sabato 28 ottobre 2023

Killers of the Flower Moon

Martin Scorsese

Ancora una volta Martin Scorsese, nel suo modo narrativo spiraliforme, traccia il quadro storico e antropologico di un’epoca. C’è una tensione epica presente nel cinema scorsesiano, che per lo più è costretta in forme basso-mimetiche – invernali, direbbe Northrop Frye – e che esplode nell’affresco storico di Gangs of New York, che è un po’ il Nascita di una nazione di Scorsese. Lo stesso si può dire del superbo Killers of the Flower Moon. Non per nulla, come per Gangs of New York, anche su questo film si stende l’ombra di uno dei grandi autori maledetti del cinema americano, il Michael Cimino de I cancelli del cielo.
Com’è noto, Killers of the Flower Moon racconta una cupa storia autentica di delitti ai danni degli indiani Osage nell’America degli anni Venti. In un film che si apre con la mesta cerimonia Osage del seppellimento di una pipa sacra, perché i loro figli e nipoti saranno assimilati (“Saranno istruiti dai bianchi”), un fulminante raccordo lega la “tomba” della pipa alle zolle da cui erutta il petrolio. Ora la tribù Osage è diventata ricca. I bianchi sono calati come cavallette sposando le donne indiane allo scopo di ereditare (gli Osage sono minati dalle malattie). In questa logica “King” Will Hale (Robert De Niro), che si atteggia a grande amico degli indiani e ostenta di parlare la loro lingua, organizza un cinico piano di uccisioni incrociate per fare in modo che l’eredità arrivi alla sua famiglia. E’ una scia di sangue e delitti nascosti – dice Will: “Io gli voglio bene ma col passare del tempo spariranno. Il loro tempo è finito” – in uno sviluppo intricato che giustifica la dimensione monstre (ma sempre appassionante) del film.

Se Killers of the Flower Moon riprende tutta la panoplia tematica di Scorsese, in primo luogo viene la perdita dell’innocenza. Questo film è la cronaca della discesa all’inferno – l’ossessione scorsesiana del peccato e della redenzione! – dell’ingenuo reduce di guerra Ernest (Leonardo Di Caprio) sotto l’influsso del satanico zio Will. L’ironia presente nella scena dell’arrivo, in cui zio Will lo chiama eroe di guerra e subito dopo sentiamo che Ernest era cuoco in fanteria, serve a introdurre una connotazione di subordinazione che è il cuore del personaggio. Il suo rapporto, misto di amore e colpevolezza, con la moglie indiana Mollie (una potente interpretazione dell’attrice nativa Lily Gladstone), che non si fa soverchie illusioni su di lui ma è sinceramente innamorata, non gli impedisce di sporcarsi le mani nella cospirazione. Il racconto è anacronico: in sorprendenti flashback, man mano che tutti i pezzi vanno a posto, sempre più scopriamo Ernest come stolido operatore del male. Nella sua debolezza, anche se ama la moglie e i figli arriva a farsi strumento del tentativo di uccidere Mollie alterando le sue iniezioni di insulina contro il diabete, di cui lei soffre, con una fialetta datagli dallo zio; e nega la verità a se stesso in un patetico tentativo di autoillusione basato sulle parole di Will, “Devi solo indebolirla un po’”.
Ernest è un memorabile personaggio imprigionato nella rete della famiglia, con zio Will come perversa e suadente figura paterna. Ecco ancora la famiglia, che percorre il cinema scorsesiano: nel senso ristretto o in quello allargato, come la piccola mafia di Means Streets, o, allargando ancora, tutte quelle società chiuse, “tribali”, che intrappolano irreparabilmente l’individuo: non solo la mafia di Quei bravi ragazzi e Casinò ma anche l’alta società newyorkese fine Ottocento de L’età dell’innocenza, o il suo contrario nel quartiere degradato di Gangs of New York. Qui vale la pena di ricordare che in Scorsese, come in Paul Schrader, sovente la donna (non senza riferimenti religiosi) offre la possibilità di fuggire da questa ragnatela; ma in genere i protagonisti scorsesiani non la colgono (fa eccezione il Nicolas Cage di Al di là della vita); e così è per Ernest nel presente film.
Non stupisce che sia stato usato nella critica l’aggettivo "shakespeariano". C’è molto Shakespeare qui. Anche zio Will è un autentico tentatore shakespeariano, nella dismisura della sua menzogna; ma soprattutto, il viluppo di contraddizioni e il conflitto emotivo di Ernest e quello di Mollie (il suo innamoramento e la sua paura, la coscienza della minaccia e l'incertezza sull’uomo che ama) mantengono quell’irriducibilità alla comprensione totale che contraddistingue i personaggi veramente grandi. Forse solo Orson Welles – non a caso uno dei punti di riferimento di Scorsese – ha avuto l’audacia di mettere in scena caratteri così complessi.

Ma la perdita dell’innocenza non vale solo per il personaggio: vale anche per un intero Paese. Questo è un altro grande tema ritornante di Scorsese, dal citato Gangs of New York a Shutter Island, per fare solo due titoli; e in questo film l’autore dà testimonianza della colpa originaria degli Stati Uniti: lo sterminio degli indiani e la rapina delle loro terre. L’attenzione alla cultura indiana (Scorsese è, lo sappiamo, un antropologo dello schermo) fa emergere anche il côté mistico del regista, che viene evocato in soggettiva "mitica" nella scena della morte della nonna (quanti fantasmi, quante visioni, fra cui qui il gufo annunciatore di morte, compaiono in forma allucinatoria nei film di Scorsese!). Killers of the Flower Moon fotografa il declino di una cultura, dove i riti tribali sopravvivono in forma marginale (commovente il rito Osage per i morti che vediamo più di una volta) e destinata all’estinzione. Tutto ciò è congelato simbolicamente nel triste destino di Mollie e delle sue sorelle.
Di queste cose il cinema narrativo può parlare solo attraverso l’illusionismo sostitutivo della messa in scena. Ecco allora il magnifico finale che ci porta direttamente sul piano metanarrativo (inutile ricordare quanto l’elemento metacinematografico sia sempre stato caro a Scorsese). Dopo la vicenda processuale dell’ultima parte del film, aprendo la sequenza con il sarcasmo oggettivo della voce di uno speaker che intona “Il bene ha trionfato!”, apprendiamo il destino successivo dei personaggi vedendo una ricostruzione in radio, con attori e rumoristi, per la trasmissione True Crime Stories, davanti al pubblico accorso a seguire la messa in onda in diretta; e proprio Martin Scorsese compare come ultimo speaker del racconto e lo suggella.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Il film è magnifico, maturo e attuale insieme. La tua recensione lo è altrettanto. Una volta di più: hat on !

Anonimo ha detto...

Hats off, volevo dire.

Anonimo ha detto...

Tre ore e mezza che passano in un soffio. Che film!
È sempre un piacere leggerti, ovvero non solo quando scrivi delle Giornate ;)
Giuliana