Basta
fare un giro su Internet per vedere come Una fragile armonia,
primo film di fiction del documentarista Yaron Zilberman, abbia
diviso gli spettatori. Invero, non sarà un film di vertiginosa
intensità bergmaniana, ma è un buon esempio di quel genere che si
potrebbe definire “d'essai di massa”, il film medio di argomento
elevato e fatto bene - e Una fragile armonia è fatto
benissimo. Molto godibile, è in tutto e per tutto un film di attori:
mostri sacri come Christopher Walken e Philip Seymour Hoffmann e i
meno noti Mark Ivanir e Catherine Keener.
Il
film racconta la crisi di un quartetto d'archi dopo 25 anni di
attività. Quando il più anziano, e leader morale, Peter (Walken)
annuncia che deve ritirarsi perché ha scoperto i primi sintomi del
morbo di Parkinson, ciò fa da catalizzatore di una serie di tensioni
sia professionali - Robert (Hoffmann) si sente sminuito nel ruolo di
secondo violino - sia familiari: il matrimonio fra Robert e Juliette
(Keener) va a pezzi e il fatto che Daniel (Ivanir) abbia una
relazione con la giovane figlia dei due, Alexandra (Imogen Potts),
getta benzina sul fuoco. Non è facile mettere d'accordo le proprie
passioni e l'olimpica perfezione di Beethoven (il suo quartetto per
archi n. 14, op. 131, risuona potente lungo il film), con il quale
bisogna entrare in sintonia empatica se lo si vuole suonare.
Un
quartetto è una fragile e complessa architettura musicale in cui
ogni strumento ha un suo spazio e un ruolo decisivo - come del resto
viene spiegato bene nel film, che ha una non nascosta vena didattica.
Se vale per il quartetto, vale anche per il film stesso. Una
fragile armonia (The Late Quartet) è come dicevamo un
film di attori, e ciascuno dei quattro interpreti ha diritto a una
parte egualmente importante (al massimo, volendo portare avanti l'analogia, potremmo dire che il ruolo di primo violino tocca a
Christopher Walken - che invece nel film è il violoncellista). Così
il racconto si sviluppa in segmenti interlineati; i passaggi dall'uno
all'altro sono realizzati con un bel montaggio netto, dove la musica
ha un ruolo legante.
Come
dice Renoir ne La regola del gioco, il tragico della vita è
che tutti hanno le loro ragioni. Il presente film, che si avvale di
una sceneggiatura molto ben calibrata sul piano drammaturgico, riesce
a far emergere appieno questo concetto sullo schermo, così per i
quattro musicisti come per il quinto personaggio, Alexandra. Tutti noi alterniamo nella vita momenti di
saggezza e momenti di connerie (non è del tutto vero: ci sono
anche i cons in servizio permanente effettivo). Il cinema
americano però, senza per questo dover rinunciare
all'approfondimento psicologico dei personaggi, per antica tradizione
drammaturgica ama definizioni del carattere nette, clear cut (anche l'ottimo Quartet di Dustin Hoffman, analogo per l'elemento musicale). Qui le
definizioni sono più sfumate, e ciò dà al film un senso
realistico nelle sue notazioni sui rapporti umani: l'egoismo degli
artisti, la crudeltà dei giovani, ma anche, più in piccolo, quella
capacità che posseggono in sommo grado gli uomini di scegliere il
peggior momento possibile per una discussione con la moglie (qui
l'asta); aggiungo, perché sociologicamente sempre interessante,
anche la deriva neo-puritana (si dice sempre così, ma in realtà è
neo-piccoloborghese) dopo l'epoca di “non drammatizzazione” del
sesso del secolo scorso.
Ben
diretto (vedi come Zilberman rende con levità un pensiero di
suicidio di Peter mediante una sola inquadratura in soggettiva), il
film ricorre molto ai segni del passato: vecchie foto, articoli
ingialliti, lontane interviste televisive. Il motivo non è solo di
contrasto con la crisi del presente. Sembra di no, ma è il tempo -
non l'amore - la forza occulta dietro Una fragile armonia. Ciò
è sottolineato ricorrendo alla poesia, quella iniziale di T.S. Eliot
sul tempo (ispirata al pensiero di Sant'Agostino) e quella di Ogden
Nash sui vecchi. Lo stesso vale per un discorso di Peter su un
autoritratto di Rembrandt che ammira con Juliette alla Frick
Collection di Manhattan (New York appare nel film come un'autentica
presenza, più che come
sfondo). Indirettamente, anche il gelo che avvolge Central Park ha a
che fare con questo: rispecchia la morsa del tempo sulle ambizioni
giovanili, gli amori, i matrimoni (per non dire che anche un
quartetto è come un matrimonio artistico).
Alla
fine Peter si ritira, a metà di un concerto, sostituito dalla
violoncellista Nina Lee (che appare as herself). Chi scrive
non punterebbe molti soldi sulla sopravvivenza a lungo del quartetto dopo la
muta riconciliazione che chiude il film. Ma questo è valido in
generale per i rapporti umani: il massimo cui possono aspirare è
“una fragile armonia”.
1 commento:
27Non sono d'accordo con te. L'unica cosa che salvo di questo film, sono le inquadrature equilibrate e precise nella ricerca del far combaciare momento ed emozione con un equilibrio senza spinte drammaturgiche che potrebbero essere del tutto personali (e questo - ma solo questo - mi fa accogliere la tua tesi sul "tempo"). Spero avremo l'occasione di parlarne.Ciao.
Giovanna
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