Un
americano alla corte di re Artù viene
rovesciato nella geniale commedia di viaggi nel tempo Thermae
Romae. Nel romanzo di Mark Twain, un uomo del futuro finiva nel
passato, e quindi lo sguardo andava dalla civiltà superiore, con le
sue conoscenze, a quella inferiore (infatti il Connecticut yankee
del romanzo reinventava una buona parte della tecnologia moderna,
fino ad abbattere i cavalieri della Tavola Rotonda a colpi di
pistola).
La
situazione è più buffa in questo peplum giapponese di Takeuchi
Hideki, tratto dal manga di Yamazaki Mari, dove è un uomo del
passato che finisce nel futuro: l'architetto di terme Lucius Modestus
viaggia ripetutamente dall'antica Roma al Giappone d'oggi, scoprendo
con occhio stupito e ammirato le meraviglie tecnologiche che gli
capitano sotto. Quest'idea non è inedita al cinema (I
visitatori di Jean-Marie Poiré)
ma Thermae Romae
la rende con un umorismo e una carica inventiva particolari.
Ignaro
di trovarsi nel futuro, convinto che quelle persone esotiche siano
schiavi, Lucius esplora i bagni giapponesi senza capirne niente, e
trae dagli oggetti che vede conclusioni folli (seduto sul water, si
fa scorrere fra le dita la carta igienica ammirandone il motivo
grafico: “Geroglifici su un prezioso papiro. Deve trattarsi di un
documento di valore”). L'effetto di straniamento degli
oggetti quotidiani rare volte è stato realizzato così bene. Tornato
a Roma, Lucius copia ciò che ha visto adattando alla
tecnologia romana (quello che crede essere) il loro funzionamento, e
qui il film ha momenti di fantasia deliziosa. Impagabile lo Jacuzzi
realizzato per l'imperatore Adriano, con schiavi nascosti che
soffiano dentro budella di animale per fare le bollicine. Il successo
è grande, anche se il suo orgoglio
di imperialista romano è umiliato: una scissione interiore resa
assai bene dall'eccellente interprete Abe Hiroshi - la cui tonica
nudità è un filo rosso del film, per la delizia delle spettatrici.
Piace anche a Mami (Ueto Aya), la disegnatrice giapponese che si
innamora di Lucius (fatica sprecata: Lucius pensa solo al lavoro) e
viene trascinata nel tempo con lui. Tornata in Giappone, ne farà
l'eroe del proprio manga (indovinate il titolo? Thermae
Romae).
Nota
che se si è parlato solo di bagni e sanitari è perché un aspetto
chiave del bizzarro humour del film è il suo carattere, per così
dire, terme-centrico. Non solo la carriera di Lucius ma la politica e
tutto il destino della civiltà romana dipendono dal livello delle
terme, che giocano un ruolo centrale nei piani politici
dell'imperatore Adriano, interpretato dall'ottimo Ichimura Masachika:
infatti per i protagonisti romani Thermae Romae
impiega attori giapponesi di aspetto nihonjnbanare
(poco nipponico - devo l'aggettivo a una recensione di Mark
Schilling). Si può aggiungere che nel film il rapporto fra Lucius e
il suo autoritario imperatore è un mix fra una Roma d'invenzione
(peplum, appunto) e il medioevo feudale giapponese.
Nella
seconda parte, che si svolge sul Danubio, con la partecipazione
attiva di un gruppo di vecchietti giapponesi in puro stile manga, il
film resta sempre assai piacevole, anche se si allarga a uno
svolgimento (sempre di tono comedy)
politico-avventuroso non folgorante come all'inizio, con un bel
piccolo tocco mélo. Non manca a Thermae Romae
un tocco di orgoglio nipponico: all'inizio la meraviglia di Lucius
davanti a ciò che vede - “Sostituire alla grandiosità ciò che è
semplice e razionale!” - esprime l'estetica giapponese, alla fine
del film arriva il suo elogio ammirato della capacità giapponese di
mettere il gruppo davanti all'individuo.
Questo
peplum del Giappone, girato in parte a Cinecittà, riprende con
mucho gusto stilemi e caratteristiche del genere, dal commento
musicale “risonante”, con grande uso di trombe e timpani, alla
pomposa scenografia alla solennità coreografica dei movimenti
(l'apparizione del personaggio di Adriano è un capolavoro). Fedele
al genere, il film recupera la storia romana in modo fantasioso ma
lodevole: bellissimo per esempio l'inserimento della storia,
autentica, di Adriano e Antinoo - il suo giovane amante annegato nel
Nilo - nel plot. Il tono tongue in cheek si spinge fino a
usare il latino (non correttissimo) in gustosi brani di dialogo,
nonché nelle meravigliose didascalie di tempo sottotitolate in
giapponese (“Aliquot mensibus post”).
Già
che abbiamo menzionato la musica, conviene ricordare che accanto alla
score stile peplum v'è
un fortissimo impiego di arie d'opera italiane, sia accordate con la
narrazione (la Tosca
su un momento di depressione, la Marcia trionfale dell'Aida
sull'exploit delle terme per
soldati feriti, la Butterfly
su una conclusione sentimentale, il Vincerò
della Turandot sul
pubblico elogio di Adriano a Lucius) sia usate per accompagnare i
viaggi nel tempo, in questo caso con una figura di tenore in un
paesaggio montano, non senza una graziosa serie di gag.
Ombra
della nostra defunta “Hollywood sul Tevere”! Anche se qui i sales
(direbbero i latini) vengono dall'incrocio fra due culture e due
cinematografie, adesso dobbiamo imparare dai giapponesi pure come
fare i “sandaloni”. Davvero l'ansimante cinematografia italiana
dovrebbe mettersi a studiare.
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