Uno spettro percorre
“Il grande e potente Oz” di Sam Raimi: lo spettro di Victor
Fleming!
Marx a parte, è
proprio vero che il bellissimo film di Raimi si costruisce in dialogo
col classico del 1939 “Il mago di Oz” di Fleming, tratto dal
romanzo omonimo di Frank L. Baum (primo della saga). Come tutti
sanno, “Il grande e potente Oz” si pone come prequel del film di
Fleming. Non avendo i diritti, Raimi non poteva citare Fleming
direttamente nelle inquadrature (d'ora in poi, per evitare
confusioni, mi riferirò al film con il nome del regista) ma questo
non lo ferma; e intesse nella sua opera una messe di riferimenti. Il
più evidente è l'inizio, che audacemente per i nostri è in b/n e
nell'antico formato 4:3 - proprio come in Fleming, il passaggio al
colore (e qui al formato widescreen) si ha solo quando il “mago”
atterra nella terra di Oz, complice il classico tifone, con la sua
mongolfiera, con cui sta fuggendo dal Kansas e dalla furia di un
erculeo marito cornificato.
Ancora
più importante: l'architrave di Fleming - mancante nel romanzo di
Baum - era la coincidenza
di vari interpreti (Margaret Hamilton, Frank Morgan, Ray Bolger, Bert
Lahr, Jack Haley) che rappresentavano figure analoghe nei due mondi,
la terra di Oz e il Kansas. Ora va ricordato che nel presente film il
prestigiatore Oscar (James Franco, che abbiamo appena visto camping
it up nella
divertente sciocchezza di Harmony Korine “Spring Breakers”) è un
imbroglione dalla morale assai elastica (Raimi ama i protagonisti “al
di sotto dello spettatore”). In una scena basilare, ancora nel
Kansas, i suoi trucchi da baraccone convincono una bambina paralitica
che è un vero mago; lei lo implora piangendo “Fammi camminare” -
ma lui naturalmente non può fare niente. Ci sono momenti di
autentica crudeltà oggettiva del dolore, nel film, il che ci ricorda
che Sam Raimi è sì pienamente inserito nella macchina
hollywoodiana, ma non è mai stato un autore compiacente.
Su
questo snodo, genialmente Raimi coi suoi sceneggiatori riprende la
coincidenza
di Fleming: arrivato nella terra di Oz, il finto mago incontra nel
villaggio-di-porcellana distrutto dalla Strega Cattiva una bambina di
porcellana che piange perché ha le gambe spezzate. Lui gliele
riattacca con un tubetto di colla americana che ha con sé, e la fa
camminare, con tutta la pena e l'ansia dei primi passi: è l'esatto
equivalente, e il risarcimento morale, della scena precedente. E
perché questo sia chiaro Sam Raimi usa la stessa giovane attrice che
interpretava la bambina (Joey King) per dare voce alla statuina di
porcellana.
Lo stesso vale per
Glinda, la strega buona di cui Oscar s'innamorerà, interpretata
dalla stessa attrice (Michelle Williams) di Annie, la ragazza che nel
Kansas lui non aveva voluto sposare per seguire le sue ambizioni.
Naturalmente, al di là di questi casi fondamentali, Raimi si diverte
a inserire nel film varie allusioni al primo capitolo della saga. Per
dirne una: quel leone che il mago spaventa e mette in fuga con un
grande sbuffo di polvere rossa non sarà il Leone Vigliacco del
romanzo? E non sarà diventato vigliacco in seguito a quello shock?
La computer graphics dà
al paese di Oz, con le sue pittoresche rupi ingobbite,
un'interessante realizzazione fantastica, che deve qualcosa ad
“Avatar”. Nello scontro finale, la minacciosa levitazione della
strega Evanora (Rachel Weisz) richiama un'iconografia horror cui
Raimi ha molto contribuito in passato. Un film fiabesco come questo
offre largo spazio al vivace senso cinetico che ha sempre
caratterizzato Sam Raimi; mentre il carattere didattico e realistico
della fiaba di Baum lo costringe a tenere a bada il suo particolare
humour nero (sarebbe interessante vedere cosa tira fuori l'autore de
“La casa” da “Alice nel Paese delle Meraviglie”). Assai bella
la trasformazione di Theodora (Mila Kunis), tramite una mela alla
Biancaneve, in Strega Cattiva, verdastra e nasuta. Quel senso forte
della responsabilità su cui Raimi ha costruito uno dei suoi film più
belli, “Drag Me to Hell”, ritorna in questo sviluppo, giacché
parzialmente responsabile della sua decisione disperata è il mago; e
ciò si vede bene nell'espressione di James Franco quando riconosce
Theodora trasformata.
Il
plot contempla un grande combattimento per la conquista della Città
di Smeraldo dominata dalle due streghe malvagie e dai loro soldati
(delizioso il nome: le Guardie Strizzole). Qui i trucchi di Oz -
riprendendo e amplificando il romanzo - coinvolgono l'uso di un
apparecchio (modificato) del pre-cinema che già avevamo visto
nell'inizio nel Kansas. Al pre-cinema e al protocinema sembra tornare
sempre più nostalgicamente il cinema d'oggi - penso non solo a “Hugo
Cabret” di Scorsese ma anche alla “Biancaneve” di Tarsem King.
Qui però il nume tutelare, largamente citato, è Thomas A. Edison -
forse anche come risposta a “Hugo Cabret”: poesia europea vs.
ingegneria americana.
Nella
sua qualità di prequel, “Il grande e potente Oz” ha il compito
di “lasciare la casa in ordine”, ovvero concludersi su un
panorama narrativo coerente con l'avventura di Dorothy che è la
partenza ufficiale della serie. E infatti alla fine, con la fuga
delle due streghe maligne e la preparazione della panoplia di trucchi
di Oz per i visitatori, proviamo la rassicurante sensazione che tutti
i pezzi sono andati, se non interamente, passabilmente a posto. Tutto
è pronto per Dorothy e Toto.