Sherlock Holmes non è
semplicemente un investigatore vittoriano, è un’icona. Per questo ha goduto e
gode tuttora di una serie infinita di trascrizioni cinematografiche e di
riscritture letterarie (due termini che sovente coincidono). Di recente abbiamo
visto i due film (deliziosi) di Guy Ritchie e la serie televisiva in abiti
moderni con Benedict Cumberbatch (sarò sincero, not my cup of tea, ma Cumberbatch è ottimo e il processo del
pensiero non era mai stato reso visivamente così bene); ecco ora l’interessante,
ma non troppo riuscito, Mr. Holmes – Il
mistero del caso irrisolto di Bill Condon. Ian McKellen vi interpreta Sherlock
Holmes nella sua vecchiaia – ed è un doppio film in realtà, poiché ci mostra
Holmes vecchissimo in ritiro nel Sussex nel 1947 e, sul filo del flashback,
Holmes vecchio, molti anni prima, nel suo ultimo caso (mentre noi ce lo
immaginiamo sempre giovane, o al massimo di mezza età, va ricordato che il
cinema comprende almeno un altro Holmes vecchio, Peter Cushing ne La maschera della morte di Roy Ward
Baker).
In realtà questo non è tanto
un film di Holmes quanto un film post-Holmes. L’uomo che aveva stupito il mondo
coll’acutezza del suo ingegno ora deve fare i conti con la perdita senile della
memoria; né la pappa reale delle api che alleva né una miracolosa pianta
giapponese servono a niente; eppure lui deve cercare, in modo doloroso e
frustrante, di ravvivare i suoi frammenti di memoria per ricostruire quell’ultimo
caso di tanti anni prima. Dopo quel caso Holmes era andato in crisi e aveva
deciso di ritirarsi dall’attività investigativa; il dottor Watson - ora
defunto, come gli altri personaggi della saga - ne aveva scritto una versione
infedele dall’esito positivo, intitolata Il
mistero della donna del guanto. E’ assai bella l’invenzione di un vecchio
film in b/n tratto da quel racconto, che Holmes va a vedere in una scena
(piccolo scherzo metacinematografico: lo Sherlock Holmes del film-nel-film è
interpretato da Nicholas Rowe, che interpretò effettivamente il giovane Holmes
in Piramide di paura).
Ora il vecchio Holmes,
negli ultimi giorni della vita, vorrebbe mettere su carta la versione autentica
dell’accaduto… ammesso che quella che a poco a poco ricorda lo sia… a beneficio
di un ragazzino suo amico, ma soprattutto per fare i conti col proprio passato.
Sarebbe stato molto interessante collegare la perdita della memoria da parte di
Holmes con la mancanza che ha questo bambino della memoria del padre morto in
guerra; ma il film non ci pensa (Christopher Nolan, per dirne uno, non si
sarebbe fatto scappare questo spunto).
Mr. Holmes è una descrizione impietosa della vecchiaia (Ian
McKellen, senza sorpresa, è eccezionale). E’ evidente la somiglianza con il
miglior film di Bill Condon, Demoni e dei
(Gods and Monsters), del 1998,
anch’esso interpretato da McKellen: un ottimo film sugli ultimi giorni del
regista omosessuale James Whale, il grande e sottovalutato autore dei primi due
Frankenstein e de L’uomo invisibile: anche quello un film
sulla vecchiaia, la memoria, la solitudine e in una parola il declino.
L’impianto narrativo è
indubbiamente affascinante, e certo questo è un film da raccomandare a tutti
gli holmesiani. Contrariamente a ciò che con una certa astuzia commerciale suggerisce
il trailer, Mr. Holmes non parla di
un antico cold case che viene risolto
tanti anni dopo bensì del tentativo di ricordarlo per spiegarsene il
significato morale e affettivo.
Il problema del film è un
problema di sceneggiatura. Qui devo fare una confessione preliminare: non ho
letto il romanzo omonimo di Mitch Cullin da cui il film è tratto. Tuttavia ciò
non impedisce di fare una recensione, perché in ogni caso la questione è come
il romanzo sia trascritto in termini sia narrativi (sceneggiatura appunto) sia
di linguaggio filmico. La storia giapponese che s’incrocia con la storia
principale, e che unisce il ricordo di un vecchio viaggio con l’emergere di un
altro episodio dimenticato, è inserita alquanto goffamente, nonostante la
sequenza a Hiroshima sia assai buona; in particolare la scena – che il
prosieguo rivelerà importante – del tè a casa del signor Umezaki con sua madre è
veramente girata con la mano sinistra, roba da seconda unità.
E poi, la storia (il caso
della donna del guanto) che giace alla base di tutto ha una risoluzione
francamente fiacca. Sherlock Holmes si è ritirato dall’attività investigativa
per punirsi di un fallimento, e non ricorda quale; è un heauntotimorumenos senza sapere più perché; non si potrebbe
immaginare un destino peggiore. Questo chiamerebbe uno sviluppo impressionante
e terribile, il cuore pulsante del film. Invece esso, quando arriva, delude –
non tanto per il contenuto (si gira intorno al solito discorso di Sherlock
Holmes troppo cervello e poco cuore) ma per il modo frettoloso in cui è esposto.
Il punto è che in Mr. Holmes Bill
Condon si dimostra più capace nell’analisi che nella sintesi: i singoli pezzi
sono (sovente) ammirevoli, il quadro complessivo che compongono risulta
piuttosto spento. Diciamo la verità, Sir Arthur Conan Doyle – che pure non
amava il suo eroe – ne capiva di più.