Vi
sono luci e ombre ne Il ponte delle spie
di Spielberg, e ciò non
dipende dal suo modo di ripetere
accuratamente modelli
cinematografici del passato.
Il limite non è
questo classicismo un po'
programmatico – altrimenti bisognerebbe criticare
altre opere ammirevoli
quali Lontano dal Paradiso
di Todd Haynes o (diversamente) Revolutionary Road
di Sam Mendes o, inedito in
Italia, lo splendido giapponese “hitchcockiano”
Zero Focus
di Inudo Isshin. E'
peraltro vero che in quei film si tratta di una riscrittura
(postmoderna, per usare un aggettivo abusato) mentre quella
di Spielberg - non citazione
ma adesione – si potrebbe
definire serenità.
Il
punto è che Il
ponte delle spie viola il
principio estetico fondamentale che il tutto è più della somma
delle parti. Così il film si
fa ricordare più per le
singole sezioni,
di valore diseguale, che
per l'insieme.
Infatti
il film drammatizza una
storia vera della Guerra Fredda - siamo
nel 1957 - in tre parti.
La prima - la migliore, un piccolo gioiello “hitchcockiano”
di concentrazione e intensità
- è un mini-film
di spionaggio, narrato in maniera interamente oggettiva, ovvero
non focalizzato, che
racconta l'attività spionistica e l'arresto di Rudolf Abel (Mark
Rylance). Secco,
freddo (e ben servito in
questo dalla tavolozza quasi stinta della bellissima fotografia di
Janusz Kaminski), rende
meravigliosamente
l'elemento antieroico,
triste e disincantato dello
spionaggio/controspionaggio:
quello vero, non James Bond; ricorda
piuttosto i
romanzi di Le Carré. Fino
al grottesco “coeniano” della spia arrestata in mutande
nella camera d'albergo, che
chiede che gli lascino mettere la dentiera. Dico coeniano perché la
sceneggiatura
di Matt Charman
è stata rivista dai fratelli Coen, e sembra giusto attribuire loro
certe
irruzioni di bizzarria nel film.
La
prima inquadratura
è una splendida
materializzazione visiva dello spionaggio come
condizione interiore:
il
pittore dilettante e spia
sovietica Abel sta dipingendo un autoritratto, e vediamo una triplicazione del suo viso, fra
lui, lo specchio in cui si
guarda e il
suo volto riprodotto sulla tela. Cos'è
una spia se non qualcuno che si è moltiplicato
la vita creando
una
realtà fittizia?
Però
l'umanista
Spielberg si pone sempre la domanda: dov'è l'uomo?
E',
questa parte,
una descrizione oggettiva,
procedural, che
trova il suo
oggetto-simbolo nella
falsa moneta: un oggetto che
vediamo sia in questa
situazione sia in quella analoga
e parallela della spia americana Gary Powers che sorvola in aereo
l'Unione Sovietica con l'U-2.
Giacché
il film si
costruisce su un montaggio alternato tanto
materiale quanto ideale: “noi”
e “loro”, impegnati a spiarsi a vicenda. Arrestato
Abel, la
sua difesa viene affidata all'avvocato Donovan (un meraviglioso Tom
Hanks: la sua scena di presentazione è un altro gioiello). Direbbe
il Woody Allen di Irrational Man
che Donovan segue un'etica giuridica kantiana laddove
tutti si aspettavano un'etica circostanziale. Sulla base che la
perquisizione che l'ha incastrato era illegale (c'era il mandato di
arresto ma non quello di perquisizione della stanza d'albergo),
Donovan difende grintosamente Abel fino ad appellarsi alla Corte
Suprema. Ciò gli costa una diffusa impopolarità.
Il
ponte delle spie si è
così trasformato
in un courtroom
drama - dove
Tom Hanks si delizia a rifare Spencer Tracy, nella
tradizione di una linea di rocciosi avvocati idealisti del cinema
americano. Qui
però il
film mostra un limite: diventa didattico, un
difetto non ignoto a Spielberg.
Sia a livello
della storia, amplificando le manifestazioni di ostilità rispetto
alla realtà storica (gli spari alla finestra) o con la scena
“telegrafata” del poliziotto che inveisce contro Donovan; sembra
che Spielberg e gli
sceneggiatori temessero che l'ostilità
degli sguardi non fosse
abbastanza chiara; sia
(peggio) a livello del
discorso: Spielberg è sempre stato un regista enfatico, prendere
o lasciare, ma qui
esagera in inquadrature dal basso e in sottolineature iper-marcate
della musica
di Thomas
Newman. Recupera
anche la fisiognomica
morale: l'agente della CIA Hoffmann porta la sua condanna scritta sul
volto (non per niente ci impressionerà
di più
col suo bel viso “aperto”
un'altra
figura negativa del film, l'avvocato
Vogel, rappresentante
della Germania Est).
Convincente
è comunque il
quadro d'insieme, che descrive una società americana terrorizzata
dalla prospettiva della guerra atomica (in
una scena dei bambini
assistono terrorizzati a un
documentario sulla Bomba). Il film usa molto, nella prima parte, il
falso raccordo; ed è un bellissimo tocco di montaggio il passaggio
dall'“In piedi!” intimato nel processo quando entra la corte e la
classe di bambini che in piedi giura
fedeltà agli Stati Uniti.
Il
terzo movimento del film si
ha
quando a Donovan è
richiesto, da
Allen Dulles in persona, di
trattare a Berlino Est, in
forma non ufficiale, lo
scambio tra Rudolf Abel
e Gary Powers, catturato dopo che il suo aereo è stato abbattuto.
Con la complicazione che i tedeschi orientali hanno arrestato uno
studente americano ed
hanno una propria “agenda”, non coincidente con quella del
fratello maggiore russo; l'avvocato intende – contro
la CIA che
pensa solo a Powers - comprendere
nello scambio entrambi. Bel tratto della sceneggiatura, ciò ha un
legame sotterraneo con il discorso “olistico” sul tutto e le
singole parti che Donovan faceva all'inizio circa
una causa di
assicurazioni.
Qui
Il ponte delle spie
diventa un'avventura
diplomatico/spionistica, ma
soprattutto spionistica
(diversa
dalla prima perché soggettiva,
focalizzata
su Tom Hanks), sia
perché Donovan
si muove senza
protezione alcuna, nel
rischio continuo dell'infiltrato in un mondo ostile, sia
per la nebbia di ambiguità che circonda le trattative e dà loro un
aspetto
irreale. Il film rende bene il senso
di spossatezza e
paura in questo gioco
d'ombre
e di maschere nella cupa
Berlino Est ancora piena di
macerie – e
diventa sempre
più teso man mano
che questa trattativa perigliosa e accidentata prosegue, fino a una
memorabile scena di scambio sul ponte. Dove i riflettori “sparati”
verso la mdp riprendono (non è
la prima volta nel film) il classico topos
visivo
spielberghiano delle luci dirette verso l'occhio dello spettatore
(l'occhio essendo il cuore del cinema di Spielberg, sul che
ritorneremo fra poco).
Il
ponte delle spie potrebbe finire
su questa scena,
e un epilogo piuttosto lungo potrebbe esser giudicato inutile - se
non ci fosse nel finale un
dettaglio che è un altro momento alto del film. Sullo
sfondo della storia v'è
la descrizione del Muro di
Berlino in costruzione, in
tutto il suo crudele orrore.
In una scena, che Spielberg
porge abilmente in modo quasi casuale,
Donovan viaggiando
di notte sul metrò sopraelevato di Berlino Est vede una famiglia con
bambina cercar di valicare il muro ed essere falciata dai mitra delle
guardie comuniste. Alla fine del film, tornato a casa in America, sta
viaggiando sulla sopraelevata e vede dei ragazzini che per gioco
scavalcano la rete di recinzione di un giardino - e ricorda. Il film
si chiude sulla sua espressione raggelata.
In
tutto il cinema di Spielberg (come in quello di Ridley Scott, per
inciso) è un punto centrale
l'insostenibile peso della visione.
Che può essere una visione di orrore come qui (e ve ne sono esempi
classici nel ciclo di Indiana Jones) o anche di disperata bellezza,
come in un'altissima pagina de L'impero del sole
(il ragazzino inglese
prigioniero di
guerra che vede la cerimonia
di arruolamento dei kamikaze giapponesi
– e non può fare a meno di cantare un canto solenne per
accompagnarla); ma è sempre una visione da cui l'occhio è colpito
come da una lama.
1 commento:
Caro Giorgio, sono contento soprattutto di una cosa, che il giudizio che dai sulla somma delle parti non riesce a togliere nulla alla bellezza dei singoli frammenti che descrivi. A me il film è piaciuto molto, una bella zampata del migliore Spielberg, che è migliore quando parla di libertà e diritti civili. Il suo capolavoro in questo senso è "Amistad".
Interessante il confronto fra "verità storica" (ammesso che la fonte sia degna di fede) e quel che si racconta nel film. Un grande lavoro anche a partire dalla somiglianza fisica dei protagonisti.
Buon 2016.
http://www.historyvshollywood.com/reelfaces/bridge-of-spies/
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