Xavier Giannoli
Bellissima versione del
capolavoro di Balzac con un cast di eccellenti attori francesi,
Illusioni perdute di Xavier Giannoli è una storia di ascesa e
caduta nella Francia della Restaurazione. Ad Angoulême, Lucien
Chardon (Benjamin Voisin) – che senza diritto legale si fa chiamare
de Rubempré, il cognome nobiliare della madre – è un giovane
promettente poeta di provincia dedito al culto della bellezza, che
gira nei campi a scrivere portandosi dietro una sedia come un Keats
di complemento. E' il protetto, e presto l'amante, della malmaritata
baronessa Louise de Bargeton (Cécile de France), un po' più esperta
ma non meno romantica di lui: “Beauty Forever”, recita il grande
nastro appeso al suo ricevimento – cui subito il montaggio accosta
in opposizione il viso volgare dell'invitato che mangia.
Dopo una scenata del
barone, i due partono per Parigi, viaggiando insieme a rischio di
provocare uno scandalo. Però: “Stavano davvero andando nella
stessa direzione?”, riflette la voce narrante su un campo
lunghissimo della carrozza in viaggio – e il montaggio risponde con
un ominoso stacco ai piedi di Lucien che scende su un'asse stesa sul
fango della rue parigina. Ben presto la differenza di classe
aggravata dalla goffaggine di Lucien, che si rende ridicolo nella
prima apparizione all'Opéra, fa sì che i due amanti si debbano
separare.
Giannoli, anche
co-sceneggiatore con Jacques Fieschi, riscrive con abilità il testo
balzacchiano, fondando il racconto su una magistrale gestione delle
sfumature e delle minuzie del gesto, e bellissimi accostamenti per
contrasto nel montaggio di Cyril Nakache. L'inchiostro, nero e come
vischioso, è la materia principale del film, che segue il
provinciale respinto dalla nobiltà nella sua trasformazione in astro
della stampa liberale parigina, e presenta un quadro impressionante
per la sua corrispondenza fra ieri e oggi. Anche se non ci sono
ancora i social, l'attualità è sconvolgente: è la nascita della
comunicazione di massa, il mondo della pubblicità imperante, delle
fake news e delle opinioni in vendita. “Cavaliere senza
paura e senza principi, nel nome della malafede, dei pettegolezzi e
degli annunci pubblicitari io vi battezzo giornalista”, intona il
direttore di Lucien versandogli champagne sul capo. Nella sua
sceneggiatura Giannoli non ha dovuto sovrimporre la propria visione
critica di duecento anni dopo al testo di Balzac, non ha dovuto
neppure scavarvi per tirar fuori l'implicito: c'è già tutto in
Balzac, frutto di una capacità analitica geniale.
“Il denaro era la
nuova aristocrazia”. La voce narrante accompagna tutta la storia,
tra Balzac, echi di Oscar Wilde e persino di Baudelaire; molto bella
la sovrapposizione tra voce narrante e rappresentazione narrativa
nel racconto del fiasco di Coralie (Salomé Dewaels), l'attrice amata
da Lucien – che ha qualcosa di fatale. All'ombra della ricchezza
borghese, la Parigi del nuovo giornalismo è una festa mobile
isterica con hashish nelle pipe. Il film offre una pagina deliziosa
nell'illustrazione “teorica” dei canards (papere, ma sta
per fake news) trasformata in realtà visuale con vere papere
che passeggiano nella redazione del giornale – dove una scimmia
sceglie a caso i libri da recensire (“Stendhal o Chateubriand?”).
E' un mercato delle idee dove l'elogio o la stroncatura dipendono dal
compenso; le polemiche sono fatte per pubblicizzare colui che
attaccano; e l'editore analfabeta Doriat (Gérard Depardieu) vende
allo stesso modo libri e frutta (“L'ananas ci salverà dalle
poesie”). Nella potente descrizione di questo mondo spiccano i visi
opposti di Lousteau (Vincent Lacoste) e Nathan (Xavier Dolan). Sul
fondo, in secondo piano, corre diversa ma parallela la storia di
Louise de Bargeton, che è anch'essa una storia di illusioni perdute.
Su una lettera
menzognera alla sorella in cui Lucien dice che il giornalismo non lo
distrarrà dalla sua poesia, il montaggio ironizza con l'inquadratura
delle prostitute seminude al balcone. In questo mondo è facile
perdere l'innocenza; e Lucien ci si tuffa con autentico fervore.
Pensiamo alla scena delle sue risate durante una vera e propria
lezione sull'arte della stroncatura in malafede: Lucien ha quella
gagliofferia ingenua ch'è propria degli innocenti quando decidono di
involgarirsi, e li noti perché eccedono sempre nel farlo.
Non c'è da stupirsi
che i debiti e i maneggi di Lucien – il quale, nel tentativo di
farsi riconoscere il cognome della madre, passa agli infidi
monarchici e si ritrova contro i liberali – conducano alla rovina
lui e Coralie.
Merita segnalare nello
splendido film di Giannoli, così articolato, così intelligentemente
pensato, una doppia mise en abyme: prima ironica, quando
Doriat durante un litigio ipotizza il romanzo “L'orfano di
Angoulême”, poi una rivelazione quando vediamo Lucien come
protagonista del romanzo che l'amico-nemico Nathan scrive su di lui
dopo la sua caduta, ed è la storia che abbiamo visto. Col che, val la pena di aggiungere, Giannoli e
Fieschi risolvono elegantemente la questione del finale del romanzo
in Balzac, dov'è tutta proiettata verso un altro romanzo: Lucien
intende uccidersi e ne viene distolto da Vautrin, per incontrare
alfine il suo destino in Splendori e miserie delle cortigiane.