domenica 20 settembre 2020

Le sorelle Macaluso

Emma Dante

Malinconica riflessione sul tempo ed elegia della memoria, il notevole Le sorelle Macaluso è la seconda regia di Emma Dante dopo Via Castellana Bandiera, anch'esso tratto da una sua pièce (con la sceneggiatura di Emma Dante, Elena Stancanelli e Giorgio Vasta), ma assai diverso. Mentre Via Castellana Bandiera era strutturato intorno a un episodio, con due protagoniste contrapposte, in unità di tempo, il presente film è collettivo, fluido, ellittico. Non è, questa sua natura, semplicemente questione di stile narrativo: Le sorelle Macaluso è un film di momenti: la narrazione frammentata restituisce un flusso vitale spezzato in lampi di esistenza.
La narrazione consta di tre età, cui ci avviciniamo attraverso tre brevi periodi di tempo. Il primo è la giovinezza delle cinque sorelle orfane, d'età molto diversa fra loro: Lia, Maria, Pinuccia, Katia e Antonella, delineate con mano sicura nelle loro personalità e passioni. Vivono in una vecchia casa con una piccionaia di sopra. Le vediamo in un giorno sereno, tra allegria e piccoli litigi – in cui una malaugurata gita al mare si rovescia in tragedia. La disgrazia, trattata con grande pudore, è la morte della piccola Antonella, il cui modo di verificarsi verrà precisato lungo il film.
Il secondo periodo è la mezza età: sotto la quotidianità, l'impegno di andare avanti, il gusto di ritrovarsi insieme (le paste col kiwi) resta il peso di quella disgrazia che ha segnato la vita delle sorelle e l'ha rovinata; ha aperto sensi di colpa e recriminazioni incancellabili; è facile pensare che il disordine mentale di Lia si sia originato da qui, come il fallimento di Maria che non è diventata ballerina. Il terzo periodo mostra la morte di Lia (nota il tocco grottesco dell'applauso degli astanti alla bara portata giù con un elevatore da traslochi quando tocca terra); ma in questo chiudersi della vita – con l'abbraccio fra le due sorelle superstiti – c’è una sorta di pacificazione. Il film ci parla del flusso implacabile, eppure a suo modo rasserenante, delle cose.
Nel trascorrere solido del racconto entra con naturalezza, senza stupire lo spettatore, la presenza dei morti accanto ai vivi (nel Le sorelle Macaluso teatrale una striscia di scotch sul palcoscenico segnava il labile confine tra i due mondi). La piccola Antonella e più tardi Maria ricompaiono a tratti nella casa, e le vedremo anche insieme alle due sorelle vive davanti alla bara di Lia. Non sono, questi morti, entità fantasmatiche attive, come quelle di Pietrangeli in Fantasmi a Roma (che l'immagine citata fa tornare in mente) o quelle immaginarie di Eduardo; siamo più vicini a Edgar Reitz; i morti che si presentano alle sorelle sono memoria, concrezioni carnali del ricordo. Come tutti i fantasmi, sono fatti di ripetizione (il Kinder dato alla piccola).
Per realizzare questo lavoro, Emma Dante ha compiuto un magnifico lavoro con nove eccellenti attrici che incarnano le differenti età delle sorelle. Occorrevano attrici che, accanto alla scontata bravura interpretativa, potessero per così dire “incastrarsi” l’una nell’altra in modo da garantire la continuità della persona – e non è solo questione, evidentemente, di somiglianza fisica. Il risultato si può definire strabiliante.
Dice Emma Dante che la casa è una protagonista del film, ed è vero. Allo stesso modo che vediamo invecchiare le sorelle, così invecchia questa casa (qui bisogna rendere omaggio al grande lavoro scenografico di Emita Frigato) in modo quasi umano. I mobili e gli arredi mostrano il segno degli anni come un volto; una maniglia che continua a staccarsi lungo il film innesta una sorta di riconoscimento come il tratto abitudinario d'una persona. Alla fine, venduta e sgomberata dai mobili, la casa resta vuota.
E poi i piccioni, così presenti nel film. Hanno una giustificazione diegetica (in origine le sorelle li allevavano per guadagnarsi da vivere); ma il film insiste con un lirismo forse eccessivo sui voli di piccioni bianchi nel cielo. E' anche vero che offrono un momento di “apertura” e di libertà; e probabilmente Emma Dante vuole contrapporre l'immediatezza vitale e i sentimenti poveri dei piccioni al dolore che rode gli umani. Anche sulla scorta di una pagina di A.M. Ortese che sentiamo leggere nel film.
Le sorelle Macaluso è un film fisico, un film di corpi; ma di corpi (e anime) nel tempo. Non è soltanto un’opera sul suo scorrere, che non cela l'evidenza fisica del corpo vecchio – ma anche, dolorosamente, sulla sua irrevocabilità. La cosa più crudele del tempo non è neanche la perdita, è il nostro tormentarci perché non è reversibile. L'incoscienza, nel senso originario di “non pensarci”, è lo stato naturale in cui ci muoviamo (“al piede teso ghiaccio che s'incrina”), o altrimenti dovremmo vivere come se fossimo fatti di vetro; ma quando, una volta su diecimila, ne emerge la tragedia, allora la tortura del “se solo avessi fatto, se solo non avessi fatto” si presenta con evidenza feroce; ma tornare indietro non è possibile. Che questa riflessione sia centrale nel film non solo è implicito nello svolgimento ma è introdotto in modo semplice e assai intelligente prima della tragedia, quando in un dialogo fra amiche/amanti viene evocato, attraverso il racconto della trama, il sogno impossibile di Ritorno al futuro di Zemeckis.
L'inizio del film con le sorelle che scavano un foro nel muro verso l'esterno come una finestra supplementare e segreta (una spia) potrebbe alludere al cinema: la lama di luce in cui danza il pulviscolo sembra veramente quella del proiettore; e sembra una dichiarazione, un riconoscimento cinematografico. Giustamente per Emma Dante, regista teatrale e cinematografica, il cinema non è “la continuazione del teatro con altri mezzi” ma una riformulazione, in cui le sue pièce non vengono “adattate” ma ripensate e riscritte. Anche il momento in cui Maria si ingozza disperatamente dei pasticcini sul vassoio, trasformandoli in poltiglia, prima di confessare alle sorelle la sua malattia, è un momento di espressività teatrale ma tradotta linguisticamente in cinema (il dettaglio, il primissimo piano, lo sguardo in macchina).
La conclusione con l'immagine delle cinque sorelle giovani di spalle che guardano il mare – su quest'immagine riappare il titolo – rappresenta una permanenza dell'esistere nel tempo che solo la memoria su un versante della realtà, l'arte (il teatro e il cinema) sull'altro possono dare.


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