Michel Gondry
Michel
Gondry si è sempre distinto per l’originalità degli spunti su cui
costruisce i suoi film. Citiamo solo Be Kind Rewind, in cui il
gestore di una videoteca, dopo che tutte le videocassette si sono
incidentalmente smagnetizzate, decide di girare nuovamente i film con
mezzi ultra-amatoriali e scenografie disegnate. Non è però
altrettanto bravo, Gondry, sul piano strettamente narrativo. Al
carattere fulminante e affascinante delle sue “forme brevi”
(videoclip e spot) si oppone, nei lungometraggi, un certo fluere
lutulentus, per dirla con Orazio, che indebolisce la brillantezza
dell’idea.
Ne
Il libro delle soluzioni (film, dice Gondry, parzialmente
autobiografico), Pierre Niney interpreta con trasporto il giovane regista Marc
Becker, il quale litiga con i produttori che detestano il film che
sta girando e vogliono intervenire. Prima che se n’accorgano,
raccoglie tutto il materiale e se la squaglia, con la montatrice e
altri tre collaboratori, rifugiandosi per finire il film in campagna
dalla vecchia zia Denise (Françoise Lebrun, di recente rivista da giovane nella riedizione del capolavoro La Maman et la putain di Jean Eustache). Già mentalmente
instabile, Marc fa una scelta
pericolosa: smette di prendere i suoi medicinali.
Sembrerebbe
la vecchia storia “arte contro commercio”, ma non è tanto questo
tradizionale rovello del cinema che sembra interessare a Gondry
quanto il concetto di un uomo dal cui cervello sprizzano idee in
libertà, una volta che è uscito dalla comfort zone costituita dalle medicine. Non per nulla il protagonista sta scrivendo il Libro
delle soluzioni. Marc fa ammattire tutti, zia compresa, col suo diluvio di idee
“geniali”, che spesso mostrano una tendenza a evadere dal film su
cui lavora; e ve ne sono di divertenti, come il “camiontaggio”, un
camion che serve da apparecchio per il montaggio del film, manovrato
girando il volante e così via.
Idee
più tempestive dal punto di vista produttivo, ricevute dalla
troupe fra scetticismo e disperazione, sono montare la storia al
contrario (però questo l’ha già fatto Gaspar Noé) oppure
occuparsi del commento musicale senza saper né scrivere musica né
dirigere un’orchestra (però gli va bene: riesce a ottenere Sting,
che lascia un segno forte nel film apparendo in prima persona).
L’intoppo, francamente, sta nel personaggio, che sembra un esercizio di autoindulgenza. Prepotente, presuntuoso, paranoico, l'aggressivo Marc passa sugli altri come un bulldozer viziato da piccolo, tra scatti infantili, prepotenze intollerabili e un uso molto disinvolto della memoria. Avrà pure la giustificazione della scelta di
rinunciare alle medicine (non è uno spoiler rivelare che, quando
alfine decide di riprenderle, diventa più umano); tuttavia, potrebbe
vincere un premio per il personaggio più antipatico del cinema
francese fin dai tempi dell’editore Batata ne Il delitto del signor
Lange di Jean Renoir, 1936.
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