sabato 8 gennaio 2022

Illusioni perdute

Xavier Giannoli

Bellissima versione del capolavoro di Balzac con un cast di eccellenti attori francesi, Illusioni perdute di Xavier Giannoli è una storia di ascesa e caduta nella Francia della Restaurazione. Ad Angoulême, Lucien Chardon (Benjamin Voisin) – che senza diritto legale si fa chiamare de Rubempré, il cognome nobiliare della madre – è un giovane promettente poeta di provincia dedito al culto della bellezza, che gira nei campi a scrivere portandosi dietro una sedia come un Keats di complemento. E' il protetto, e presto l'amante, della malmaritata baronessa Louise de Bargeton (Cécile de France), un po' più esperta ma non meno romantica di lui: “Beauty Forever”, recita il grande nastro appeso al suo ricevimento – cui subito il montaggio accosta in opposizione il viso volgare dell'invitato che mangia.
Dopo una scenata del barone, i due partono per Parigi, viaggiando insieme a rischio di provocare uno scandalo. Però: “Stavano davvero andando nella stessa direzione?”, riflette la voce narrante su un campo lunghissimo della carrozza in viaggio – e il montaggio risponde con un ominoso stacco ai piedi di Lucien che scende su un'asse stesa sul fango della rue parigina. Ben presto la differenza di classe aggravata dalla goffaggine di Lucien, che si rende ridicolo nella prima apparizione all'Opéra, fa sì che i due amanti si debbano separare.
Giannoli, anche co-sceneggiatore con Jacques Fieschi, riscrive con abilità il testo balzacchiano, fondando il racconto su una magistrale gestione delle sfumature e delle minuzie del gesto, e bellissimi accostamenti per contrasto nel montaggio di Cyril Nakache. L'inchiostro, nero e come vischioso, è la materia principale del film, che segue il provinciale respinto dalla nobiltà nella sua trasformazione in astro della stampa liberale parigina, e presenta un quadro impressionante per la sua corrispondenza fra ieri e oggi. Anche se non ci sono ancora i social, l'attualità è sconvolgente: è la nascita della comunicazione di massa, il mondo della pubblicità imperante, delle fake news e delle opinioni in vendita. “Cavaliere senza paura e senza principi, nel nome della malafede, dei pettegolezzi e degli annunci pubblicitari io vi battezzo giornalista”, intona il direttore di Lucien versandogli champagne sul capo. Nella sua sceneggiatura Giannoli non ha dovuto sovrimporre la propria visione critica di duecento anni dopo al testo di Balzac, non ha dovuto neppure scavarvi per tirar fuori l'implicito: c'è già tutto in Balzac, frutto di una capacità analitica geniale.
Il denaro era la nuova aristocrazia”. La voce narrante accompagna tutta la storia, tra Balzac, echi di Oscar Wilde e persino di Baudelaire; molto bella la sovrapposizione tra voce narrante e rappresentazione narrativa nel racconto del fiasco di Coralie (Salomé Dewaels), l'attrice amata da Lucien – che ha qualcosa di fatale. All'ombra della ricchezza borghese, la Parigi del nuovo giornalismo è una festa mobile isterica con hashish nelle pipe. Il film offre una pagina deliziosa nell'illustrazione “teorica” dei canards (papere, ma sta per fake news) trasformata in realtà visuale con vere papere che passeggiano nella redazione del giornale – dove una scimmia sceglie a caso i libri da recensire (“Stendhal o Chateubriand?”). E' un mercato delle idee dove l'elogio o la stroncatura dipendono dal compenso; le polemiche sono fatte per pubblicizzare colui che attaccano; e l'editore analfabeta Doriat (Gérard Depardieu) vende allo stesso modo libri e frutta (“L'ananas ci salverà dalle poesie”). Nella potente descrizione di questo mondo spiccano i visi opposti di Lousteau (Vincent Lacoste) e Nathan (Xavier Dolan). Sul fondo, in secondo piano, corre diversa ma parallela la storia di Louise de Bargeton, che è anch'essa una storia di illusioni perdute.
Su una lettera menzognera alla sorella in cui Lucien dice che il giornalismo non lo distrarrà dalla sua poesia, il montaggio ironizza con l'inquadratura delle prostitute seminude al balcone. In questo mondo è facile perdere l'innocenza; e Lucien ci si tuffa con autentico fervore. Pensiamo alla scena delle sue risate durante una vera e propria lezione sull'arte della stroncatura in malafede: Lucien ha quella gagliofferia ingenua ch'è propria degli innocenti quando decidono di involgarirsi, e li noti perché eccedono sempre nel farlo.
Non c'è da stupirsi che i debiti e i maneggi di Lucien – il quale, nel tentativo di farsi riconoscere il cognome della madre, passa agli infidi monarchici e si ritrova contro i liberali – conducano alla rovina lui e Coralie.
Merita segnalare nello splendido film di Giannoli, così articolato, così intelligentemente pensato, una doppia mise en abyme: prima ironica, quando Doriat durante un litigio ipotizza il romanzo “L'orfano di Angoulême”, poi una rivelazione quando vediamo Lucien come protagonista del romanzo che l'amico-nemico Nathan scrive su di lui dopo la sua caduta, ed è la storia che abbiamo visto. Col che, val la pena di aggiungere, Giannoli e Fieschi risolvono elegantemente la questione del finale del romanzo in Balzac, dov'è tutta proiettata verso un altro romanzo: Lucien intende uccidersi e ne viene distolto da Vautrin, per incontrare alfine il suo destino in Splendori e miserie delle cortigiane.

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