Ultimi
o ultimo? E' ambiguo (Jedi essendo indeclinabile) il sottotitolo
originale The Last Jedi del nuovo episodio, Star Wars:
Episodio VIII – Gli ultimi Jedi, sceneggiato e diretto da Rian
Johnson (avvertimento: fin dal primo capoverso – record! – questa
recensione contiene spoiler, quindi la legga solo chi ha già visto
il film). Forse sarebbe stato più corretto tradurre “L'ultimo
Jedi” (cioè Luke Skywalker, che vuole porre fine all'Ordine); ma
in tal caso il titolo avrebbe rivelato troppo del contenuto.
La
nuova trilogia attinge vigorosamente all'immaginario mitico della
trilogia centrale (Luke e Leia, il Millennium Falcon, Han Solo e
Chewbacca, e ora Yoda) ma è capace di sfuggire al gioco del
citazionismo inserendo questi rimandi in uno svolgimento vivace. Il
film di Johnson non è piaciuto a tutti i fan; in verità, non è
allo stesso livello del precedente diretto da J.J. Abrams, Il
risveglio della Forza,
ma questo non significa che non sia piuttosto bello o che non si
inserisca bene nella serie. Sempre più evidente risulta il fondo
wagneriano della saga di Star Wars. In questo turbinare di
padri rinnegati, sorelle-amanti, guerrieri mistici e robot piccoli e
mirabili come gnomi, entra a buon diritto la ridefinizione della
figura di Luke Skywalker quale appare ne Gli ultimi Jedi,
ossia un heautontimoroumenos, un punitore di se stesso,
un uomo sconvolto dal passato dopo il suo tragico errore con Kylo Ren
e che ha abdicato al suo ruolo nel mondo e si è ritirato su un'isola
sacra per morire.
In
una specie di ciclo dell'eterno ritorno (del resto implicito nella
teoria dell'equilibrio della Forza qual è espressa nel film), il
trionfo si muta in sconfitta come in passato la sconfitta si era
mutata in trionfo. I ribelli della Resistenza che erano pochi
coraggiosi nell'Episodio IV (il
Guerre stellari originario) hanno poi trionfato nella saga;
però ora, alla fine de Gli ultimi Jedi, li vediamo ridotti a
un pugno di uomini e donne in fuga, più misero e isolato di quanto
fossero mai stati (in confronto in Guerre stellari erano un
esercito potente). Nell'alternarsi dei piatti della bilancia è Gli
ultimi Jedi a recuperare quel senso del negativo che Il
risveglio della Forza aveva
annullato nella sua rinascenza “primaverile”.
E
tuttavia non dobbiamo confondere questo momento negativo con il
pessimismo radicale, quasi esistenziale, che caratterizzava la
trilogia-prequel diretta
da George Lucas
anziano. Quella era veramente autunnale; era il progredire
inesorabile delle cose verso una totale sconfitta, che noi spettatori
già conoscevamo, avendo visto prima la trilogia “di mezzo”. Nel
presente film la sconfitta è un arretramento momentaneo, il crollo
momentaneo di un piatto della bilancia (Obi-wan direbbe: uno
squilibrio nella Forza). Che non lascia adito alla disperazione;
anzi, la parola speranza, chiave di
volta dell'intera saga (il sottotitolo del primissimo episodio
girato, nel 1977, era A New Hope),
non viene mai rinnegata. Il film si chiude, con la breve scena del
bambino-schiavo che ha l'anello della Resistenza, sulla speranza e su
ciò che nutre la speranza: la forza irresistibile del mito.
“La galassia ha bisogno di leggende”, dice Rey nel film. E'
appunto questo che Luke non ha compreso nel suo lungo esilio, ma
comprende alla fine: le idee-forza travalicano la nostra breve
esistenza.
Il
film, dicevamo, è vivace. Non solo le battaglie sono avvincenti come
sempre (la presenza di “bombardieri”, sprecati da Poe Dameron in
un'azione avventata, sembra introdurre nelle guerre galattiche una
reminiscenza della seconda guerra mondiale). L'esplorazione
fotografica della galassia, un punto di forza della saga, è sempre
vivida: bellezza visuale della terra rossa che appare sotto la neve
sul pianeta Crait! C'è qualche concessione eccessiva al carino con
quella specie di mix tra i puffin e le foche che vivono sull'isola di
Luke – ma tutto sommato non sono peggio degli Ewoks. Ottime in
compenso le “creature di cristallo” di Crait.
Soprattutto,
le strategie sono emozionanti, in un film dove i nostri non possono
che cercar di sopravvivere, e lo scontro di caratteri è credibile.
La speranza di un rovesciamento sul piano morale del parricida Kylo
Ren, sulla quale si intesse il film, non è fuori luogo in una saga
basata sui concetti di Caduta e di Redenzione (Darth Vader,
naturalmente). Il rovesciamento è, come già
altri hanno osservato, una costante de Gli ultimi Jedi.
L'ambiguità di Kylo Ren (l'ipotesi del bene nascosto sotto il
male) si rispecchia nell'ambiguità di Rey (l'ipotesi opposta). C'è
un'audacia visiva nel visualizzare l'incontro di Rey con l'Oscurità
entrando dentro la mente di lei. A partire dal ladro DJ, interpretato
da Benicio Del Toro, nel film nessun personaggio è “fissato” in
ciò che sembra. Neppure il viceammiraglio Holdo (Laura Dern), che
sembra un esempio di cecità del comando – fino a scatenare
l'ammutinamento di Poe Dameron – mentre in realtà esegue un piano
segreto.
Una
svolta interessante nel film è che Kylo Ren rinunci al casco che gli
celava il viso, e che lo denunciava come una pallida imitazione
adolescenziale di Darth Vader anche prima che l'orrido Leader Supremo Snoke glielo sbattesse
in faccia (“Sei solo un ragazzino con una maschera!”). Il guaio è
che ci rinuncia solo per imporsi come nuovo Leader Supremo dopo che il
precedente (con grande soddisfazione dello spettatore) è finito
tagliato in due, durante una scena a tre con Rey prigioniera che,
inutile dirlo, riprende modificandolo in senso negativo il climax de
Il ritorno dello Jedi.
Ancora, corsi e ricorsi.
Non mancano nel film alcuni tocchi di umorismo bizzarro. Quella specie di “telefonata” irridente che Poe Dameron fa al generale nemico Hux all'inizio del film chiamandolo Fax nell'edizione italiana (un subordinato: “Temo la stia deridendo, signore”) è un po' troppo lunga sul piano della plausibilità... Darth Vader lo avrebbe polverizzato due secondi dopo... ma divertente. Le creature femminili dell'isola di Luke, una sorta di suore borbottanti al servizio del sacrario Jedi, aggiungono una sfumatura piacevole alla cupezza della vicenda. E un tocco delizioso è l'inquadratura dal basso, in puro stile Star Wars, di quella che immediatamente pensiamo essere un'astronave a forma di ferro da stiro – solo che si rivela essere un ferro da stiro. Sì, in quello che potrebbe essere il più tragico dei film della serie dopo La vendetta dei Sith, segnato anche sul piano extracinematografico dalla scomparsa di Carrie Fisher (alla quale il film è dedicato), un po' di humour è particolarmente gradito.
Non mancano nel film alcuni tocchi di umorismo bizzarro. Quella specie di “telefonata” irridente che Poe Dameron fa al generale nemico Hux all'inizio del film chiamandolo Fax nell'edizione italiana (un subordinato: “Temo la stia deridendo, signore”) è un po' troppo lunga sul piano della plausibilità... Darth Vader lo avrebbe polverizzato due secondi dopo... ma divertente. Le creature femminili dell'isola di Luke, una sorta di suore borbottanti al servizio del sacrario Jedi, aggiungono una sfumatura piacevole alla cupezza della vicenda. E un tocco delizioso è l'inquadratura dal basso, in puro stile Star Wars, di quella che immediatamente pensiamo essere un'astronave a forma di ferro da stiro – solo che si rivela essere un ferro da stiro. Sì, in quello che potrebbe essere il più tragico dei film della serie dopo La vendetta dei Sith, segnato anche sul piano extracinematografico dalla scomparsa di Carrie Fisher (alla quale il film è dedicato), un po' di humour è particolarmente gradito.
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