La
bruttezza del corto spin-off di Frozen
che lo precede non può che far risaltare per contrasto la
sorprendente bellezza di Coco,
uno dei migliori cartoni animati realizzati dalla Pixar in assoluto.
Diretto da Lee Unkrich
e Adrian Molina, sceneggiato da Adrian Molina e Matthew Aldrich, con
il maestro John Lasseter come produttore esecutivo, Coco è
un caldo omaggio al Messico – già nel dialogo inserisce
allegramente frammenti di spagnolo (abuelita, ¡callate!,
ya lo sabia) – e alla cultura messicana, specialmente
relativa al Dia de los Muertos: il giorno dei morti, nel quale
le anime dei trapassati lasciano l'oltretomba e vengono a visitare,
invisibili, i loro familiari.
Il piccolo Miguel sogna
di fare il cantante, ma la sua famiglia di calzolai odia la musica da
generazioni: da quando il trisnonno abbandonò la moglie per seguire
la carriera musicale (non andò proprio così, ma la verità viene
fuori a poco a poco nel film). Del trisnonno non si parla, non c'è
la sua fotografia sull'altare delle ofrendas nel giorno dei
morti, e guai a menzionare canzoni e chitarre. La ribellione di
Manuel contro la famiglia proprio nel Dia de los Muertos si
trasforma in una affascinante ma pericolosa avventura, catapultato
nel mondo dei morti. Ciò che apprende in quel luogo cambierà il
destino suo e quello della famiglia. Il cane Dante, suo compagno nel
viaggio, rappresenta una perfetta incarnazione del tradizionale
sidekick (compare) comico, con un'animazione divertentissima
delle espressioni.
La base grafica del
film sono le stampe messicane di scheletri vestiti a festa (possiamo
ricordare le splendide incisioni di José Guadalupe Posada,
1851-1913). Gli attivissimi morti di Coco appaiono appunto
come scheletri vestiti (memorabili, quindi, le scollature delle
signore), col teschio ornato di decorazioni dipinte in classico stile
messicano.
Al
di là della bellezza dell'animazione in computer graphics (che la
compagnia di John Lasseter, non occorre ricordarlo, ha
rivoluzionato), la grande dote della Pixar sta nella scrittura:
nell'intelligenza trascinante del racconto. Le parole chiave sotto
questo suo aspetto sono: completezza e stratificazione.
La
seconda è ovvia, e naturalmente non è prerogativa esclusiva della
Pixar: i suoi film hanno una ricchezza di livelli di lettura
ammirevole, sotto quello destinato ai bambini, con ammiccamenti –
cinefili e non – che servono a deliziare gli adulti.
In Coco non solo i
frammenti di film-nel-film (le vecchie pellicole di cinema messicano
in b/n interpretate dall'attore-cantante Ernesto De La Cruz, che
forse è il trisnonno perduto) sono inventati con un gusto storico
scrupoloso, ma è da ammirare tutta la ricchezza di particolari
minori che compongono quest'affresco messicano. Esempio: già
all'inizio si rende omaggio ai luchadores (i
campioni di wrestling mascherati che incarnarono un'epoca eroica e
fascinosa del cinema popolare messicano) con una maschera che non è
quella del più famoso di tutti loro, El Santo, ma piuttosto ricorda
quella del suo rivale Blue Demon. Ma non preoccupatevi: El Santo in
persona, con la sua maschera d'argento (era el enmascarado
de plata), compare più tardi
nel mondo dei morti; e qui, in una gag deliziosa, abbiamo anche
l'occasione di imparare da un suo ammiratore come ci si fa un selfie
nell'aldilà.
Qualcuno
potrebbe obiettare che almeno i bambini americani possono avere
un'idea di tali personaggi attraverso la tv (sempre che esistano
ancora i late night movie shows
della nostalgia). Però ben difficilmente i bambini
possono conoscere un'icona della cultura messicana moderna come Frida
Kahlo; e proprio lei compare nel film fra i VIP dell'oltretomba (per la verità, più spesso come travestimento per intrufolarsi, con
tanto di sopracciglia unite). E' alquanto strano che non ci sia anche
Diego Rivera, nella compagnia... questione di diritti?
Con
ciò arriviamo al secondo termine, la completezza. Il cinema della
Pixar crea praticamente un'antropologia dei mondi immaginari.
Partendo da una premessa... metti, quella derivata da Andersen dei
giocattoli che prendono vita quando restano da soli (Toy
Story)... gli autori Pixar non
si limitano a svilupparla come plot ma ci creano intorno tutto un
universo comportamentale e ideale, una cultura.
Vedi appunto Toy
Story, ma anche A
Bug's Life, Monsters &
Co., e pure il più modesto
Cars. Fino al tour
de force di trasformare il film
in una teorizzazione complessiva del funzionamento della psiche
antropomorfizzando le sue forze elementari nel capolavoro Inside
Out.
In
Coco questa
completezza si esplica nella descrizione del mondo dei morti come
replica e deformazione fantastica del mondo dei vivi (comprendente
anche dei bassifondi abitati dai morti che stanno per essere
dimenticati). Un aldilà messicano vivacissimo e colorato quanto il
suo omologo ne La sposa cadavere
di Tim Burton – film al quale Coco
è ovviamente debitore, in particolare rispetto alle gag delle
reazioni di stupore dei morti, con mascelle che cascano giù, occhi
che rotolano dentro il teschio e riappaiono nella bocca spalancata;
nonché ai giochi sulla scomponibilità dello scheletro (che invero
Tim Burton doveva al vecchio cartoon disneyano Skeleton
Dance); in questa linea, la gag
più divertente è quella dei due zii gemelli che durante una rissa
si staccano un avambraccio e lo usano come un nunchaku
da film di arti marziali.
Accanto
a los muertos, questo
aldilà è popolato dagli alebrijes
(esistono davvero in Messico, come opere artigianali rappresentanti
animali bizzarri), spiriti guida qui convertiti in una specie di pets
dei morti. La vita cittadina dell'oltretomba offre mille occasioni di
dettagli lepidi (il pittore con la modella nuda, cioè puro
scheletro). Il film è sfavillante di umorismo. L'idea più
divertente è che la partenza e il ritorno lungo il ponte di petali
che nel Dia de los Muertos collega
il mondo dei viventi e quello dei morti sono equiparati ai controlli
in aeroporto, con poliziotti e doganieri, computer e
scannerizzazione dell'immagine (può passare solo chi ha una foto
sull'altare delle ofrendas
dei vivi).
Ma
sotto la superficie comico-avventurosa piena di musica, Coco
si inserisce nella categoria del romanzo di formazione e soprattutto
del melodramma. E' poetico e (molto) commovente. Cane chi non si è
asciugato una lacrima nella scena di climax sentimentale in cui la
bisnonna recupera la memoria! Non per nulla Coco è il nome di
quest'ultimo personaggio, non del protagonista, e il motivo si rivela
solo tardi nel film. Coco
è un'elegia della famiglia e della continuità familiare – com'è
giusto per un paese che attraverso la ritualità del Dia de
los Muertos esalta questa
continuità nel ricordo.