Roland
Emmerich è un regista assai diseguale, che ci ha dato opere
passabilmente buone e altre francamente brutte. Independence Day –
Rigenerazione appartiene al novero delle buone – anche
se non è bello come il film originario di cui è il sequel.
Il
primo Independence Day (1996) fu una specie di grido nella
notte, stranamente profetico. Come fu subito notato (anche
polemicamente), era una critica esplicita e sarcastica al buonismo
spielberghiano. Basta
ricordare due battute
di Will Smith: “Sono
solo un tantino ansioso di andare lassù a spaccare il culo a E.T.”
e (dopo il cazzotto all'invasore alieno) “Questo è quello che
chiamo incontro ravvicinato”. Come in X-Files, la verità è
là fuori, ma soprattutto c'è qualcuno là fuori che non è
particolarmente amichevole. Il film comincia sulla Luna, dove la
targa messa nel 1969 e piena di ottimismo viene coperta dall'ombra
minacciosa dell'astronave aliena.
Semplice
buon senso, diremmo oggi, ma riportiamoci al 1996: era l'epoca dopo
il crollo dell'Unione Sovietica quando Francis Fukuyama aveva
teorizzato la “fine della storia”. Il mondo sembrava avviato alla
pacificazione, e le sue contraddizioni destinate a risolversi nella
marcia del progresso (e del libero mercato). Pochi anni dopo, l'11
settembre 2001 suonò un brusco risveglio.
E
si vide che Independence Day non era una fantasia scollegata
dalla realtà (e reazionaria, aggiungevano i più ideologizzati).
Certo, c'erano i musulmani jihadisti e non i marziani; ma che ci
fosse il nemico fuori dalle porte, lo aveva visto con esattezza
chirurgica (per la cronaca, un altro film che accennava allo stesso
concetto – sebbene in modo più laterale ai fini della trama – fu
True Lies di James Cameron). Adesso che di tutte quelle
illusioni è rimasta terra bruciata (o ground zero), cosa può
dirci che già non sappiamo un sequel di Independence Day?
A parte
ovviamente il divertimento immediato?
Infatti
in Independence Day – Rigenerazione, ambientato
esattamente vent'anni dopo, c'è un indebolimento della risonanza
metaforica. Ma ciò anche perché, mentre il punto di riferimento del
primo film era il mondo reale, quello del secondo è il film
originario: com'è giusto, visto che la tentata invasione aliena del
primo film ha instaurato una timeline alternativa che col
nostro mondo attuale non ha rapporti. Ovvero, là andava a pezzi il
“vero” 1996, qui ci troviamo in un 2016 del tutto svincolato
dalla realtà attuale. Sono vent'anni che non ci sono guerre e
l'umanità vive relativamente in pace. Evidentemente per gli uomini –
questa sanguinaria razza di scimmie! – solo l'esistenza di un
nemico in agguato può rappresentare un motivo per smettere di
combattersi. E personalmente sono convinto che gli sceneggiatori,
Roland Emmerich, Dean Devlin e altri tre, siano ancora troppo
ottimisti.
Su
questa timeline alternativa piomba il colpo di maglio di un
nuovo attacco, rinforzato, degli extraterrestri. C'è il tentativo di
Emmerich di giocare sul potenziamento della grandezza (che già era
una carta vincente del primo film). Se nel film originario
l'astronave madre era gigantesca, in questo ha 3000 miglia di
diametro – ispirando la battuta più memorabile del film. Va subito
detto però che Independence Day – Rigenerazione non
è capace di mantenersi su questa inconcepibile scala di grandezza, e
la descrizione della lotta torna a dimensioni più contenute.
Comunque, grandi abbastanza per devastarci. L'immagine della nave
aliena che “ara” la città come fosse un campo non si lascia
dimenticare. La
CGI assume il suo ruolo più ovvio, potenziare fino
all'inimmaginabile “l'immagine del disastro” – e lo fa
indubbiamente bene.
In
contrapposizione al revisionismo di molto cinema commerciale
contemporaneo (per cui sequel = remake = reboot), Independence Day
– Rigenerazione attinge
pienamente alla riserva narrativa e retorico-morale del film
originario; risentiamo anche il grande discorso “churchilliano”
del presidente Whitmore. Però con
l'introduzione della
sfera bianca entra nell'universo diegetico di Independence
Day il concetto di una guerra
galattica e di un “pianeta della resistenza” popolato di
rifugiati. Questo concetto lucasiano (ma la presenza di George Lucas
è visibile in tutta la saga) permette di ipotizzare una via di fuga
a quella che altrimenti sarebbe una coazione a ripetere nel caso di
ulteriori sequel (altrimenti, quanto dovrebbe essere grande la
prossima astronave?).
Siccome
è il 4 luglio 2016, e gli extraterrestri tornano a rompere mentre si
festeggia il ventennale di quello del primo film, Independence Day
– Rigenerazione deve
fare i conti col
film precedente anche in termini di personaggi, giacché – secondo
la
buona
regola
dei film di catastrofi – quel film saltava su una pluralità di linee
narrative (alla fine convergenti). Il sequel fa una scelta logica,
eppure coraggiosa: richiama in servizio con identico ruolo di
co-protagonisti tutti i personaggi di vent'anni prima. Fa eccezione
Will Smith, per la cui mancanza all'appello la sceneggiatura inventa
che il
personaggio è morto
in un incidente di collaudo in passato; è
presente solo in un paio di
foto, nonché nella persona del figlio, o più precisamente
figliastro, che abbiamo visto bambino nel primo film (i
figli sono peraltro il modo
per introdurre attori giovani nell'insieme).
Ci si chiede, per inciso, se non
sia la morte diegetica di
Will Smith a propiziare la morte, nel presente film, della sua
vedova; perché se fosse stato vivo probabilmente gli sceneggiatori
gliel'avrebbero fatta riabbracciare sana
e salva alla
fine; basta vedere 2012
per capire che per Emmerich le catastrofi planetarie servono a far
ritrovare le coppie.
Così
la caratterizzazione dei personaggi trova una sfumatura di profondità
assumendo nella propria definizione la percezione automaticamente
drammatica (vedi in particolare l'ex presidente Whitmore, Bill
Pullman) del tempo che passa. Viene anche elaborata una nuova
importanza per un personaggio secondario del primo film, lo
scienziato picchiatello interpretato da Brent Spiner. Independence
Day – Rigenerazione è
una vera e propria
rimpatriata, e questo non è
l'ultimo dei suoi motivi di attrazione, magari
artisticamente modesti - ma
sicuri.
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