sabato 10 gennaio 2015

American Sniper

Clint Eastwood

Clint Eastwood viene dal western, e il western se l'è portato dietro per tutta la sua sfavillante carriera. Ora, cos'è che caratterizza il western? C'è chi dice questa cosa e chi quest'altra, chi dice i cavalli (horse opera) e chi i cappelloni dei cowboy, ma a parere di chi scrive è il fatto che tutti portino la pistola bene in vista nella fondina. Ovvero l'ostensione della possibilità di ciascuno di dare la morte, e la responsabilità di farlo o non farlo. L'uomo per bene non spara per primo - ma quando il male alza la sua brutta testa, tira fuori la pistola e lo manda al cimitero, a Boot Hill.
E' la semplice e onesta morale americana (che penetra con effetti letali nel putrido corpo di Osama Bin Laden in Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow). Ed è la morale dello splendido American Sniper di Eastwood, la storia autentica del tiratore scelto Chris Kyle, ottimamente interpretato da Bradley Cooper (come avrebbe potuto interpretarlo Clint da giovane).
Guarda cosa ci hanno fatto”, dice Chris a suo fratello guardando in televisione la strage islamica alle sedi diplomatiche americane in Kenia e Tanzania. E' il male (un termine che ricorre più volte nel film) che alza la testa. In una scena degna del cinema degli anni d'oro di Hollywood, il padre di Chris gli ha dato, da bambino col fratello, questa lezione di vita: esistono tre tipi di uomini, le pecore, i lupi e i cani da pastore; “in questa famiglia noi non alleviamo pecore e io vi ammazzo a cinghiate se diventate dei lupi”. Restano i cani da pastore: quelli che si battono contro il male. E' per questo che Chris Kyle si arruola nei Navy Seals (l'addestramento con gli istruttori cattivissimi è un ricordo di Gunny).
Questo recensore l'ha ripetuto più volte: Clint Eastwood ha una profonda somiglianza con Howard Hawks, non solo per la nettezza del racconto, del dialogo e della morale. Alla base del cinema di Hawks sta la figura dell'uomo che sa fare il proprio mestiere (pagandone il prezzo, certamente: c'entra con l'ossessione ma soprattutto col rapporto con la donna). Il cinema di Eastwood come quello di Hawks è un cinema di eroi; e l'eroe hawksiano come quello eastwoodiano è un professionista.
Così Chris, che è un ottimo tiratore, diventa il più grande sniper (cecchino) della storia dell'esercito americano. Breve digressione: è interessante notare che all'inizio del film vediamo il suo occhio magnificato nella lente del cannocchiale del fucile ma Eastwood non sfrutta quest'immagine, proprio come le soggettive del mirino sono assolutamente neutre; manca in Eastwood qualsiasi tipo di forma metacinematografica: per lui il racconto è il racconto e basta.
Siamo dalle parti di Hawks anche nel corteggiamento di Taya (Sienna Miller). Com'è un corteggiamento hawksiano? E' un corteggiamento adulto fra due adulti – dove ciascuno sente l'altro come suo pari. Nel presente film, comincia con reciproche battute nette e “maschili” e diventa una gran bevuta di whisky – finendo con lei che vomita e lui che le sorregge la fronte (sublime, concludere col vomito una scena di innamoramento! Chi altri avrebbe osato farlo?).
Eastwood non è un ingenuo. Sa bene che la guerra ti divora. Non è solo la dolorosa “deformazione professionale” che produce, per cui vediamo Chris, anche a casa in America, sobbalzare a ogni rumore imprevisto o sussultare con improvviso sospetto quando un furgone lo sorpassa in modo spericolato. C'è di più: c'è la tendenza a perdersi nel vortice della guerra come unica esistenza (nel film la guerra viene paragonata alla fiamma per la falena). La guerra come ossessione. In una scena superba vediamo Chris davanti alla tv che guarda – ce lo dice il sonoro di esplosioni – una delle sue registrazioni di combattimenti; ma poi il movimento della mdp inquadra il teleschermo rivelandoci che è spento: quello che sentiamo è un sonoro interiore. E' notevole, su questo aspetto, la somiglianza di American Sniper con The Hurt Locker di (altra menzione) Kathryn Bigelow; solo che là c'era la solitudine, qui il mondo degli affetti, la famiglia (ed è, questo, un tema fordiano). La moglie e i figli oppure i compagni di battaglia, che contano sulla protezione della sua mira infallibile? Nell'angoscia di Chris il film esprime ancora una volta il concetto molto eastwoodiano della responsabilità.
Anche quando sei qui tu non ci sei”, gli dice la moglie Taya - il concetto è ripetuto più volte, è una linea rossa del film. E' una scissione che troverà una risoluzione alla fine col ritorno di Chris alla famiglia (lo annuncia simbolicamente l'immagine del suo fucile da sniper lasciato a terra durante una ritirata precipitosa in una tempesta di sabbia). I legami si riannodano; la moglie gli dice che è un buon padre... “e sono felice di aver ritrovato mio marito”.
Questo non è un film a lieto fine. Dopo il suo ritorno Chris Kyle si dedicò ad aiutare i mutilati di guerra, e fu ucciso da un un reduce con problemi psichici che accompagnava al poligono di tiro su richiesta della madre. Stupenda l'ellissi sulla morte. Vediamo fuori dalla porta il pazzo bastardo, che ha già in questa prima e unica apparizione un'aria da assassino – stacco al viso di Taya improvvisamente turbato – ed entra un “nero” con la semplice didascalia che annuncia l'uccisione, nella forma dei “destini” che concludono molti film.
Ma qui il film prosegue: entrano – sulle note del Silenzio di Ennio Morricone – le immagini autentiche dell'ultimo viaggio di Chris nella bara, con la gente che si assiepa lungo le strade e sui viadotti per salutarlo agitando bandiere americane. Al fondo del cinema di Eastwood sta la morte, proprio perché è un cinema della realtà della vita, e al fondo della vita sta la morte, che vince sempre. Ma non c'è in questo ombra alcuna di decadentismo. Quello che importa per Eastwood è l'amore (di una donna, di una famiglia o di un'intera comunità) che ci si lascia dietro.
Così Eastwood congiunge la lezione di Howard Hawks e quella di John Ford in un altro film indimenticabile.

4 commenti:

Fausto Stefanutti ha detto...

"Nettezza del racconto, del dialogo e della morale" (per dirla con le parole del nostro recensore) sono i pregi e la fortuna del cinema di Clint Eastwood ma portano con sé anche il pericolo della semplificazione ed In American Sniper il pericolo c'è e si vede.
Chris Kyle è un giovanotto senza arte ne parte che un bel giorno decide di votarsi alla patria, si arruola e parte per l'Iraq. Chris è una persona "semplice": ha imparato dal padre che nel mondo c'è il male e c'è il bene, il vero ed il falso e la realtà non ha sfumature.
Non è cattivo: fa il suo dovere di soldato, spara ed ammazza quando c'è da sparare ed ammazzare. E' uno che non si fa troppe domande. Per lui tutto è chiaro e semplice: da una parte il bene, dall'altra il male, da un parte noi, l'America, dall'altra loro, l'Islam fondamentalista. Non un dubbio, non un ripensamento, nemmeno a guerra finita.
Eastwood è impeccabile nel raccontare la storia del suo protagonista (mai un attimo di noia in oltre due ore di pellicola) ma commette due errori: ci restituisce un solo punto di vista (quello dell'America di Bush junior e dei soldati a stelle e strisce) e si dimentica di dirci per quali ragioni e con quali obiettivi reali l'America sia andata in Iraq. Semplificare al cinema è una necessità ma è sempre una perdita soprattutto quando si vuole raccontare una storia vera.

giorgioplac ha detto...

"Per lui tutto è chiaro e semplice: da una parte il bene, dall'altra il male, da un parte noi, l'America, dall'altra loro, l'Islam fondamentalista. Non un dubbio, non un ripensamento, nemmeno a guerra finita". Verissimo; ma ci tengo a dire che sottoscrivo: vale anche per me.

Gianmatteo Pellizzari ha detto...

E vale anche per me.

Il Pero ha detto...

Il film è non solo semplicistico, ma pecca anche per omissioni: Kyle era un mentitore professionista, questo era un carattere riconosciuto e acclarato della sua personalità, e Eastwood ne tace del tutto. Do ragione al Maestro sul fatto che questo è un tipico western: di qua i buoni, di là i cattivi. Di qua un Paese invaso senza avere dichiarato guerra a nessuno e senza che nessun iracheno si sia mai reso protagonista di alcun attentato in Occidente, di là una guerra dichiarata da Bush e Blair con prove false, inventate. Direte: questa è politica. No, questa è storia: ma Eastwood omette anche questo. Un film western pieno di decisive omissioni, sia sul protagonista che sul contesto in cui opera, il che non sarebbe affatto importante, se non fosse per il fatto che è un film di una noia mortale e girato con la mano sinistra.