Anthony Chen
Molti
film si basano su una metafora, ora
nascosta, ora
palesata. In The Breaking Ice di
Anthony Chen, sceneggiatore e regista di Singapore al suo primo film
girato in Cina, la metafora non è solo insistita,
ma è dichiarata fin dal titolo: il ghiaccio torna
e ritorna in
tutto il film, nei paesaggi,
naturalmente, nei sogni (il labirinto di ghiaccio), nella backstory
di Nana (ex pattinatrice su ghiaccio), nell’abitudine di Haofeng di
masticare cubetti di ghiaccio al bar… Similmente,
il ghiaccio
sta nell’animo
dei tre giovani protagonisti, i quali rappresentano in differenti
declinazioni una generazione congelata,
che si muove nella Cina contemporanea senza speranza.
È
proprio della gioventù lo smarrimento, ma
in questa generazione esso si
scontro con una condizione
oggettiva di
chiusura di prospettive. Questa
accomuna le tre
differenti vite (un cuoco
nel ristorantino
dei genitori, una ex
campionessa di pattinaggio diventata guida turistica, un colletto
bianco di Shanghai con
tendenze suicide. Sono
interpretati da tre
giovani attori
super-emergenti
nel panorama asiatico: Nana è
Zhou Dongyu (Better Days),
Haofeng è Liu Haoran (serie
Detective Chinatown), Xian è Qu Chuxiao (The Wandering Earth).
Nel
loro rapporto a tre il
riferimento a Jules e Jim è non solo palese ma, di nuovo,
esplicitamente dichiarato attraverso una citazione (naturalmente
nella loro corsa c’è anche The Dreamers col
suo debito a Godard). Ma
il film ricorda anche
un po’, in piccolo, il
“tempo lento” di
Antonioni. Anthony Chen
realizza un’opera alquanto
programmatica, consapevole,
ma indubbiamente
coraggiosa nel suo mettere in
primo piano senza
infingimenti il suo
progetto artistico.
The
Breaking Ice è un film compatto e molto
connesso, con temi
riaffacciantesi (non
solo quindi il
ghiaccio e il
gelo).
Per esempio il mondo dei
coreani in Cina,
che incrocia le vite dei protagonisti già
prima che il caso li faccia
incontrare, o la
figura
ritornante dell’uomo (pure
lui coreano)
ricercato dalla polizia. E
ancora: l’incontro con l’orso sulle montagne richiama la fiaba
della “Signora Orso”, che abbiamo prima vista
in un’illustrazione di un
libro sfogliato nella libreria e
poi sentita
raccontare in auto, mentre
viaggiano verso il monte
Changbai e il suo lago.
La
conclusione è, come tutto il
film, malinconica.
Incontrarsi, sfiorarsi, lasciare. Forse, in
personale, ricominciare un
progetto di vita nell’ultima immagine?
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