Solo nome e cognome. Il
bellissimo film di Clint Eastwood da una storia vera avrebbe potuto
mutuare per il titolo il sensazionalismo dei Quaranta/Cinquanta
(Framed!), il didatticismo dei Sessanta/Settanta (The
Richard Jewell Story), il moralismo dei nuovi anni Dieci (Truth)
– ma si intitola semplicemente Richard Jewell (ciò ricorda
Sully – storia vera anche quella). E' il più
antiteatrale, il più essenziale, il più sobrio e trattenuto dei
film di Eastwood. Lo stile è totalmente interno al racconto.
“Gli eroi son tutti
giovani e belli”, canta Francesco Guccini nella sua elegia su un
atto di terrorismo mancato. Richard Jewell non è né l'uno né
l'altro (beh, giovane lo sarebbe, ma riesce difficile pensarlo tale).
E' grasso e un po' ridicolo (nota come un'inquadratura in
contre-plongée, forma solitamente usata per magnificare, qui
serva a mettere in risalto la sua pancia); è insistente, sembra
tonto, è considerato petulante dai colleghi; è un maniaco del
controllo, sogna di fare il poliziotto ma non c'è riuscito, adora le
armi (un suo fotoritratto in divisa kaki appeso in casa è
effettivamente un po' inquietante!). Non paga le tasse da due anni;
per non dire che – orrore supremo per i liberals – è un
cacciatore iscritto alla National Rifle Association. Ma questa
incarnazione dell'antieroe diventa un eroe nazionale, quando è
addetto alla sicurezza in un concerto per le Olimpiadi di Atlanta e
un mix di intuizione e cocciutaggine lo porta a insistere perché
siano chiamati gli artificieri e sgomberato il terreno attorno a uno
zaino sospetto. La bomba causerà due morti e oltre cento feriti ma
sarebbe stata una strage dieci volte maggiore.
Richard non resta un
eroe a lungo. L'FBI non sa che pesci pigliare, e si rifugia nella
solita logica dei “profili”: un ciccione bizzarro che vive con la
madre... un tipo strambo già licenziato altre volte... non sarà
stato lui? Cominciano a sospettarlo, una giornalista d'assalto
ottiene la soffiata – andando a letto con l'agente FBI che guida le
indagini – ed esce la notizia sulla stampa. Prima che facciate in
tempo a dire “Josef Goebbels”, l'eroe diventa il bombarolo agli
occhi del pubblico americano.
Nella sua odissea
Richard Jewell si trova contro (parole del suo avvocato Watson
Bryant) le due forze più potenti al mondo: il governo americano e i
mass media. Paul Walter Hauser è stupefacente nei panni dell'ingenuo
gigante che ha un totale candore patriottico e sociale, per cui,
quando si trova contro quell'America che riteneva indiscutibile, ha
negli occhi uno sguardo letteralmente ferito. Sam Rockwell come
avvocato Bryant (fisicamente diverso dall'originale) è una figuretta
scattante che imposta un perfetto (e divertente) gioco a due con P.W.
Hauser. Kathy Bates porta al ruolo – difficile perché facile –
della madre di Richard una carica di umanità che le è valsa la
nomination come miglior attrice non protagonista agli Oscar.
La sceneggiatura di
Bill Ray è perfettamente “eastwoodiana”. Clint Eastwood ha una
morale western (sintetizzando con questo aggettivo tutta una serie di
tratti della cultura americana che non si esauriscono nel West, e
anzi cominciano a definirsi già prima della guerra d'indipendenza).
L'importante non è essere cool o socialmente rispettato, ma
essere una persona degna, di cui si possa dire, come l'avvocato e
vecchio conoscente “I believe him”.
La fedeltà di Eastwood
a questa morale nel corso di una lunga filmografia gli dà il diritto
della severità. Così, divide gli uomini e le donne del presente
film in due categorie nette: uomini e vermi (fra cui il professore
ipocrita che denuncia Richard). In questa logica, è per puro
disprezzo che il finale fa cadere il nome del vero attentatore quasi
en passant (c'era un disprezzo
simile, in diversa forma, per la combattente sleale in Million
Dollar Baby).
Supremamente politically
incorrect, il film è
feroce sui due principali responsabili: l'agente FBI Shaw,
pronto a usare tutti i trucchetti sporchi per incastrare Richard, e
la giornalista Kathy Scruggs, che si procura lo scoop grazie a favori
sessuali. Per la morale di Eastwood questa donna è una prostituta, e
il regista integra visualmente la sceneggiatura con uno scherzo
nascosto. Nella scena in cui Kathy si infiltra nell'auto
dell'avvocato Bryant e lui la caccia fuori, quando esce – sera,
campo medio-lungo – vediamo per un attimo l'interprete Olivia Wilde
atteggiarsi in una posizione che ricorda una prostituta di strada.
Ciò solo come segno iconografico: poiché per Eastwood, cantore
libertario della gente semplice, le prostitute di strada possono
essere persone per bene che devono pur vivere, mentre questa è
un'arrivista ambiziosa.
E' solo onesto
aggiungere circa la vera Kathy Scruggs (non necessariamente quella
dipinta nel film: i favori sessuali non furono provati) che se non
altro fu una donna leale: rifiutò sempre di rivelare la sua fonte.
Come si suol dire, c'è
sempre un giudice a Berlino. L'FBI, tramite Shaw, gioca sporco con
Richard in tutti i modi, ma alla fine è costretto a
riconoscere di non essere in grado di provare la sua colpevolezza e a
dichiarare pubblicamente che lui non è più sospettato (se Richard Jewell fosse finito in pasto ai magistrati italiani, sarebbe finito
all'ergastolo). Ma ciò accade solo grazie alla grinta dell'avvocato
– e del protagonista alla fine. E' indicativa una battuta
dell'avvocato a Richard quando si recano al confronto finale con
l'FBI. L'ingenuo Richard dice timidamente “Sono pur sempre il
governo americano” – Bryant risponde: “No... Sono solo tre
stronzi che lavorano per il governo americano”.
Questa distinzione è
importante anche perché illumina un punto centrale della concretezza
di Eastwood: Richard Jewell non è affatto un film kafkiano.
La persecuzione di Richard non appare mai come una forza oscura e
incomprensibile. E' una forza potente, ma messa in moto da individui
precisi... un branco di assholes, per citare lo sboccatissimo
avvocato Bryant. In fondo, sta tutto nell'ammonimento che Bryant
rivolge a Richard all'inizio, quando questi gli dice che ha trovato
un lavoro nella sicurezza: “Basta un po' di potere per fare di una
persona un mostro”.
Il libertarismo americano di Eastwood è
l'erede di una lunga tradizione che si può far risalire a John
Locke: un governo è necessario – ma faremmo bene a non fidarcene
troppo. Quando arriva la prima notizia del rovesciamento di
situazione di Richard, la segretaria immigrata Nadya dice a Bryant:
“Da dove vengo io, se il governo dice che uno è colpevole vuol
dire che è innocente. E' diverso qui?”
Il grande film di Clint
Eastwood potrebbe far pensare a Fritz Lang per il modo secco e
perentorio in cui lancia un monito morale e sociale raccontando una
storia. Un monito tanto più valido oggi che la stupidità diffusa
del web ha moltiplicato a dismisura i pericoli che Richard Jewell
denuncia parlando del lontano 1996.