Il
cinema non è di sicuro l'arte della verità. Ma è una delle bugie
più spudorate della sua storia quella che appare a fine credits
de L'arbitro
di Paolo Zucca: la consueta dichiarazione che ogni riferimento a
fatti e persone reali è puramente casuale. Menzogna gargantuesca!
Perché uno dei personaggi, il corrotto e sadico arbitro Mureno,
allude a gran voce a quel famigerato Byron Moreno che arbitrò in
modo, diciamo, poco corretto Italia-Corea nei mondiali del 2002. E la
FEFA, poi? Ricorda qualcosa?
Tuttavia
quello dell'arbitro Mureno, interpretato con gusto da Francesco
Pannofino, è solo un episodio: l'arbitro eponimo non è Pannofino ma
Stefano Accorsi. Il film narra la lotta fra due squadre in uno
scassatissimo torneo di calcio di terza categoria nella Sardegna
profonda. Il Montecrastu è la più forte e arrogante, il Papabarile
è da sempre l'ultima in classifica, disprezzata da tutti. A capo del
Montecrastu c'è un possidente protervo; la scena in cui entra a
cavallo nel bar dei nemici echeggia parodisticamente il western
italiano. Ma dall'emigrazione è tornato Matzutzi, “il figlio di
Sventura”, che per la povertà dovette emigrare in Argentina; e
Matzutzi (Jacopo Cullin) si rivela essere un supercampione. Le
prospettive del Papabarile cominciano a diventare inaspettatamente
rosee, con gran rabbia degli avversari.
L'arbitro
è costellato di facce memorabili. Perché in questa commedia, dalla
fotografia in b/n elegante fino all'estetizzante di Patrizio Patrizi,
c'è la scuola di quel naturalismo caricaturale, nutrito di una
fotografia raffinata dalla perfetta messa a fuoco, che è nato da
Cinico TV di Ciprì e
Maresco. Il film è
costituito di storie collegate (più un contraltare nel mondo ricco
del calcio internazionale): l'ascesa perigliosa della squadretta; la
storia d'amore di Matzutzi col suo amore infantile ritrovato,
l'incazzosa Miranda (Geppi Cucciari), figlia di Prospero,
l'allenatore cieco del Papabarile (Benito Urgu); il sub-plot su una
faida a due, poiché un personaggio ammazza l'agnello di suo cugino
per mangiarselo e questo furto (l'abigeato è una cosa seria in
Sardegna!) innesta una serie di vendette reciproche. A questo
proposito c'è una bellissima inquadratura ricorrente in cui, sullo
sfondo di un paesaggio montano, in secchi dialoghi con faccia
impassibile il vecchio saggio del paese viene interrogato su chi
abbia fatto questo e quello, e il “dire non dicendo” del vecchio
è delizioso.
Al
capo opposto del mondo del pallone, l'ambizioso ma onesto arbitro
Cruciani (Stefano Accorsi, capace e vanitoso) desidera coronare la
sua carriera arbitrando una finale internazionale, ma incappa nelle
pastette della FEFA (da segnalare l'apparizione di Marco Messeri come
dirigente maneggione) e si ritrova sputtanato e retrocesso dalle
stelle alle stalle, per cui finisce ad arbitrare... ecco, avete
indovinato.
Paolo Zucca, al suo debutto nel lungometraggio, possiede un
senso autentico del ritmo e della sorpresa (grande l'apparizione in
strada, dopo la citata scena del bar, dei tre scherani a cavallo in
posizione acrobatica che galoppano urlando “Papabarile merda!”).
Il film si sviluppa in una serie di scene comiche calibrate e
convincenti. Vorrei ricordare il funerale dove tutti discutono
sussurrando della classifica di calcio (una pagina degna di
Monicelli); la scenetta dei fiori tra Matzutzi e Miranda; la superba
pedalata in bici del losco vice allenatore del Montecratu maledicendo
fantasiosamente i nemici (e, con tempi perfetti, gli arriva subito la
risposta); la folle partita finale, con la vecchia che fa
un'invasione di campo da sola per prendere a ombrellate Accorsi, e
con galline e un asino in campo alla fine.
Molto
divertente, L'arbitro
è una strana commedia, un Hellzappoppin'
in salsa sarda, dove ci si aspetta di veder comparire tutto e il
contrario di tutto - dal calcio come balletto (forse con un uso
troppo ripetitivo della vecchia canzone Vivere)
al naturalismo sarcastico stile Ciprì e Maresco, dalla commedia
d'amore paesano alla farsa pura. Il regista Zucca ama le citazioni
segrete – c'è Shakespeare (a parte i nomi di Prospero e Miranda,
l'Amleto in un dialogo
del presidente FEFA con il disperato Accorsi) e c'è una specie di Ultima
Cena sospettosamente buñueliana (del resto, Don Luis è sicuramente
un riferimento “alto” del film). Beh, nel panorama poco invitante
della commedia italiana d'oggi, i film bisognerebbe farli proprio
così.
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