martedì 17 febbraio 2015

Turner

Mike Leigh

Purtroppo in Italia pochissimi conoscono le operette vittoriane di Gilbert & Sullivan; così, quando si nomina Mike Leigh, a non molti salta in mente di primo acchito il delizioso Topsy-Turvy, con cui il regista inglese ha disegnato il mondo dei due autori e il loro ritorno al successo con The Mikado. Si tende a pensare a Leigh come un narratore di storie contemporanee; mentre invece è egualmente versato nel biopic d'epoca, come mostra il film citato e come conferma l'ottimo Turner, dedicato al grandissimo pittore inglese e impreziosito da una splendida interpretazione di Timothy Spall.
Fedele al realismo autentico, mai retorico, di Leigh, la figura di Turner ci balza tutt'intera (tridimensionale, vorremmo dire) dalla realtà; il cinema è un'arte visivo-auditiva, ma qui sembra di poter toccare le superfici e annusare gli odori. Leigh ci racconta la materialità del suo soggetto. Descrivere magnificamente la genialità scandalosa, “avanguardistica”, di Turner nel suo modo di lavorare: non dico solo l'episodio delizioso della boa rossa sul mare aggiunta all'ultimo momento al dipinto per far scoppiare di rabbia Constable, ma anche gli sputi con cui ricerca rabbiosamente sulla tela quella indeterminatezza, quella foschia, quella presenza dell'elemento acqueo nell'atmosfera.
La potenza fisica dell'atmosfera avvolge la narrazione storica (“Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi”); però, se pensiamo a un quadro come “Mercanti di schiavi che gettano in mare i morti e i moribondi - Tifone in arrivo”, l'elemento narrativo – e, aggiungerebbe con urgenza Leigh, morale – viene trascritto in pennellate di luce senza esserne annullato.
Mike Leigh trasmette con forza la materialità, della realizzazione artistica ma non solo: anche del lavoro di cucinare o di far la spesa. Lontano da trascendenze romantiche, Leigh riconduce la pittura al suo travaglio materiale e a quello scientifico. “La luce è Dio!” grida Turner morendo: è ottica, non metafisica. Turner (che apre il film e lo chiude mentre disegna avidamente all'aria aperta), prima che una mano che guida il pennello sulla tela, è un occhio che guarda. In una scena assai importante si fa legare, come Ulisse, all'albero di una nave durante una tempesta per “suggere”, in modo quasi famelico, attraverso l'esperienza della visione diretta quello che per un altro pittore dell'epoca sarebbe stato un problema teorico di commistione dei colori.
Non per niente Turner è interessatissimo alla scienza; segue gli esperimenti di Mary Sommerville; e lo vediamo nel film inquietato e affascinato da quella nuova invenzione che è il dagherrotipo. Detto per inciso, l'episodio sintetizza quello shock culturale che provarono i pittori all'apparire di quella nuova tecnica che veniva descritta come una sorta di “disegno automatico” - e poi prenderà il nome di disegno con la luce: fotografia.
Qui si pone un problema: se il film sia perfetto nel trasmettere la forza, il senso profondo, di quella rivoluzione artistica che Turner nel suo periodo più alto mette in atto nel colore e nella forma che in esso si dissolve. Sebbene l'eccellente fotografia di Dick Pope ci restituisca il treno di “Pioggia, vapore e velocità” con effetti assai superiori al solito Kitsch quando il cinema vuol mostrare “l'originale” sullo schermo, c'è da dire che per questo compito ci sarebbe voluto un regista eminentemente visuale, forse Terrence Malick o Herzog o magari Scorsese, laddove Mike Leigh è un regista psicologico e sociale. Così Leigh (ma non possiamo fargliene motivo di critica) ci trasmette la potenza di questa rivoluzione specialmente a contrariis, attraverso la reazione dei contemporanei vittoriani. Compresa una giovane Regina Vittoria, perplessa e ostile quando visita l'esposizione insieme al Principe Alberto, e non capiscono neanche il soggetto del quadro (“Was ist das?” - “Ich weiβ nicht”). Interessante notare che, all'altro polo della scala sociale, la stessa perplessità è dell'umile governante di Turner quando si aggira nello studio. Una scena ci mostra Turner mentre assiste a teatro a una satira del suo modo di dipingere.
In generale Leigh è ottimo nel delineare il quadro sociale, il mondo che circonda il protagonista. Non per la prima volta ci assale il pensiero che questo regista, qualora si trovassero i soldi, saprebbe fare una splendida versione cinematografica o televisiva de Il circolo Pickwick: ne ha la forma mentis e le capacità adatte.
Turner si aggira nella sua casa come un orso ingrugnato, tutto preso dalla sua pittura. Mentre dipinge con tenerezza l'affetto per il padre (Paul Jesson) e l'amore senile con Mrs. Booth (Marion Bailey), Leigh non si tira indietro rispetto ai tratti meno commendevoli dell'uomo: l'estraneazione dalla prima moglie (la regular leighiana Ruth Sheen) e dalle due figlie, o il rapporto profondamente egoistico con la governante e occasionale amante Hannah Danby, visibilmente innamorata di lui; a questo proposito dobbiamo annotare che, in un film unanimemente ben interpretato, la recitazione di Dorothy Atkinson è eccezionale: ha una capacità folgorante di esprimere i suoi sentimenti, neanche con la mimica, ma col corpo, coi movimenti diegetici.
E tuttavia Turner non emerge dal film come un brutale egoista. Anzi, possiamo concordare con l'opinione di Mrs. Booth: “un uomo di grande spirito e squisita sensibilità”; e non è l'illusione di una donna innamorata; questa figura assai dolce tiene nondimeno i piedi per terra. Si può dire che l'egocentrismo di Turner appartiene a quella particolare natura del genio, che sembra indirizzare le vibrazioni del cuore innanzitutto alla sua opera; l'amore in lui si esprime come filtrandosi attraverso se stesso (il tramite materiale dell'opera), per vie chiare solo a colui che lo prova (se da questo volete dedurre che c'è poca soddisfazione personale nello sposare un genio, nessuno vi smentirà). Un uomo innamorato della sua pittura, capace di dimenticare le figlie salvo quando gli si parano davanti, ma anche di rifiutare 100.000 sterline per le sue opere perché vuole regalarle alla nazione britannica. Un uomo, amante delle canzonette e poesie salaci, capace di generosità improvvise e disastrose occlusioni del sentimento.
Anche lui con squisita sensibilità come il suo soggetto, Mike Leigh conclude il film con due donne innamorate che piangono Turner. Mrs. Booth pulisce i vetri della loro casa e si illumina tristemente di un sorriso di ricordo. La serva Hannah, devastata dalla malattia, piange nello studio del pittore. Non può seguire altro che il nero dei titoli di coda.

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