Purtroppo
in Italia pochissimi conoscono le operette vittoriane di Gilbert &
Sullivan; così, quando si nomina Mike Leigh, a non molti salta in
mente di primo acchito il delizioso Topsy-Turvy,
con cui il regista inglese ha disegnato il mondo dei due autori e il
loro ritorno al successo con The Mikado.
Si tende a pensare a Leigh come un narratore di storie contemporanee;
mentre invece è egualmente versato nel biopic
d'epoca, come mostra il film citato e come conferma l'ottimo Turner,
dedicato al grandissimo pittore inglese e impreziosito da una
splendida interpretazione di Timothy Spall.
Fedele al realismo
autentico, mai retorico, di Leigh, la figura di Turner ci balza
tutt'intera (tridimensionale, vorremmo dire) dalla realtà; il cinema
è un'arte visivo-auditiva, ma qui sembra di poter toccare le
superfici e annusare gli odori. Leigh ci racconta la materialità del
suo soggetto. Descrivere magnificamente la genialità scandalosa,
“avanguardistica”, di Turner nel suo modo di lavorare: non dico
solo l'episodio delizioso della boa rossa sul mare aggiunta
all'ultimo momento al dipinto per far scoppiare di rabbia Constable,
ma anche gli sputi con cui ricerca rabbiosamente sulla tela quella
indeterminatezza, quella foschia, quella presenza dell'elemento
acqueo nell'atmosfera.
La
potenza fisica dell'atmosfera avvolge
la narrazione storica (“Bufera di neve: Annibale e il suo esercito
attraversano le Alpi”); però, se pensiamo a un quadro come
“Mercanti di schiavi che gettano in mare i morti e i moribondi -
Tifone in arrivo”, l'elemento narrativo – e, aggiungerebbe con
urgenza Leigh, morale – viene trascritto in pennellate di luce
senza esserne annullato.
Mike
Leigh trasmette con forza la materialità, della realizzazione
artistica ma non solo: anche del lavoro di cucinare o di far la
spesa. Lontano da trascendenze romantiche, Leigh riconduce la pittura
al suo travaglio materiale e a quello scientifico. “La luce è
Dio!” grida Turner morendo: è ottica, non metafisica. Turner (che
apre il film e lo chiude mentre disegna avidamente
all'aria aperta), prima che una mano che guida il pennello sulla
tela, è un occhio che guarda. In una scena assai importante si fa
legare, come Ulisse, all'albero di una nave durante una tempesta per
“suggere”, in modo quasi famelico, attraverso l'esperienza della
visione diretta quello che per un altro pittore dell'epoca sarebbe
stato un problema teorico di commistione dei colori.
Non per niente Turner è
interessatissimo alla scienza; segue gli esperimenti di Mary
Sommerville; e lo vediamo nel film inquietato e affascinato da quella
nuova invenzione che è il dagherrotipo. Detto per inciso, l'episodio
sintetizza quello shock culturale che provarono i pittori
all'apparire di quella nuova tecnica che veniva descritta come una
sorta di “disegno automatico” - e poi prenderà il nome di
disegno con la luce: fotografia.
Qui
si pone un problema: se il film sia perfetto nel trasmettere la
forza, il senso profondo, di quella rivoluzione artistica che Turner
nel suo periodo più alto mette in atto nel colore e nella forma che
in esso si dissolve. Sebbene l'eccellente fotografia di Dick Pope ci
restituisca il treno di “Pioggia, vapore e velocità” con effetti
assai superiori al solito Kitsch quando il cinema vuol mostrare
“l'originale” sullo schermo, c'è da dire che per questo compito
ci sarebbe voluto un regista eminentemente visuale, forse Terrence
Malick o Herzog o magari Scorsese, laddove Mike Leigh è un regista
psicologico e sociale. Così Leigh (ma non possiamo fargliene motivo
di critica) ci trasmette la potenza di questa rivoluzione
specialmente a contrariis,
attraverso la reazione dei contemporanei vittoriani. Compresa una
giovane Regina Vittoria, perplessa e ostile quando visita
l'esposizione insieme al Principe Alberto, e non capiscono neanche il
soggetto del quadro (“Was ist das?” - “Ich weiβ nicht”).
Interessante notare che, all'altro polo della scala sociale, la
stessa perplessità è dell'umile governante di Turner quando si
aggira nello studio. Una scena ci mostra Turner mentre assiste a
teatro a una satira del suo modo di dipingere.
In
generale Leigh è ottimo nel delineare il quadro sociale, il mondo
che circonda il protagonista. Non per la prima volta ci assale il
pensiero che questo regista, qualora si trovassero i soldi, saprebbe
fare una splendida versione cinematografica o televisiva de Il
circolo Pickwick: ne ha la forma
mentis e le capacità adatte.
Turner
si aggira nella sua casa come un orso ingrugnato, tutto preso dalla
sua pittura. Mentre dipinge con tenerezza l'affetto per il padre
(Paul Jesson) e l'amore senile con Mrs. Booth (Marion Bailey), Leigh
non si tira indietro rispetto ai tratti meno commendevoli dell'uomo:
l'estraneazione dalla prima moglie (la regular
leighiana Ruth Sheen) e dalle due figlie, o il rapporto profondamente
egoistico con la governante e occasionale amante Hannah Danby,
visibilmente innamorata di lui; a questo proposito dobbiamo annotare
che, in un film unanimemente ben interpretato, la recitazione di
Dorothy Atkinson è eccezionale: ha una capacità folgorante di
esprimere i suoi sentimenti, neanche con la mimica, ma col corpo, coi
movimenti diegetici.
E tuttavia Turner non
emerge dal film come un brutale egoista. Anzi, possiamo concordare
con l'opinione di Mrs. Booth: “un uomo di grande spirito e squisita
sensibilità”; e non è l'illusione di una donna innamorata; questa
figura assai dolce tiene nondimeno i piedi per terra. Si può dire
che l'egocentrismo di Turner appartiene a quella particolare natura
del genio, che sembra indirizzare le vibrazioni del cuore
innanzitutto alla sua opera; l'amore in lui si esprime come
filtrandosi attraverso se stesso (il tramite materiale dell'opera),
per vie chiare solo a colui che lo prova (se da questo volete dedurre
che c'è poca soddisfazione personale nello sposare un genio, nessuno
vi smentirà). Un uomo innamorato della sua pittura, capace di
dimenticare le figlie salvo quando gli si parano davanti, ma anche di
rifiutare 100.000 sterline per le sue opere perché vuole regalarle
alla nazione britannica. Un uomo, amante delle canzonette e poesie
salaci, capace di generosità improvvise e disastrose occlusioni del
sentimento.
Anche
lui con squisita sensibilità come il suo soggetto, Mike Leigh
conclude il film con due donne innamorate che piangono Turner. Mrs.
Booth pulisce i vetri della loro casa e si illumina tristemente di un
sorriso di ricordo. La serva Hannah, devastata dalla malattia, piange
nello studio del pittore. Non può seguire altro che il nero dei
titoli di coda.
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