Clint
Eastwood viene dal western, e il western se l'è portato dietro per
tutta la sua sfavillante carriera. Ora, cos'è che caratterizza il
western? C'è chi dice questa cosa e chi quest'altra, chi dice i
cavalli (horse
opera)
e chi i cappelloni dei cowboy, ma a parere di chi scrive è il fatto
che tutti portino la pistola bene in vista nella fondina. Ovvero
l'ostensione della possibilità di ciascuno di dare la morte, e la
responsabilità di farlo o non farlo. L'uomo per bene non spara per
primo - ma quando il male alza la sua brutta testa, tira fuori la
pistola e lo manda al cimitero, a Boot Hill.
E'
la semplice e onesta morale americana (che penetra con effetti letali
nel putrido corpo di Osama Bin Laden in Zero
Dark Thirty di
Kathryn Bigelow). Ed è la morale dello splendido American
Sniper
di Eastwood, la storia autentica del tiratore scelto Chris Kyle,
ottimamente interpretato da Bradley Cooper (come avrebbe potuto
interpretarlo Clint da giovane).
“Guarda
cosa ci hanno fatto”, dice Chris a suo fratello guardando in
televisione la strage islamica alle sedi diplomatiche americane in
Kenia e Tanzania. E' il male (un termine che ricorre più volte nel
film) che alza la testa. In una scena degna del cinema degli anni
d'oro di Hollywood, il padre di Chris gli ha dato, da bambino col
fratello, questa lezione di vita: esistono tre tipi di uomini, le
pecore, i lupi e i cani da pastore; “in questa famiglia noi non
alleviamo pecore e io vi ammazzo a cinghiate se diventate dei lupi”.
Restano i cani da pastore: quelli che si battono contro il male. E'
per questo che Chris Kyle si arruola nei Navy Seals (l'addestramento
con gli istruttori cattivissimi è un ricordo di Gunny).
Questo
recensore l'ha ripetuto più volte: Clint Eastwood ha una profonda
somiglianza con Howard Hawks, non solo per la nettezza del racconto,
del dialogo e della morale. Alla base del cinema di Hawks sta la
figura dell'uomo che sa fare il proprio mestiere (pagandone il
prezzo, certamente: c'entra con l'ossessione ma soprattutto col
rapporto con la donna). Il cinema di Eastwood come quello di Hawks è
un cinema di eroi; e l'eroe hawksiano come quello eastwoodiano è un
professionista.
Così
Chris, che è un ottimo tiratore, diventa il più grande sniper
(cecchino) della storia dell'esercito americano. Breve digressione: è
interessante notare che all'inizio del film vediamo il suo occhio
magnificato nella lente del cannocchiale del fucile ma Eastwood non
sfrutta quest'immagine, proprio come le soggettive del mirino sono
assolutamente neutre; manca in Eastwood qualsiasi tipo di forma
metacinematografica: per lui il racconto è il racconto e basta.
Siamo
dalle parti di Hawks anche nel corteggiamento di Taya (Sienna
Miller). Com'è un corteggiamento hawksiano? E' un corteggiamento
adulto fra due adulti – dove ciascuno sente l'altro come suo pari.
Nel presente film, comincia con reciproche battute nette e “maschili”
e diventa una gran bevuta di whisky – finendo con lei che vomita e
lui che le sorregge la fronte (sublime, concludere col vomito una
scena di innamoramento! Chi altri avrebbe osato farlo?).
Eastwood
non è un ingenuo. Sa bene che la guerra ti divora. Non è solo la
dolorosa “deformazione professionale” che produce, per cui
vediamo Chris, anche a casa in America, sobbalzare a ogni rumore
imprevisto o sussultare con improvviso sospetto quando un furgone lo
sorpassa in modo spericolato. C'è di più: c'è la tendenza a
perdersi nel vortice della guerra come unica esistenza (nel film la
guerra viene paragonata alla fiamma per la falena). La guerra come
ossessione. In una scena superba vediamo Chris davanti alla tv che
guarda – ce lo dice il sonoro di esplosioni – una delle sue
registrazioni di combattimenti; ma poi il movimento della mdp
inquadra il teleschermo rivelandoci che è spento: quello che
sentiamo è un sonoro interiore. E' notevole, su questo aspetto, la
somiglianza di American
Sniper con
The
Hurt
Locker
di (altra menzione) Kathryn Bigelow; solo che là c'era la
solitudine, qui il mondo degli affetti, la famiglia (ed è, questo,
un tema fordiano). La moglie e i figli oppure i compagni di
battaglia, che contano sulla protezione della sua mira infallibile?
Nell'angoscia di Chris il film esprime ancora una volta il concetto
molto eastwoodiano della responsabilità.
“Anche
quando sei qui tu non ci sei”, gli dice la moglie Taya - il
concetto è ripetuto più volte, è una linea rossa del film. E' una
scissione che troverà una risoluzione alla fine col ritorno di Chris
alla famiglia (lo annuncia simbolicamente l'immagine del suo fucile
da sniper
lasciato a terra durante una ritirata precipitosa in una tempesta di
sabbia). I legami si riannodano; la moglie gli dice che è un buon
padre... “e sono felice di aver ritrovato mio marito”.
Questo
non è un film a lieto fine. Dopo il suo ritorno Chris Kyle si dedicò
ad aiutare i mutilati di guerra, e fu ucciso da un un reduce con
problemi psichici che accompagnava al poligono di tiro su richiesta
della madre. Stupenda l'ellissi sulla morte. Vediamo fuori dalla
porta il pazzo bastardo, che ha già in questa prima e unica
apparizione un'aria da assassino – stacco al viso di Taya
improvvisamente turbato – ed entra un “nero” con la semplice
didascalia che annuncia l'uccisione, nella forma dei “destini”
che concludono molti film.
Ma
qui il film prosegue: entrano – sulle note del Silenzio
di Ennio Morricone – le immagini autentiche dell'ultimo viaggio di
Chris nella bara, con la gente che si assiepa lungo le strade e sui
viadotti per salutarlo agitando bandiere americane. Al fondo del
cinema di Eastwood sta la morte, proprio perché è un cinema della
realtà della vita, e al fondo della vita sta la morte, che vince
sempre. Ma non c'è in questo ombra alcuna di decadentismo. Quello
che importa per Eastwood è l'amore (di una donna, di una famiglia o
di un'intera comunità) che ci si lascia dietro.
Così
Eastwood congiunge la lezione di Howard Hawks e quella di John Ford
in un altro film indimenticabile.
4 commenti:
"Nettezza del racconto, del dialogo e della morale" (per dirla con le parole del nostro recensore) sono i pregi e la fortuna del cinema di Clint Eastwood ma portano con sé anche il pericolo della semplificazione ed In American Sniper il pericolo c'è e si vede.
Chris Kyle è un giovanotto senza arte ne parte che un bel giorno decide di votarsi alla patria, si arruola e parte per l'Iraq. Chris è una persona "semplice": ha imparato dal padre che nel mondo c'è il male e c'è il bene, il vero ed il falso e la realtà non ha sfumature.
Non è cattivo: fa il suo dovere di soldato, spara ed ammazza quando c'è da sparare ed ammazzare. E' uno che non si fa troppe domande. Per lui tutto è chiaro e semplice: da una parte il bene, dall'altra il male, da un parte noi, l'America, dall'altra loro, l'Islam fondamentalista. Non un dubbio, non un ripensamento, nemmeno a guerra finita.
Eastwood è impeccabile nel raccontare la storia del suo protagonista (mai un attimo di noia in oltre due ore di pellicola) ma commette due errori: ci restituisce un solo punto di vista (quello dell'America di Bush junior e dei soldati a stelle e strisce) e si dimentica di dirci per quali ragioni e con quali obiettivi reali l'America sia andata in Iraq. Semplificare al cinema è una necessità ma è sempre una perdita soprattutto quando si vuole raccontare una storia vera.
"Per lui tutto è chiaro e semplice: da una parte il bene, dall'altra il male, da un parte noi, l'America, dall'altra loro, l'Islam fondamentalista. Non un dubbio, non un ripensamento, nemmeno a guerra finita". Verissimo; ma ci tengo a dire che sottoscrivo: vale anche per me.
E vale anche per me.
Il film è non solo semplicistico, ma pecca anche per omissioni: Kyle era un mentitore professionista, questo era un carattere riconosciuto e acclarato della sua personalità, e Eastwood ne tace del tutto. Do ragione al Maestro sul fatto che questo è un tipico western: di qua i buoni, di là i cattivi. Di qua un Paese invaso senza avere dichiarato guerra a nessuno e senza che nessun iracheno si sia mai reso protagonista di alcun attentato in Occidente, di là una guerra dichiarata da Bush e Blair con prove false, inventate. Direte: questa è politica. No, questa è storia: ma Eastwood omette anche questo. Un film western pieno di decisive omissioni, sia sul protagonista che sul contesto in cui opera, il che non sarebbe affatto importante, se non fosse per il fatto che è un film di una noia mortale e girato con la mano sinistra.
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