Christopher Nolan
“Tenet”, come sanno
tutti, è una parola palindroma (si legge ugualmente dai due lati); e
inoltre occupa il posto centrale in una formula palindroma, il famoso
“quadrato magico” SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Significa “Il
seminatore col suo carro governa le ruote” e a TENET la posizione
centrale dà il ruolo di perno: una parola di potere. Nell'ottimo
Tenet di Christopher Nolan, la parola “tenet” viene usata
come parola in codice (ambigua com'è tutto ambiguo nell'impianto
spionistico del film); due volte viene citata all'interno di frasi
latine nella speranza di mandare un messaggio.
Con molto humour,
Christopher Nolan inserisce nella propria sceneggiatura anche le
altre parole della formula esoterica. Per SATOR, il villain
della situazione è il russo Andrei Sator (Kenneth Branagh); AREPO è
il cognome di un falsario spagnolo, Tomas Arepo, autore di un disegno
che ha un ruolo nel film; ROTAS è una grande impresa edile. E OPERA? Ah, ma il film comincia con un attentato all'Opera di
Kiev!
Alla base di Tenet
c'è il tempo, ovvero qualcosa su cui Nolan ha sempre riflettuto nel
suo cinema. Già il suo secondo film, Memento, presentava un
tempo spezzettato in segmenti distinti come se ricominciasse
continuamente, tanto a livello della storia (è un disturbo di cui
soffre il protagonista in seguito a un incidente) quanto a livello
del discorso (la regia di Nolan). Nota in margine: poiché ho
nominato il secondo film, merita aggiungere che il primo, The
Following, conteneva temi (il ricatto e la vendetta) anch'essi
presenti in Tenet.
Proprio come “tenet”
è una parola palindroma, Tenet si basa sull'idea di un tempo
reversibile – cioè, un tempo palindromo, che a un certo punto può
cominciare a scorrere all'indietro; e questa è la grande minaccia
che bisogna sventare (morirebbero tutte le creature viventi). A
scanso di spoiler, diciamo solo che nella nostra realtà compaiono
degli oggetti, provenienti dal futuro, la cui entropia è invertita:
ovvero, per dirlo in modo terra terra, il loro tempo scorre
all'indietro. Se noi lasciamo cadere sul tavolo una pallottola, essa
va dalla nostra mano al tavolo; ma una pallottola invertita andrà su
dal tavolo alla nostra mano. In questa guerra fredda tra il passato
(cioè noi) e il futuro, che ha l'ausilio di un traditore nel
presente, esistono dei “tornelli” che permettono anche a un
essere umano tale inversione dell'entropia. Egli vedrà il mondo (per
esempio, la gente che cammina) muoversi “all'incontrario”.
Ora, vi sono molte
scene del genere nel film, dalle auto ribaltate che “si
raddrizzano” alle pozzanghere calpestate che si riformano, e così
via. Prendiamone una, quella del gabbiano che dopo essere
atterrato passa a volare “all'indietro”. Domanda: come ha
realizzato Nolan quest'inquadratura? Diavolerie in CGI? Evidentemente
no, basta inserire una ripresa proiettata all'inverso. Questo
semplice esempio ci fa comprendere la più semplice delle verità: il
cinema è l'arte palindroma per eccellenza. Il cinema può scorrere
egualmente in avanti come all'indietro – e questo lo avevano già
capito i fratelli Lumière, che presentano già nel 1896 Démolition
d'un mur: in cui vediamo dei muratori che abbattono un muro a
picconate e poi il “senso di marcia temporale” s'inverte e il
muro “si riforma”, come se balzasse su sotto i nostri occhi.
Il film di Nolan
amplifica mostruosamente quella trovata memorabile, mettendo in scena
le più complesse acrobazie logico-visuali; fino a esplodere in una
delirante battaglia che si svolge su due diverse linee temporali
compresenti (e sì, c'è anche la Démolition d'un mur!). E'
la “nebbia della battaglia” al suo zenit. Ovvio poi che in Tenet
venga sviluppato più volte, come una agudeza barocca, il
paradosso di incontrare se stesso. Sarà un destino che ogni volta
che s'incontra se stessi non ci si riconosce?
Occorrerà appena
aggiungere che il fascino del film sul piano visivo non si limita
alle attrazioni del tempo invertito. Anche nei suoi film meno
riusciti (e ve ne sono), Nolan ha sempre offerto immagini di grande
bellezza visuale. In Tenet, per fare un solo esempio, il mare
con i grandi mulini a vento ecologici che spuntano dalle onde ha la
stessa bellezza aliena e desolata di certe inquadrature di
Interstellar.
Il concetto base di
tempo invertito ha un'ovvia applicazione spettacolare ma
fondamentalmente pone problemi filosofico-morali. Nolan ha buon gioco
a far entrare nelle pieghe della trama una serie di problematiche:
l'alea, il libero arbitrio, il paradosso (salta fuori anche il famoso
“paradosso del nonno”, pane quotidiano degli appassionati di
fantascienza, per la verità non verbalizzato nella maniera più
efficace), la responsabilità della scienza (l'aneddoto su
Oppenheimer) e infine il messaggio ecologico, che per una volta non è
predicatorio o appiccicato ma rappresenta una rotella coerente e
decisiva del plot.
Christopher Nolan usa
il cinema di genere per ridefinirlo alla luce delle sue scelte
stilistiche e preoccupazioni filosofiche (che è, a pensarci, la
stessa cosa che hanno fatto i mavericks della New Hollywood
negli anni Settanta). Pensiamo solo alla superba rivisitazione della
fantascienza in Interstellar. Con Tenet non tocca alla
fantascienza, sebbene il concetto – per fortuna, potremmo dire –
sia indubbiamente fantascientifico: Nolan struttura il suo film rivisitando i codici del film spionistico d'azione. Si potrebbe dire
che Tenet è un James Bond per il ventunesimo secolo. Ossia
introduce nell'epica spionistica, dai moderni Bond ai Mission:
Impossible e via dicendo, la complessità filosofica.
I termini del cinema di
spionaggio, con particolare insistenza nelle opere moderne, sono
l'ambiguità, l'ignoranza del quadro complessivo, il tradimento.
Tutto ciò è ottimo per il cinema ossessivo di Nolan, il quale nei
suoi film si è sempre interrogato sul concetto di realtà; e con
Tenet l'autore costruisce un perfetto quadro “escheriano”
(verrebbe da dire, anche ricordando Inception) di una realtà
multipla e mutevole.
La struttura narrativa
e l'azione spettacolare che la riflette sono un unicum ma si
muovono su due piani interlineati: il primo mette in scena il mondo
quale lo conosciamo (al cinema), il secondo il mondo modificato
dall'inversione del tempo. Anche sul primo, dove il tempo invertito
non c'entra, Nolan com'era prevedibile gioca perfettamente. Basta
menzionare la pagina tesissima del furto del plutonio dal camion che
lo sta trasportando. Da notare che rientra nella tradizione del
cinema spionistico una certa vena di humour a livello dei dialoghi,
con la sfacciataggine “bondiana” del protagonista nei confronti
della gelosia di Sator (“Dimmi se sei andato a letto con mia
moglie” – “Non ancora”). Proseguendo su questa linea, Nolan
introduce una satira dello snobismo dei vecchi film di James Bond in
varie battute (il che giustifica una scena, che altrimenti sarebbe
stata un cameo inutile, con Michael Caine).
Mentre tutti i
personaggi hanno un nome, il protagonista (John David Washington) ne
è privo, pur essendo abbastanza caratterizzato e non senza sentimenti (al punto di rendere il proprio comportamento poco
professionale per un agente segreto). Questa natura anonima riflette
il suo “essere fuori”: a differenza del suo collega Neil (una
bella interpretazione di Robert Pattinson), dal viso furbo e vissuto,
il protagonista ignora il grande quadro, che verrà rivelato alla
fine del film come una ulteriore ridefinizione del contesto. Solo qui
la sua presenza passa dal coraggio della pura performance alla
sicurezza della conoscenza, che può fargli dire in chiusura “I'm the Protagonist”
– e che consente un delizioso (e logicissimo!) rovesciamento della battuta finale di
Casablanca.