Hamaguchi Ryusuke
Hamaguchi
Ryusuke parla spesso del suo amore per Eric Rohmer, e in effetti si
può vedere la lezione rohmeriana nel bellissimo Il
gioco del destino e della fantasia (Wheel
of Fortune and Fantasy),
Orso d'Argento al festival di Berlino, ora distribuito nelle sale
italiane dalla Tucker Film. Sulle note di Schumann questo film
mirabilmente intenso
– sceneggiato dal regista – si focalizza sul mondo femminile per
esplorare con un'affascinante delicatezza di sguardo l'amore in tre
variazioni: imprevisti, casi ipotetici, rimpianti, soprassalti,
“intermittenze del cuore”. Il gioco scambievole tra il destino e
la fantasia, ovvero il caso e l'immaginazione, governa tre episodi,
nella splendida interpretazione di quattro protagoniste femminili
(perché l'ultimo è a due); ma vanno elogiati tutti gli interpreti;
Hamaguchi ha fra le sue molte doti una particolare capacità di
direzione degli attori.
Il
discorso amoroso è al centro del film, con un'enfasi particolare sul
potere della parola. Il carattere teatrale del film – articolato in
lunghi dialoghi – conferma una volta di più che il teatro non è
la morte del cinema come crede qualcuno ma può essere
un'opportunità. Questa centratura sul dialogo lo accomuna a un altro
film giapponese di quest'anno, inferiore se non altro come vastità
di orizzonte ma anch'esso assai bello, Sexual
Drive
di Yoshida Kota. Il
gioco del destino e della fantasia s'inserisce
nella linea di molto cinema orientale, dal classico Naruse all'Oshima
più dialogato, come Notte
e nebbia del Giappone,
fino
a Hong Sang-soo. Il testo ha una costruzione di purezza letteraria,
ora evocativa ora sfacciata (lo scambio di battute sui dildo). Anche
se c'è qualcosa di bergmaniano in questo scavarsi dentro reciproco,
il bellissimo dialogo richiama subito alla mente Rohmer, come s'è
detto; ma dire Rohmer vuol anche dire la grande letteratura francese
settecentesca. Infatti nel primo episodio si potrebbe ritrovare lo
spirito de La
notte e il momento
di Crébillon fils, sostituendo l'enfasi passionale contemporanea al
suo gusto analitico del discorso.
Il
raffinato tessuto del dialogo è seguito da una regia nettissima, con
uno splendido uso dello spazio (cui non ruiba attenzione una
fotografia dai colori piuttosto spenti). Nel primo e nel terzo
episodio Hamaguchi è affascinato in particolare dalle vetrate, dalle
finestre, dai loro riflessi – mentre fin dal titolo il secondo si
gioca su una porta aperta che deve restare tale. Fatta salva l'usuale
onnipotenza dello spettatore, che si concretizza nei primissimi
piani, abbiamo l'impressione di vedere le scene nel loro svolgersi
come se fossimo la famosa mosca sulla parete – e ciò grazie a una
regia tanto sobria da sembrare nascosta; ma questa presupposizione
viene messa in crisi da inaspettati interventi discorsivi, che nel
contesto spiccano come autentiche enunciazioni: come un imprevedibile
zoom nel primo episodio, o nel secondo un'improvvisa amplificazione
della dialettica del campo/controcampo attraverso forti sguardi in
macchina. Per non dire che Hamaguchi sul piano narrativo intrappola
il suo stesso realismo consentendosi sorprendenti libertà, come
concludere il primo episodio con due finali alternativi (il secondo
potrebbe anche essere una fantasia di pentimento), o ipotizzare nel
terzo uno scenario “fantascientifico” di alternate
reality,
in cui nel 2019 un virus ha provocato la fine di Internet e siamo
tornati alla posta e al telegrafo.
Il
primo episodio vede protagonista una bellissima modella alla quale la
sua migliore amica racconta del suo nuovo (possibile) fidanzato; e
lei riconosce nelle sue parole l'uomo che da cui si era separata anni
prima, di cui forse è ancora innamorata; fa finta di niente – e si
precipita da lui. Nel secondo un carognesco ex studente manda la sua
amante (una donna sposata, di età superiore alla sua, impopolare e
che si sente inferiore) a cercare di sedurre il professore che lo ha
bocciato, allo scopo di provocare uno scandalo; nell'incontro –
che è una vera e propria lezione di prossemica – la donna si tira
indietro sul più bello; però l'ironia del caso deciderà
altrimenti. Nel
sublime terzo episodio, due donne non più giovani incontrandosi
sulle scale mobili credono di riconoscersi, ma è un equivoco: in
realtà non sono chi pensavano. E' un paragone alto, ma quest'ultimo
episodio può ricordare il Jean Renoir di Partie
de campagne
nella sua capacità di esprimere con abbagliante naturalezza il tema
dell'amore e del rimpianto – chiudendosi peraltro su quella nota
ipotetica che caratterizza tutto il film. Entrambe le donne accettano
la personalità che non è loro, anzi, vi si calano: è come
l'invenzione di un passato possibile; ecco come l'immaginazione e il
caso collaborano nella loro ruota eterna. Il
gioco del destino e della fantasia
mostra come portiamo nell'amore la nostra soggettività, o, detto in
termini più netti: nel gioco dell'amore ci inventiamo le persone.