lunedì 5 luglio 2021

Money Has Four Legs

Maung Sun

Il nostro cuore sta col popolo birmano oppresso dal colpo di Stato, e questo sentimento coincide con la presenza al FEFF di un film che, come avverte una didascalia all'inizio, celebra i 100 anni del cinema birmano. Money Has Four Legs è una commedia disinvoltamente cinefila, in cui il regista esordiente Maung Sun ha riversato un elemento autobiografico ispirato alla sua vita di cineasta indipendente. Non per nulla il film inizia con il regista protagonista Wai Bhone (Okkar Dat Khe) che ascolta il monologo del dirigente della censura: troppo fumo, troppe parolacce, troppo sesso, i cattivi devono costituirsi o morire alla fine, ci vuole un messaggio pro-polizia – dopo di che il censore ammazza una mosca sbattendoci sopra la Legge sul Cinema del 1996.
Wai Bhone è un giovane regista, figlio di un premiato maestro defunto, alle prese col suo primo lungometraggio dopo dei filmetti straight-to-video. Sta girando il remake di un classico film di gangster birmano del 1940, Bo Aung Din (che fu diretto da Shwe Done Bi Aung, con Khin Maung Yin nel ruolo del protagonista). Wai è pieno di guai personali e professionali: la famiglia non ha un soldo ma la moglie Sleazir (Khin Khin Hsu) vuole mandare la figlioletta Meemi a lezioni private; sul set, in aggiunta ai problemi con la censura (eterno flagello del cinema birmano), gli attori fanno quello che vogliono, mancano i permessi per le location, e Wai è in lite col produttore – amante di un'attrice incapace – che vuole più scene d'amore perché costano meno di quelle d'azione. Peggio ancora, suo cognato Zaw Myint (Ko Thu), un ex galeotto ubriacone preso come comparsa, gli rompe la macchina da presa, e Wai non sa come fare a ripagarla.
Nella disperazione, Wai decide di rapinare assieme a Zaw una banca disonesta che sta per chiudere dopo aver rovinato i correntisti. Inutile raccontare tutto lo svolgimento tragicomico che segue... Il finale coi soldi che volano via ha un sapore alla I soliti ignoti (si sa, i “colpi” dei poveracci non possono riuscire). È molto intelligente l'accostamento di questa scena in montaggio parallelo con il rito buddhista che si svolge in contemporanea per benedire la casa: la preghiera sulla condivisione dei meriti si applica pure a queste banconote disperse per strada e raccolte dalla gente. Molte banconote finiscono anche nell'acqua del fiume: l'inanità del desiderio nella forma gentilmente ironica del film, dove i riferimenti al buddhismo non sono rari.
Michel Hazanavicius (The Artist) è accreditato come consulente alla sceneggiatura. In sintonia con l'ambientazione cinematografica, il racconto si consente un paio di scherzi metanarrativi gustosi. A un certo punto, per esempio, vediamo il “finale”, con tanto di fermo immagine sul protagonista e credits che cominciano a scorrere – ma solo per scomparire subito, perché arriva una telefonata, il film riprende e la storia continua per altri quindici minuti. Con un uso ripetuto di canzoni che fanno da commento alla situazione (ma il più divertente coinvolge l'opera teatrale Ramayana), il film ha qualcosa di cordiale nella sua semplicità; si vede con piacere e se ne apprezzano i dettagli, compreso lo sguardo fugace sui dirimpettai del protagonista. La bella fotografia, non lirica, firmata Thaiddhi restituisce realisticamente una Rangoon povera e affollata.


Catalogo FEFF 23

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