lunedì 6 novembre 2023

Il libro delle soluzioni

Michel Gondry

Michel Gondry si è sempre distinto per l’originalità degli spunti su cui costruisce i suoi film. Citiamo solo Be Kind Rewind, in cui il gestore di una videoteca, dopo che tutte le videocassette si sono incidentalmente smagnetizzate, decide di girare nuovamente i film con mezzi ultra-amatoriali e scenografie disegnate. Non è però altrettanto bravo, Gondry, sul piano strettamente narrativo. Al carattere fulminante e affascinante delle sue “forme brevi” (videoclip e spot) si oppone, nei lungometraggi, un certo fluere lutulentus, per dirla con Orazio, che indebolisce la brillantezza dell’idea.
Ne Il libro delle soluzioni (film, dice Gondry, parzialmente autobiografico), Pierre Niney interpreta con trasporto il giovane regista Marc Becker, il quale litiga con i produttori che detestano il film che sta girando e vogliono intervenire. Prima che se n’accorgano, raccoglie tutto il materiale e se la squaglia, con la montatrice e altri tre collaboratori, rifugiandosi per finire il film in campagna dalla vecchia zia Denise (Françoise Lebrun, di recente rivista da giovane nella riedizione del capolavoro La Maman et la putain di Jean Eustache). Già mentalmente instabile, Marc fa una scelta pericolosa: smette di prendere i suoi medicinali.
Sembrerebbe la vecchia storia “arte contro commercio”, ma non è tanto questo tradizionale rovello del cinema che sembra interessare a Gondry quanto il concetto di un uomo dal cui cervello sprizzano idee in libertà, una volta che è uscito dalla comfort zone costituita dalle medicine. Non per nulla il protagonista sta scrivendo il Libro delle soluzioni. Marc fa ammattire tutti, zia compresa, col suo diluvio di idee “geniali”, che spesso mostrano una tendenza a evadere dal film su cui lavora; e ve ne sono di divertenti, come il “camiontaggio”, un camion che serve da apparecchio per il montaggio del film, manovrato girando il volante e così via.
Idee più tempestive dal punto di vista produttivo, ricevute dalla troupe fra scetticismo e disperazione, sono montare la storia al contrario (però questo l’ha già fatto Gaspar Noé) oppure occuparsi del commento musicale senza saper né scrivere musica né dirigere un’orchestra (però gli va bene: riesce a ottenere Sting, che lascia un segno forte nel film apparendo in prima persona).
L’intoppo, francamente, sta nel personaggio, che sembra un esercizio di autoindulgenza. Prepotente, presuntuoso, paranoico, l'aggressivo Marc passa sugli altri come un bulldozer viziato da piccolo, tra scatti infantili, prepotenze intollerabili e un uso molto disinvolto della memoria. Avrà pure la giustificazione della scelta di rinunciare alle medicine (non è uno spoiler rivelare che, quando alfine decide di riprenderle, diventa più umano); tuttavia, potrebbe vincere un premio per il personaggio più antipatico del cinema francese fin dai tempi dell’editore Batata ne Il delitto del signor Lange di Jean Renoir, 1936.

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