Il
caso ha voluto che uscissero contemporaneamente due sontuosi film in
costume su regine inglesi e su una guerra fra due donne: Maria
regina di Scozia di Josie Rourke e La favorita di Yorgos
Lanthimos. Nel primo, si battono Elisabetta I e Maria Stuarda (Margot
Robbie e Saoirse Ronan); nel secondo due Ladies, Sarah Churchill
duchessa di Marlborough e Abigail Masham (Rachel Weisz e Emma Stone),
combattono per il favore della regina Anna (Olivia Colman). Ma c'è
un altro fattore comune sul quale fondare una comparazione che
altrimenti sarebbe oziosa, ed è quello espresso da Yorgos Lanthimos
in un'intervista: “Ho introdotto elementi che potessero
continuamente contraddire il
fatto che fosse un'opera storica” (questo peraltro nei film
“storici” si è sempre dato: ma non come progetto).
Il
brutto Maria regina di Scozia –
che crede di rendere il passato solo perché i personaggi dicono
“aye” invece di “yes”, e che non ha la minima idea della
prossemica della regalità (Elisabetta che bacia la mano di Leicester
in pubblico!) –
attua questa disinvoltura storica mettendo in scena un attore nero
doverosamente abbigliato da gentiluomo elisabettiano nel ruolo di
Melville, l'ambasciatore di Elisabetta in Scozia; Davide Rizzio è
visibilmente sudamericano; vediamo anche un nero, con l'aria di chi
fa finta di niente, marciare fra le guardie del corpo di Maria
Stuarda. Non è soltanto la mania americana della correttezza
politica spinta fino a costo di rendere improbabile la messa in
scena. Josie Rourke è una regista di teatro, e il film tende verso
un'impostazione irrealistica, o se si preferisce astratta, di tipo
teatrale. Basta notare che, mentre per Elisabetta il tempo passa,
Maria rimane sempre giovane e uguale fino alla sua decapitazione
(nella realtà storica, quando il boia sollevò la testa troncata, la
parrucca cadde rivelando il viso di una donna invecchiata con corti
capelli grigi).
E'
un difetto tutto ciò? Per nulla; a patto che si mantenga la
coerenza. Se irrealismo dev'essere, deve applicarsi a tutta l'opera,
stile Romeo + Juliet. Invece Maria regina di Scozia
cerca un po' ingenuamente di incrociare questi tocchi irreali alla
volontà di riagganciarsi alla lussuosa mise en scène dei
film storici, per esempio nei costumi (esagerando però l'aspetto
selvaggio dei gentiluomini scozzesi come il conte di Moray: basta
guardare i suoi ritratti); e l'effetto è di renderlo
contraddittorio.
Tuttavia
non è per questo che il film fa
rimpiangere non solo il follemente romantico Maria di
Scozia di John Ford del
1936 (Katharine Hepburn contro Florence Eldridge) ma anche il
vivace Maria Stuarda, regina di Scozia di Charles Jarrott del
1971 (Vanessa Redgrave contro Glenda Jackson). Il fatto è che la
tragedia storica, come quella letteraria, impone una responsabilità
artistica. Se l'autore, di fronte ad essa, ne abbandona i tratti
possenti e tragici per ridurla a un piccolo dramma personale, si
assume una grossa responsabilità sul piano estetico. Nel presente
film, non solo perdiamo l'amour fou di Maria Stuarda – una
donna grande anche nella sua passione – per Bothwell, un amore che
arriva fino al delitto (non per dire che Darnley non meritasse di
saltare in aria, e questo è un fatto); molto peggio, perdiamo una
lotta di potere e di sublime ipocrisia reciproca fra queste due
grandi regnanti, in cambio di... che cosa? Di un interminabile
litigio fra due donne maltrattate e/o manovrate dagli uomini, donne
che altrimenti avrebbero dovuto volersi bene, in salsa femminista.
“Come sono crudeli gli uomini”, dice tristemente Elisabetta in
una scena – lei, una che gli uomini se li mangiava a colazione. La
mediocrità sospirosa e didattica del loro rapporto quale lo vediamo
qui si avvicina pericolosamente a una telenovela risciacquata nelle
acque del politically correct. Basato su un ossessivo
montaggio parallelo fra le due regine, e molto confidente nella
bellezza dei paesaggi scozzesi, Maria regina di Scozia sostituisce
la forza espressiva di cui manca (se non in rare scene) con la
pomposità della fotografia e del montaggio.
Senza
sorpresa, La favorita di
Lanthimos è di levatura assai maggiore. Quell'atteggiamento
disinvolto nei confronti della ricostruzione storica è assai più
articolate e sfumato (in questo il film può ricordare il notevole
Marie Antoinette di
Sofia Coppola). Così Lanthimos cala la sua tendenza all'astrazione
fantastica e metaforica nella concretezza del passato; e introduce
nel suo nichilismo una particolare ironia descrivendo il suo gioco
perverso.
Questo non significa
che nel film sia assente la dimensione del grottesco. Ma i dettagli
grotteschi (dal ciccione nudo con la parrucca bersagliato di arance
al bordello dove finisce Lady Sarah dopo essere stata trascinata dal
cavallo imbizzarrito) rientrano perfettamente nel quadro storico
generale; ed esplodono nel particolare straziante dei conigli che la
regina alleva come “figli” sostitutivi dei suoi diciassette figli
perduti.
Un eccellente uso delle
ombre, dell'illuminazione espressiva, delle fonti di luce naturali,
fa pensare a Kubrick, naturalmente (del resto, Kubrick è un
caposaldo del cinema di Lanthimos) – ma a un Kubrick impazzito.
Molte inquadrature usano un grandangolo esagerato, quasi un fisheye
– in un passaggio, anche nel movimento di macchina – che crea
uno spazio-tempo irreale, deforme e inquietante.
A
differenza di Josie Rourke, Lanthimos ha una percezione autentica del
potere e delle sue battaglie; non solo nella rievocazione
storico-politica ma nella vita quotidiana: penso alle bellissime
scene in cui Sarah e Abigail si esercitano a sparare. Alla visione,
vien subito da pensare che il bel dialogo
vivace (la sceneggiatura è di Deborah Davis e Tony McNamara) sembra
ispirato a Congreve,
Wycherley e tutto il teatro della Restaurazione. Ma un'ulteriore
riflessione fa ipotizzare che questo riferimento non sia limitato al
solo gioco linguistico. L'elegante pessimismo e immoralismo delle
commedie della Restaurazione informa di sé tutto lo svolgimento.
Questa gara di cattiveria, magnifico gioco di potere e di astuzia fra
le due dame sulla pelle della debole regina, diventa un gioco
raffinato e, osiamo dirlo, assai divertente, cui si assiste come a
una sfida sportiva (del resto, il film presenta anche una scena
d'amore come un incontro di rugby). Lo sguardo freddo di Lanthimos
sulle emozioni umane trova così una base forte su cui articolarsi
senza bisogno di invenzioni metafisiche.
L'arma
principale delle due Ladies nella loro lotta (senza escludere la
calunnia, l'avvelenamento e il ricatto) è il sesso omosessuale. Il
film mette al suo centro la guerra lesbica per influenzare la regina
(con la quale il rapporto omosessuale è storicamente non provato, ma
in effetti sospettato). Se per Abigail il rapporto con la regina è
il mezzo per un'ascesa sociale che coincide anche con la propria
sopravvivenza, per Lady Marlborough, moglie del più grande generale
inglese, è qualcosa di più: è un'arma nella lotta politica per
sostenere le politiche del partito Whig di Lord Godolphin e del
marito contro il partito Tory di Robert Harley – che nel film
appare particolarmente vampiresco e crudele col suo viso
imbellettato. La regina, con la sua malattia, la sua nevrosi che
arriva fino a tendenza suicide, il suo senso di inferiorità, è la
posta di una guerra che unifica la lotta sociale e la lotta politica,
con il suo prolungamento bellico nella guerra con la Francia.
Sono tre ritratti di
donna mai gratuiti o retorici, o peggio didattici, concretizzati in
tre stupefacenti interpretazioni continuamente mutevoli fra
spietatezza e vulnerabilità. Tre ritratti partecipi e sfaccettati,
in cui la regina Anna è il lato più doloroso e perdente. Alla fine
del film, in una audace tripla sovrimpressione, i conigli della
regina invadono sempre più lo schermo fino a cancellare i volti
umani, fino a diventare l'unica cosa distinguibile, come una
materializzazione di disperazione e dolore.