Comincio dal fondo. Non è
per nulla che alla fine della bellissima commedia di Peter Bogdanovich She’s Funny That Way (Tutto può accadere a Broadway) compare
Quentin Tarantino nella parte di se stesso. Il vecchio Bogdanovich e il giovane
(beh…) Tarantino hanno una cosa in comune: la tendenza a costruire film sul
cinema, formare una storia che non è una mimesi sia pur ironica della realtà ma
una mimesi (celebrativa) della mimesi cinematografica della realtà.
Poi naturalmente ognuno ha
la sua strada. Tarantino crea un mondo surreale, un collage di memorie
cinematografiche riproposte in una nuova composizione; Bogdanovich crea un
film-celebrazione che nasce dalla riproposizione nostalgica, quasi filologica,
dell’universo della commedia classica.
Non potrebbe dichiararlo
più chiaramente She’s Funny That Way,
che parte con l’omaggio a Fred Astaire e Ginger Rogers, Spencer Tracy e
Humphrey Bogart; che vive di riferimenti e citazioni; che si conclude con un
capitale frammento di Cluny Brown (Fra le tue braccia) di Lubitsch. Questo
frammento finale assolve a più scopi: paga un debito riconoscendo l’origine del
tormentone della noce e dello scoiattolo che attraversa il film; chiude in modo debitamente
metacinematografico il film; rende omaggio a uno dei numi ispiratori del film
stesso.
Per Bogdanovich i film
classici non sono solo delle belle storie. Sono delle allegorie dell’esistenza,
dei miti nel senso proprio della parola, che danno lezioni di vita e di morale.
Dunque il citazionismo polimorfo del film non è semplicemente una raccolta di
momenti preziosi e venerati stilemi ma è un riferimento costante che serve a
costruire una visione del mondo e un’etica. Si potrebbe dire: cinematographia magistra vitae. E così la
protagonista Isabella (Imogen Poots) trae la sua filosofia e la sua etica dai
film - classici, ripeto (proprio come fa Woody Allen in Crimini e misfatti: le scene col nipote). La sua visione del mondo
ha un’identificazione precisa, Audrey Hepburn: che è punto di riferimento di She’s Funny That Way sia nella soggettività
della protagonista sia nell’oggettività del plot.
Questo materiale mitico
si organizza in forma di replica (calda, invitante e, non occorre dirlo,
divertentissima) delle commedie del cinema americano di una volta. E’ questa una
delle basi del cinema di Bogdanovich, e basta citare Ma papà ti manda sola? Reggono il film un gusto narrativo
vivacissimo, un senso scatenato del ritmo (ottimo per una storia che è un
turbinio di equivoci e inganni a catena), un dialogo scoppiettante.
Come si suol dire:
nessuna buona azione resta impunita. Il ricco regista teatrale Arnold Albertson
(Owen Wilson) è un libertino benefattore: alle escort che gli sono simpatiche
regala 30.000 dollari sull’unghia, col che dà loro l’opportunità di cambiar
vita. Così fa con Isabella, una escort ottimista piena di onestà e buon senso,
alla quale si presenta sotto il nome di Derek, perché è sposato con figli (è
buffo che Derek Thomas fosse lo pseudonimo di Bogdanovich quando, lavorando per
Roger Corman, “americanizzò” un fantafilm russo). Naturalmente salta tutto
fuori; si potrebbe dire che She’s Funny
That Way è un’illustrazione farsesca della teoria dei sei gradi di
separazione, solo che qui ne occorrono assai meno. E’ una carambola di sorprese
per i personaggi (ma anche per noi spettatori quando veniamo a sapere che
quella di Arnold era una filantropia al plurale, fino alla deliziosa rivelazione
finale). Una carambola di sorprese - continuamente punteggiata dallo squillo
dei telefoni che inter/rompono sempre - in cui ogni maschio prima o poi si prende
in faccia un cazzotto. L’umorismo di Bogdanovich, co-sceneggiatore con Louise
Stratten, è dissolvente. I rapporti matrimoniali, quelli di amicizia, quelli di
lavoro, per non dire de quell’idolo americano che è la psicoanalisi, si sciolgono
nel calderone di incontri scontri e sotterfugi; mentre le forze che muovono il
mondo risultano essere il sesso, il denaro e (attenzione!) la gentilezza.
Non occorre essere un
acido laudator temporis acti per osservare
che in She’s Funny That Way c’è una
felicità di narrazione e di ritmo che appartiene piuttosto alle commedie del
passato che del presente. E viene da pensare (con qualche amarezza) che appartiene
al passato anche quella soprannaturale perfezione collettiva, da orchestra, delle
caratterizzazioni e delle interpretazioni - che si allarga anche agli animali
(Hawks insegna!). Nella commedia americana contemporanea, solo forse in alcuni
film di Woody Allen, non gli ultimi, si è visto un effetto del genere. Di
questa galleria di personaggi… come si diceva al tempo della screwball comedy… picchiatelli, non ce
n’è uno che non sia azzeccato. E siccome ci vorrebbe un paragrafo intero per
menzionarli, personaggi e attori, meglio rinunciare.
Forse anche credere nel
lieto fine, come ci crede pervicacemente Isabella, è una cosa del passato. E
certo, mettere come figura positiva una escort nell’epoca del politically correct e della sessuofobia
femminista fa anch’esso commedia del passato (ricordo capolavori di Billy
Wilder come Irma la dolce e Baciami,
stupido). Se penso a Peter
Bogdanovich (il cui film ha avuto vita grama negli States) la sola definizione
che mi viene in mente è di origine geopolitica: “orgoglioso isolamento”.
Nessun commento:
Posta un commento