Justine Triet
La
morte di chi ci è vicino cambia tutto; sposta il nostro modo di
vedere; ci porta a esplorare l’intero passato con altri occhi. Ma
se poi si è accusati di averlo ucciso, e ci si deve difendere,
inevitabilmente il ricordo (che pure va esposto, e in modo
conveniente) diventa teatro. Accade alla protagonista di Anatomia di
una caduta di Justine Triet, meritata Palma d’Oro a Cannes, scritto
dalla regista con Arthur Harari.
Sandra
(Sandra Hüller)
è una scrittrice di successo ed è sposata a Samuel (Samuel Theis),
un nevrotico aspirante scrittore che si piange addosso accusando lei
per il suo fallimento esistenziale. La musica "ethno-rock" che diluvia dalla stanza di sopra per sabotare un'intervista, all'inizio del film, è un'aggressione fisica. I due hanno un figlio di undici anni,
Daniel (Milo
Machado-Graner, un’interpretazione
incredibile alla sua giovane età), che
è ipovedente:
i suoi occhi azzurri
offuscati
ci
colpiscono,
e
formano una sorta di “rima visiva” a contrariis con quelli
azzurri vivissimi del suo
border collie (che
è un personaggio a tutt’effetto all’interno della trama).
Tornando da una passeggiata nella neve col cane, Daniel
trova in terra il padre morto per una caduta dall’alto della loro casa
isolata. Incidente? Omicidio? La polizia si getta subito su una presupposizione, e Sandra viene arrestata e processata.
Anatomia
di una caduta: questa caduta è quella materiale di Samuel ma anche
quella metaforica di un matrimonio in caduta libera (ove l’aspetto
più tragico è che la romantica “fine dell’amore” non
c’entra). L’una e l'altra caduta vengono letteralmente
anatomizzate. Quegli scontri segreti che appartengono alla normalità
in molte famiglie sono resi anormali dalla morte: vengono scavati
fuori, vengono letti come segni rivelatori.
Questo
film non è propriamente un legal thriller, pone al centro l’aspetto
psicologico, ma ne partecipa della tensione appassionante. C’è
qualcosa nel film che un po’ ricorda Polanski, nel modo in cui la
rete si stringe implacabilmente su Sandra. Anche il suo essere una
scrittrice che innesta nella fiction tratti di autobiografismo viene
assunto come indizio (secondo un certo modo comune di vedere,
scherzava Umberto Eco, Agatha Christie è una cattiva vecchia
signora, e non bisogna lasciare pannocchie a portata di mano di
Faulkner). Questo culmina in un processo (ove il feroce pubblico
accusatore è Antoine Reinartz
e
l’avvocato innamorato è
Swann Arlaud)
tutto costruito su allusioni, ipotesi date per scontate,
insinuazioni, non sequitur offerti come deduzioni, prepotenze
procedurali. Chi scrive non è un ammiratore della magistratura
italiana ma in confronto allo stile processuale francese, come lo
dipinge Justine Triet, quello italiano sembra Perry Mason. Bisogna aggiungere che gioca un
ruolo nel film il plurilinguismo, con l’inglese usato prima come
lingua intermedia fra tedesco e francese e poi come ancora di
salvezza.
Anatomia
di una caduta procede per così dire all’incontrario; la storia
precedente emerge retrospettivamente, tutto ciò che era nascosto
viene svelato; e tuttavia al fondo resta il mistero. Perché, come il
bambino, non siamo sicuri di nulla, né dell'innocenza né della
colpevolezza; l’incertezza sulla verità attraversa il film, e tale incertezza non è dissipata neppure da un coup de théatre alla fine;
persino le immagini che vediamo in flashback sono ambigue come
statuto di realtà.
Non
è sbagliato osservare che, al di là del suo ruolo nella trama, c’è
un elemento simbolico nella condizione di Daniel, ipovedente. Il
film è una
riflessione dolorosa sul “non vedere
chiaro”: l'incertezza di fondo,
propria della condizione
umana, sulla verità, e il
fatto che bisogna
pur scegliere una posizione in
mezzo ai dubbi (anche lo spettatore!)
per continuare a vivere. Colpevole
o innocente, Sandra nel finale si addormenta abbracciata al border
collie, l’unica creatura del film in cui l'esistenza coincide sicuramente con la verità.
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