La
prima raccomandazione, se uno vuol vedere World War Z di
Marc Forster, è quella di dimenticarsi del libro omonimo di Max
Brooks da cui il film si dice tratto - e dal quale in realtà prende
semplicemente il titolo, con l'idea di un'epidemia di zombi a
livello mondiale. Il romanzo del figlio di Mel Brooks - probabilmente
la miglior opera narrativa sugli zombi finora scritta - consiste di
una serie di interviste ai veterani e ai sopravvissuti della guerra
mondiale contro i morti viventi, che raggiunge un triplice scopo:
narrare in flashback la guerra, tracciare un quadro della società
fortemente cambiata che ne esce, delinearne l'impatto sulla
psicologia dei sopravvissuti. Il modello è la memorialistica sulla
seconda guerra mondiale; grazie a buone doti narrative e una
consequenzialità logica rigorosa, Brooks trasmette una sensazione di
verità agghiacciante.
Col
che, è chiaro che i produttori della Paramount avrebbero potuto
realizzare un Il giorno più lungo del cinema zombi. Ma gli è
venuto freddo ai piedi (la Paramount ha una lunga tradizione di
mancanza di coraggio, ce lo ricordava recentemente anche Hitchcock
di Gervasi) e hanno preferito andare sul sicuro, cominciando col
sacrificare la costruzione a mosaico del libro. Il cinema ha sempre
bisogno di un Brad Pitt. Così la narrazione è stata centrata su un
personaggio-salvatore (cosa ancora accettabile) e la sua famiglia
(ohi) in contatto continuo via cellulare (ohi ohi ohi). Per dare a
Brad Pitt qualcosa in più da fare, anche gli zombi differiscono dal
romanzo, sono veloci e fortissimi; pure questo è lecito, anche se
sacrifica la biologia. Invece è
indicativo che non sia chiaro il momento in cui il mondo capisce
che gli zombi sono cadaveri viventi (in tutti i film del genere
l'epidemia è dapprima razionalizzata, di solito come rabbia, e poi:
“Oddio, i morti camminano”). Questo è uno dei tanti segni di
goffaggine nel film: poiché World War Z è stato pesantemente
riscritto, rappezzato e rimontato.
Per
i dettagli, basta andare su Wikipedia inglese. Dopo che la maggior
parte del film era stata girata, sono stati chiamati in aiuto Damon
Lindelof e Drew Goddard per riscrivere la sceneggiatura; poi è stato
girato molto materiale supplementare; poi, come se non bastasse, pure
questo è stato tagliato (i pochi secondi della “battaglia di
Mosca”, che galleggiano nel finale come un relitto su acqua
schiumosa, sono un residuo di 12 minuti di girato). A tal proposito,
formulerei un'ipotesi: c'è un personaggio di giovane virologo che da
come è presentato sembra destinato a rappresentare la voce
scientifico-filosofica del racconto (come Jeff Goldblum in Jurassic
Park) - ma muore inopinatamente (e in modo pressoché invisibile)
nella scena dopo. Ha tanto l'aria di un personaggio edited out
nella massiccia ricucitura.
Risultato
di tanta fatica? Se esiste l'Oscar per la sceneggiatura più sciocca,
World War Z ha già in tasca
la nomination. Tutta la parte “familiare” di Brad Pitt è un
disastro di leziosa implausibilità; quando lui riesce ad arrivare
all'ospedale nel Galles, l'accoglienza è così assurda che da
spettatore mi aspettavo saltasse fuori un nero complotto; e non
faccio spoiler sul modo, inventato da Brad Pitt, di battere gli
zombi, annoto solo che è una delle stupidaggini-monstre
della storia del cinema.
L'unico
motivo per guardare questo film consiste nel concetto lapalissiano
che gli zombi sono sempre zombi, ovvero, è un sottogenere sempre
divertente. Un paio di scene si lasciano ricordare: paradossalmente,
la migliore per costruzione della tensione è quella iniziale con
l'esplosione della crisi in un ingorgo stradale. La piramide umana
(inumana?) di zombi in CGI che viola il muro di Gerusalemme è un
affronto alla logica (e già, gli israeliani costruiscono la muraglia
e poi economizzano su sentinelle e/o sensori?), però sul piano
visuale ha una sua vivezza e originalità. Lo zombi che batte i denti
sul vetro divisorio, nella sequenza dell'ospedale, è così buono che
lo avremmo voluto in un film migliore.
Però,
se pensiamo che il romanzo di Brooks (non volevo ricaderci, ma è
inevitabile) è chiaramente scritto in modo cinematografico... e
contiene quello che poteva diventare un caposaldo del cinema zombi,
la battaglia (perduta) di Yonkers... ci passa ogni sentimento
amichevole verso la Paramount, Marc Forster e il suo sciagurato
plotone di sceneggiatori e contro-sceneggiatori. Questa gente ci ha
consegnato non un film di zombi ma uno zombi di film.
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