quanto sarebbe stato necessario (nel suo ruolo ci voleva qualcosa come una versione giovane, ovviamente inglese, di Eddie Murphy). Tuttavia il film si lascia vedere volentieri, possiede una sorta di amabilità, e la conclusione (niente spoiler!) è spiritosa, anche sul piano del linguaggio. Gli effetti speciali sono buoni, e usati con lodevole sobrietà.
In fondo la cosa più divertente di tutte le storie di vampiri sono gli squarci di “cultura vampirica” che esse ci fanno intravedere di scorcio; per questi poveri vampiri inglesi l'epoca attuale segna un periodo di decadenza (ne fanno fede i sorrisi ironici che accolgono il discorso di Boniface: “Moccioso, io ho oltre duemila anni...”). Certamente i vampiri assediati sono i personaggi più interessanti – talché lo spettatore finisce per tenere per loro, anche se sono più sanguinari degli (insopportabili) vampiri buonisti e vegani di Twilight. E' un raduno di buoni attori che si divertono nella parte, come Tony Curran, Freema Agyeman, Eve Myles, Charlie Cox; nel gruppo spicca per simpatia Annette Crosbie, attrice veterana dal ricco curriculum (che comprende aver dato voce all'elfo Galadriel nel Signore degli Anelli a cartoni animati di Ralph Bakshi). Qui è una deliziosa vecchietta vampiro con l'abitudine di sferruzzare, e con scarsa dimestichezza con la tecnologia moderna (grande l'aria orgogliosa con cui dice “Io so usare il videoregistratore”). Ma come mostra il film, chi si fida dell'aria mite di una vecchietta rischia la pelle.


venerdì 8 gennaio 2021

The Midnight Sky

George Clooney

Buon attore, George Clooney è un regista di livello alquanto modesto, e come tale dipende fortemente dal valore della sceneggiatura che si trova in mano. Non per nulla il suo film migliore, Suburbicon, era basato su una bella sceneggiatura dei fratelli Coen (ed era infatti molto coeniano). The Midnight Sky, da lui diretto e interpretato, è attualmente molto visto su Netflix ma è francamente mediocre. In primo luogo appunto per colpa della debole sceneggiatura di Mark L. Smith; poi sembra che ci siano stati anche problemi di post-produzione. Quel ch'è certo è che George Clooney per dimagrire di tredici chili per la parte si è ammalato di pancreatite.
Siamo nel 2049. Una catastrofe imprecisata, ma che riguarda l'aria, ha distrutto la civiltà costringendo l'umanità a rifugiarsi sottoterra; in una base artica è rimasto, da solo, lo scienziato Augustine Lofthouse (Clooney con una gran barba incolta), ammalato di cancro. Tuttavia ben presto trova lì una misteriosa bambina che non parla; il film suggerisce che potrebbe essere stata dimenticata. C'è da dire che, in un film dove la recitazione di alcuni comprimari lascia a desiderare, la piccola Caoilinn Springall è efficace: ha un volto interessante, coi suoi occhi penetranti. Nel frattempo una nave spaziale (le prime immagini ricordano 2001: Odissea nello spazio) sta ritornando dopo una missione di due anni da una luna di Giove colonizzabile; a causa della mancanza di comunicazioni i cinque dell'equipaggio sono all'oscuro del disastro.
Il film procede fra alti e bassi: gli interludi con Augustine giovane sono la parte peggiore, mentre la sequenza della riparazione della nave spaziale nello spazio esterno è prevedibile ma efficace, a mezza strada fra (ancora) 2001 e Gravity (nonché Sunshine di Danny Boyle). Senz'altro interessante la scena in cui l'esistenza di una ferita è rivelata dall'apparizione del sangue nel casco, in assenza di gravità, come piccole bolle.
La costruzione di The Midnight Sky è ambiziosa ma sbilenca. Un problema non indifferente del film è che in questa storia doppia le due “valve” non arrivano mai a ricongiungersi in modo incisivo, sicché sembra di vedere due mezzi film al posto di uno intero. La cosa bizzarra è che in realtà un rapporto che avrebbe potuto cementare la loro unione esiste: è la connessione simbolica grazie a un legame di sangue che verrà rivelato alla fine, ed è tenuto segreto lungo il film perché è funzionale alla big surprise finale, che qui non rivelerò.
Questa scelta è discutibile, perché così il film ci perde più di quanto guadagna. Peraltro un modo alternativo ed elegante per legare le due parti senza compromettere la sorpresa ci sarebbe stato. Infatti il racconto contiene un doppio parallelismo nel presente (Augustine e i cosmonauti) ma anche in teoria un doppio parallelismo nel passato: il passato di Augustine in flashback e il passato prossimo dei cosmonauti che si materializza nelle stanze olografiche. Il film avrebbe potuto sviluppare questa struttura a chiasmo – ma è troppo debole per farlo.
Una scena in cui Clooney finisce sott'acqua nel mare ghiacciato dell'Artico e ne esce senza neanche un raffreddore aggiunge un tocco imbarazzante di comicità involontaria. Va detto però che il film mira a sovrapporre all'aspetto avventuroso quello riflessivo psicologico e poetico. Ma anche su questo piano rimane nel limbo di un'inspiegabile vacuità.