giovedì 19 settembre 2013

L'arbitro

Paolo Zucca

Il cinema non è di sicuro l'arte della verità. Ma è una delle bugie più spudorate della sua storia quella che appare a fine credits de L'arbitro di Paolo Zucca: la consueta dichiarazione che ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale. Menzogna gargantuesca! Perché uno dei personaggi, il corrotto e sadico arbitro Mureno, allude a gran voce a quel famigerato Byron Moreno che arbitrò in modo, diciamo, poco corretto Italia-Corea nei mondiali del 2002. E la FEFA, poi? Ricorda qualcosa?
Tuttavia quello dell'arbitro Mureno, interpretato con gusto da Francesco Pannofino, è solo un episodio: l'arbitro eponimo non è Pannofino ma Stefano Accorsi. Il film narra la lotta fra due squadre in uno scassatissimo torneo di calcio di terza categoria nella Sardegna profonda. Il Montecrastu è la più forte e arrogante, il Papabarile è da sempre l'ultima in classifica, disprezzata da tutti. A capo del Montecrastu c'è un possidente protervo; la scena in cui entra a cavallo nel bar dei nemici echeggia parodisticamente il western italiano. Ma dall'emigrazione è tornato Matzutzi, “il figlio di Sventura”, che per la povertà dovette emigrare in Argentina; e Matzutzi (Jacopo Cullin) si rivela essere un supercampione. Le prospettive del Papabarile cominciano a diventare inaspettatamente rosee, con gran rabbia degli avversari.
L'arbitro è costellato di facce memorabili. Perché in questa commedia, dalla fotografia in b/n elegante fino all'estetizzante di Patrizio Patrizi, c'è la scuola di quel naturalismo caricaturale, nutrito di una fotografia raffinata dalla perfetta messa a fuoco, che è nato da Cinico TV di Ciprì e Maresco. Il film è costituito di storie collegate (più un contraltare nel mondo ricco del calcio internazionale): l'ascesa perigliosa della squadretta; la storia d'amore di Matzutzi col suo amore infantile ritrovato, l'incazzosa Miranda (Geppi Cucciari), figlia di Prospero, l'allenatore cieco del Papabarile (Benito Urgu); il sub-plot su una faida a due, poiché un personaggio ammazza l'agnello di suo cugino per mangiarselo e questo furto (l'abigeato è una cosa seria in Sardegna!) innesta una serie di vendette reciproche. A questo proposito c'è una bellissima inquadratura ricorrente in cui, sullo sfondo di un paesaggio montano, in secchi dialoghi con faccia impassibile il vecchio saggio del paese viene interrogato su chi abbia fatto questo e quello, e il “dire non dicendo” del vecchio è delizioso.
Al capo opposto del mondo del pallone, l'ambizioso ma onesto arbitro Cruciani (Stefano Accorsi, capace e vanitoso) desidera coronare la sua carriera arbitrando una finale internazionale, ma incappa nelle pastette della FEFA (da segnalare l'apparizione di Marco Messeri come dirigente maneggione) e si ritrova sputtanato e retrocesso dalle stelle alle stalle, per cui finisce ad arbitrare... ecco, avete indovinato.
Paolo Zucca, al suo debutto nel lungometraggio, possiede un senso autentico del ritmo e della sorpresa (grande l'apparizione in strada, dopo la citata scena del bar, dei tre scherani a cavallo in posizione acrobatica che galoppano urlando “Papabarile merda!”). Il film si sviluppa in una serie di scene comiche calibrate e convincenti. Vorrei ricordare il funerale dove tutti discutono sussurrando della classifica di calcio (una pagina degna di Monicelli); la scenetta dei fiori tra Matzutzi e Miranda; la superba pedalata in bici del losco vice allenatore del Montecratu maledicendo fantasiosamente i nemici (e, con tempi perfetti, gli arriva subito la risposta); la folle partita finale, con la vecchia che fa un'invasione di campo da sola per prendere a ombrellate Accorsi, e con galline e un asino in campo alla fine.
Molto divertente, L'arbitro è una strana commedia, un Hellzappoppin' in salsa sarda, dove ci si aspetta di veder comparire tutto e il contrario di tutto - dal calcio come balletto (forse con un uso troppo ripetitivo della vecchia canzone Vivere) al naturalismo sarcastico stile Ciprì e Maresco, dalla commedia d'amore paesano alla farsa pura. Il regista Zucca ama le citazioni segrete – c'è Shakespeare (a parte i nomi di Prospero e Miranda, l'Amleto in un dialogo del presidente FEFA con il disperato Accorsi) e c'è una specie di Ultima Cena sospettosamente buñueliana (del resto, Don Luis è sicuramente un riferimento “alto” del film). Beh, nel panorama poco invitante della commedia italiana d'oggi, i film bisognerebbe farli proprio così.

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