sabato 23 marzo 2013

Il grande e potente Oz

Sam Raimi

Uno spettro percorre “Il grande e potente Oz” di Sam Raimi: lo spettro di Victor Fleming!
Marx a parte, è proprio vero che il bellissimo film di Raimi si costruisce in dialogo col classico del 1939 “Il mago di Oz” di Fleming, tratto dal romanzo omonimo di Frank L. Baum (primo della saga). Come tutti sanno, “Il grande e potente Oz” si pone come prequel del film di Fleming. Non avendo i diritti, Raimi non poteva citare Fleming direttamente nelle inquadrature (d'ora in poi, per evitare confusioni, mi riferirò al film con il nome del regista) ma questo non lo ferma; e intesse nella sua opera una messe di riferimenti. Il più evidente è l'inizio, che audacemente per i nostri è in b/n e nell'antico formato 4:3 - proprio come in Fleming, il passaggio al colore (e qui al formato widescreen) si ha solo quando il “mago” atterra nella terra di Oz, complice il classico tifone, con la sua mongolfiera, con cui sta fuggendo dal Kansas e dalla furia di un erculeo marito cornificato.
Ancora più importante: l'architrave di Fleming - mancante nel romanzo di Baum - era la coincidenza di vari interpreti (Margaret Hamilton, Frank Morgan, Ray Bolger, Bert Lahr, Jack Haley) che rappresentavano figure analoghe nei due mondi, la terra di Oz e il Kansas. Ora va ricordato che nel presente film il prestigiatore Oscar (James Franco, che abbiamo appena visto camping it up nella divertente sciocchezza di Harmony Korine “Spring Breakers”) è un imbroglione dalla morale assai elastica (Raimi ama i protagonisti “al di sotto dello spettatore”). In una scena basilare, ancora nel Kansas, i suoi trucchi da baraccone convincono una bambina paralitica che è un vero mago; lei lo implora piangendo “Fammi camminare” - ma lui naturalmente non può fare niente. Ci sono momenti di autentica crudeltà oggettiva del dolore, nel film, il che ci ricorda che Sam Raimi è sì pienamente inserito nella macchina hollywoodiana, ma non è mai stato un autore compiacente.
Su questo snodo, genialmente Raimi coi suoi sceneggiatori riprende la coincidenza di Fleming: arrivato nella terra di Oz, il finto mago incontra nel villaggio-di-porcellana distrutto dalla Strega Cattiva una bambina di porcellana che piange perché ha le gambe spezzate. Lui gliele riattacca con un tubetto di colla americana che ha con sé, e la fa camminare, con tutta la pena e l'ansia dei primi passi: è l'esatto equivalente, e il risarcimento morale, della scena precedente. E perché questo sia chiaro Sam Raimi usa la stessa giovane attrice che interpretava la bambina (Joey King) per dare voce alla statuina di porcellana.
Lo stesso vale per Glinda, la strega buona di cui Oscar s'innamorerà, interpretata dalla stessa attrice (Michelle Williams) di Annie, la ragazza che nel Kansas lui non aveva voluto sposare per seguire le sue ambizioni. Naturalmente, al di là di questi casi fondamentali, Raimi si diverte a inserire nel film varie allusioni al primo capitolo della saga. Per dirne una: quel leone che il mago spaventa e mette in fuga con un grande sbuffo di polvere rossa non sarà il Leone Vigliacco del romanzo? E non sarà diventato vigliacco in seguito a quello shock?
La computer graphics dà al paese di Oz, con le sue pittoresche rupi ingobbite, un'interessante realizzazione fantastica, che deve qualcosa ad “Avatar”. Nello scontro finale, la minacciosa levitazione della strega Evanora (Rachel Weisz) richiama un'iconografia horror cui Raimi ha molto contribuito in passato. Un film fiabesco come questo offre largo spazio al vivace senso cinetico che ha sempre caratterizzato Sam Raimi; mentre il carattere didattico e realistico della fiaba di Baum lo costringe a tenere a bada il suo particolare humour nero (sarebbe interessante vedere cosa tira fuori l'autore de “La casa” da “Alice nel Paese delle Meraviglie”). Assai bella la trasformazione di Theodora (Mila Kunis), tramite una mela alla Biancaneve, in Strega Cattiva, verdastra e nasuta. Quel senso forte della responsabilità su cui Raimi ha costruito uno dei suoi film più belli, “Drag Me to Hell”, ritorna in questo sviluppo, giacché parzialmente responsabile della sua decisione disperata è il mago; e ciò si vede bene nell'espressione di James Franco quando riconosce Theodora trasformata.
Il plot contempla un grande combattimento per la conquista della Città di Smeraldo dominata dalle due streghe malvagie e dai loro soldati (delizioso il nome: le Guardie Strizzole). Qui i trucchi di Oz - riprendendo e amplificando il romanzo - coinvolgono l'uso di un apparecchio (modificato) del pre-cinema che già avevamo visto nell'inizio nel Kansas. Al pre-cinema e al protocinema sembra tornare sempre più nostalgicamente il cinema d'oggi - penso non solo a “Hugo Cabret” di Scorsese ma anche alla “Biancaneve” di Tarsem King. Qui però il nume tutelare, largamente citato, è Thomas A. Edison - forse anche come risposta a “Hugo Cabret”: poesia europea vs. ingegneria americana.
Nella sua qualità di prequel, “Il grande e potente Oz” ha il compito di “lasciare la casa in ordine”, ovvero concludersi su un panorama narrativo coerente con l'avventura di Dorothy che è la partenza ufficiale della serie. E infatti alla fine, con la fuga delle due streghe maligne e la preparazione della panoplia di trucchi di Oz per i visitatori, proviamo la rassicurante sensazione che tutti i pezzi sono andati, se non interamente, passabilmente a posto. Tutto è pronto per Dorothy e Toto.

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