Miyazaki Hayao
Se per noi occidentali esotico è il Giappone, i ponticelli arcuati sui corsi d'acqua, i tetti a pagoda, i torii, la scarna verità dei giardini di sabbia buddhisti, perché non dovrebbe essere vero il contrario: per il genio dell'animazione giapponese Miyazaki Hayao esotica è un'Europa del sogno, un territorio di cieli azzurri pieni di nuvole bianche come cotone, e città di alte case ottocentesche con viuzze contorte che danno su vaste pazze; e la sua costa dalmata è assolata, il blu profondo del mare che rivaleggia con quello del cielo – un paesaggio immaginario di natura gloriosa, acqua trasparente e gente povera.
Sulla riviera adriatica si svolge l'avventura di “Porco Rosso”, un capolavoro di Miyazaki che esce sugli schermi italiani in leggero ritardo, diciotto anni dopo la sua realizzazione nel 1992. Porco Rosso è l'aviatore Marco Pagot, eroe della Grande Guerra, cui una maledizione imprecisata (forse la guerra stessa?) ha dato il volto di un maiale. E' il 1929; Porco Rosso vive in ritiro su un'isola segreta, dalla quale esce col suo idrovolante per combattere contro i “pirati del cielo” che saccheggiano le navi da crociera e contro il loro campione, l'americano Curtis – il quale dal canto suo sogna una carriera a Hollywood e per il dopo ha ambizioni presidenziali (potrebbe essere un riferimento a Lindbergh).
Porco Rosso è antifascista (“Piuttosto che diventare un fascista è meglio essere un maiale”); quando si reca in una Milano anch'essa immaginaria per far riparare dalla ditta Piccolo il suo aereo danneggiato, dovrà vedersela con la polizia segreta fascista e l'aviazione del regime (c'è una grande pagina di fuga dell'idrovolante sopra un Naviglio fiabesco); ma ci riuscirà, anche grazie all'aiuto dell'amico aviatore Arturo Ferrarin – che è il nome di un autentico asso dell'aviazione italiana. Come del resto il nome Pagot è un omaggio ai fratelli Pagot, padri dell'animazione in Italia; “Porco Rosso” è il film “italiano” del sommo cartoonist giapponese, anche visivamente costellato di cartelli e scritte italiane (con qualche buffo errore, “morto a vivo”, “non si fo credito”). Quando Porco Rosso riparte avventurosamente da Milano, la figlia adolescente dell'amico proprietario della ditta Piccolo, Fio (quindi il nome completo è Fio Piccolo), lo accompagna per lo scontro finale.
Questo film appartiene al periodo più alto dell'arte di Miyazaki, quello in cui l'incanto dello sguardo si sposa alla massima semplicità. “Il mondo è davvero stupendo!”, grida Fio in volo: il rapporto dei personaggi di Miyazaki con la struggente bellezza della natura è di di ammirato rispetto e insieme di fusione con essa (per Porco Rosso con il cielo e le nuvole). Non per nulla “Porco Rosso” è un film di aviatori; è un concetto ritornante in Miyazaki l'amore per il volo, magico o meccanico che sia, che è anche un amore per il paesaggio visto dall'alto: lo sguardo dall'alto del pilota aereo non è anche lo sguardo del disegnatore sulla pagina?
In aggiunta, Miyazaki è intriso di passione cinefila. Alla sua prima apparizione Porco Rosso sta dormendo al sole con sul viso la rivista “Cinema”. I pirati della banda Mamma Aiuto li comanda un sosia di Bluto, il nemico di Braccio di Ferro. A Milano il protagonista va al cinema a vedere un film a cartoni animati, rifatto da Miyazaki fra Disney e Fleischer. Quando Porco Rosso entra all'Hotel Adriano, dove il suo amore segreto, Madame Gina, canta una bellissima canzone francese d'antan, fa il suo ingresso come Humphrey Bogart; e tutto il suo comportamento, tutta la sua figura, tutta l'atmosfera che lo circonda è una nostalgica rievocazione degli eroi cavallereschi hollywoodiani del passato.
E' un film di sole e di volo, di scontri nell'azzurro (gli aerei dalle tinte vivaci volteggiano in cielo come coriandoli colorati), di amicizie e di ricordi, di adolescenza, di malinconica maturità, di amore sottaciuto, di timidezza maschile e di attesa femminile. In “Porco Rosso” lirismo e comicità raggiungono un punto di perfetta fusione, raro forse anche per Miyazaki. Basta pensare al sublime flashback sulla grande guerra – dove persino gli aeroplani che precipitano in fiamme hanno una loro cupa bellezza – quando il capitano Pagot , ancora col suo vero viso, viene inghiottito da una nuvola e vede salire lentamente verso il cielo gli aerei dei compagni e degli avversari caduti, che si radunano in un grande arco scintillante nell'alto del cielo... una pagina degna di Frank Borzage.
Lirismo e comicità. Impagabili questi pirati che vediamo travolti e tormentati da un'orda di bambine che hanno preso come ostaggio (alla domanda se prenderle tutte il capo risponde: “Per chi rimanesse esclusa sarebbe spiacevole, no?”) - bambine per le quali il combattimento aereo che segue è il più bello dei giocattoli. Impagabile lo scontro finale fra Porco Rosso e Curtis: siccome uno ha le mitragliatrici inceppate e l'altro ha finito i colpi, duellano nel cielo tirandosi addosso pezzi di ferro e chiavi inglesi; e poi a terra diventa un match di pugilato spinto all'estremo, come quello fra John Wayne e Victor McLagen al culmine di “Un uomo tranquillo” di Ford (ma con in più una comicità infantile e ribalda alla “Lupin III”).
E' un mondo gentile, dove basta un bonario rimprovero di Gina per far arrossire i terribili pirati e dove (allorché questi vogliono distruggere l'idrovolante di Porco Rosso) basta il grande discorso di Fio sull'onore degli aviatori per renderli convinti e plaudenti. “Porco Rosso” è, per ripescare un vecchio aggettivo desueto, un film rapinoso. Impercettibilmente, certo, ma vederlo cambia la vita.
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