Chi
fa un remake si assume una responsabilità. Volente o nolente il suo
film dialoga col film precedente (specie se si muovono nella stessa
lega: non come i due La mosca di
David Cronenberg e di Kurt Neumann). Così, riesce inevitabile
– oltre che istruttivo
– paragonare Assassinio
sull'Orient Express (dal romanzo
di Agatha Christie) di Kenneth Branagh con il film del 1974 di Sidney Lumet.
Una
cosa va detta prima di tutto. Il romanzo della Christie, nella sua
conclamata impossibilità,
è un meta-giallo. Giustamente Sidney Lumet col suo sceneggiatore
Paul Dehn lo trasformò in un film meta-cinematografico attraverso
una dichiarata teatralità (vedi il trucco di Poirot) e un uso
geniale del cast. Esempio massimo, e famoso, quello di Anthony
Perkins (McQueen, il segretario dell'assassinato). Quando Poirot gli
chiede “Perdoni la domanda freudiana: lei amava sua madre?”, si
innesta un cortocircuito vertiginoso (Psycho).
E' un caso limite, ma in quel film anche la spiritosissima Lauren
Bacall non prescinde dalla sua figura
filmica. E l'egualmente spiritosa Ingrid Bergman
– che ci guadagnò un Oscar
– col suo esilarante
inglese dalla pesante inflessione svedese (il modo in cui pronuncia
Minneapolis è fenomenale) non è esente dal riferimento a Greta
Garbo, anche esplicitato in una battuta di Poirot mancante nella
versione italiana.
Ora,
un'operazione del genere è stata possibile solo in un'epoca (allora
agli sgoccioli) in cui i divi si portavano dietro un'aura. Erano una
memoria cinematografica ambulante. Il nuovo Assassinio
sull'Orient Express è
interpretato da buoni attori di fama. Li riconosciamo e li
amiamo: Judi Dench (magnifico il suo sputo molto russo quando sente
il nome di Cassetti!) la adoreremmo anche se stesse seduta senza
muovere un muscolo. Ma è indubbio che gli attori d'oggi incarnano
un'altra epoca dello Spirito cinematografico rispetto alle antiche
star. Questo non è per dire che il nuovo Orient Express non
offra godibilissime interpretazioni. Michelle Pfeiffer, la migliore
in campo, è spiritosa senza rifare la Bacall. Willem Dafoe presenta
un perfetto cambiamento del personaggio “in corsa”. Johnny Depp
mostra un gioco degli occhi ammirevole, perfettamente
corrispondente alla descrizione di Agatha Christie.
Kenneth
Branagh è bravo nella sua interpretazione, alquanto spiazzante, di
un Poirot diverso dalla tradizione. Un Poirot più giovane,
provvisto dei francesismi canonici ma dai baffi poco ortodossi
(strano che a volte dorma col piegabaffi, a volte no!), e con una
storia d'amore alle spalle. Mantiene l'atteggiamento fussy a
proposito dell'ordine e della simmetria – anche se l'episodio della
merda pestata due volte è un'esagerazione umoristica poco in linea
con il personaggio – ma sotto la sua sicurezza si agitano dei
dubbi; tanto che a un certo punto la sceneggiatura di Michael Green è costretta a
rubare una frase dalla sua autocritica in articulo mortis nel
suo ultimo romanzo, Sipario. In
compenso, comunque, una sua battuta, “Se fosse così facile non
sarei famoso”, è perfetta, assolutamente poirottiana.
Molto
buono, nel film, è l'uso dei flashback in b/n, e ottima l'idea del
filmino di famiglia con la piccola Daisy che vi compare.
Passabilmente suggestiva l'inquadratura “a piombo” in tutta la
scena della scoperta dell'omicidio. Bene il pugnalamento in
soggettiva della vittima. Il problema per il quale questo nuovo
Orient Express lascia piuttosto perplessi è un altro. Da un
lato il film di Branagh vuole riprendere Agatha Christie e la
struttura molto dialogata del giallo inglese anni '30; dall'altro è
spaventato all'idea che il plot non incontri il gusto rozzo delle
platee specialmente giovanili d'oggi, e così cerca di “movimentarlo”
il più possibile. In primo luogo, tenta di “aprire” sia sul
piano fisico sia su quello narrativo. Nel presente film non è un
accumulo di neve a bloccare il treno ma addirittura una valanga e un
deragliamento. I lavoranti venuti dalla stazione più vicina arrivano
subito; e si potrebbe obiettare che ciò toglie quel senso di
isolamento presente nella storia. Di più, cerca di rendere la storia
più “avventurosa” rispetto all'originale (Christie e Lumet) –
ma questo lo porta anche ad autentiche sciocchezze (attenzione:
seguono spoiler).
Pazienza
per la scena dell'inseguimento sul ponte: un Poirot più giovane può
anche essere più atletico. Ma è ridicola la figura del
conte-ballerino picchiatore (la peggiore del film). E' una
grossolanità la pistola puntata verso Penelope Cruz quando sbaglia
scompartimento. E' una balordaggine, nel contesto, la trovata del
coltello piantato nella schiena di Michelle Pfeiffer anziché
abbandonato per farlo trovare. E soprattutto è assolutamente stupido
lo sparo che ferisce Poirot nel pre-finale. Il tentativo di patina
avventurosa, troppo goffo e scoperto, ricade su se stesso.
Così
il film – che si chiude con l'annuncio, celato nel dialogo, di un
prossimo Assassinio sul Nilo – pur essendo normalmente
piacevole da vedere lascia un piccolo retrogusto di delusione.
Parafrasando Benedetto Croce, noi amanti del giallo classico “non
possiamo non dirci christiani”. Non penso che Agatha Christie si
rivolterà nella tomba o verrà a tirare i piedi a Branagh di notte.
Lei poi era molto pragmatica. Tuttavia, se fossi nei panni di Kenneth
Branagh, mi terrei lontano dalle sedute spiritiche per un po'.
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