sabato 10 aprile 2021

Madame Claude

Sylvie Verheyde 

A Madame Claude, tenutaria di un celebre bordello di lusso a Parigi, si era già ispirato Just Jaeckin, il regista di Histoire d'O, per un film del 1977. Ora la sua parabola viene narrata da Sylvie Verheyde nel mediocre Madame Claude: paradossalmente un film con molta nudità ma poca carne: mantiene l'erotismo patinato e un po' vacuo del suo predecessore.
E' divertente sentire i nomi famosi dei clienti delle prostitute d'alto bordo, Kennedy e lo Scià, Salvador Dali e Marlon Brando (quest'ultimo anche compare, di schiena). Ma ci sono anche gli intrighi di politica, sesso e droga delle alte sfere dell'epoca; sono gli anni ruggenti dell'affaire Marković; si parla di Pompidou (e d'una certa foto di sua moglie) e in seguito di Giscard d'Estaing. Fernande Grudet, alias Madame Claude, già collaborava con la polizia per tenersela buona; poi volente o nolente viene messa in mezzo dai servizi segreti (“D'ora in avanti lei servirà la Francia”) per tutta una serievdi manovre sporche – e ciò nel lungo termine porterà alla sua rovina. Nel finale Fernande, dopo aver perso il suo patrimonio e aver conosciuto la prigione, è su una panchina davanti al mare, come una qualunque pensionata, che guarda con occhio professionale una ragazza come residuo di abitudine dei vecchi tempi.
L'ambizione del film sarebbe di tracciare un ritratto psicologico della protagonista e sociologico dell'epoca; in entrambi i campi, non ci riesce. Sylvie Verheyde ha cercato di riportare in questo film quel modo impressionistico, tutto fatto di momenti, che aveva adottato nell'ottimo Stella del 2008, ma qui, con un montaggio grossolano che finge di essere secco e moderno, rimane in superficie.
Imparai presto – dice la voce narrante – che gli uomini ci trattano come puttane, e decisi di diventare la regina delle puttane... Non saremo mai più vittime”. Questa sorta di femminismo della prostituzione, alla Xaviera Hollander, è smentito dal comportamento avido e freddo che vediamo quando una delle ragazze viene picchiata in un'“imboscata”, e Fernande le chiede per prima cosa se l'hanno pagata, poi dice che i lividi spariranno e con una doccia e una bella dormita passa tutto. Ci sarebbe stata materia interessante in questa figura di donna dura, chiusa, in rotta con la madre e la figlia, che afferma nella voce narrante di considerare le sue ragazze la sua vera famiglia. Purtroppo nel film il ritratto psicologico di Madame Claude risulta di maniera, né lo aiuta l'interpretazione scolastica di Karole Rocher, che sembra voler imitare senza successo Isabelle Huppert. Anche la sua amica e collaboratrice Sidonie (Garance Marillier), che proviene a differenza di Fernande dalle classi alte, con l'aria supponente che si ritrova è una iattura per il film.
Come quadro generale, Madame Claude ci porta con un minimo di convinzione nei locali notturni coi loro spettacoli di burlesque e più goffamente nei maneggi dei servizi segreti (possibile, un diplomatico tatuato nei primi anni '70?). “Ero diventata un'istituzione”, racconta Fernande; però “Crede di essere al di sopra della legge ma nessuno lo è”, dice il più disgustoso dei personaggi (il padre di Sidonie, interpretato da Philippe Rebbot ); e “Sei diventata troppo spavalda”, l'ammonisce una figura più simpatica, il magnaccia Jo (Roschdy Zem, l'indimenticabile commissario di Roubaix, une lumière). Il guaio è che non vediamo mai nel film cosa abbia fatto Madame Claude di preciso per cadere in disgrazia; certo è in possesso di informazioni pericolose, come qualsiasi tenutaria di bordello che si rispetti, ma s'intuisce che non è solo questo, e il nocciolo rimane oscuro. Alla fine del film, come la sua protagonista, restiamo con in mano un pugno di polvere.

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