domenica 16 giugno 2024

Far East Film Festival 2024 - Corea

 

La Corea ha fatto la parte del leone nel lato “storico” del FEFF 2024, che è sempre più importante, con la stupenda retrospettiva 50/50: Celebrating 50 years of Korean film preservation (e non dimentichiamo il piccolo omaggio a Lee Myung-se). Ma ecco qualche nota su alcuni film coreani in concorso.

Citizen of a Kind

Citizen of a Kind della regista Park Young-ju è la drammatizzazione di una storia vera del 2016. Deok-hee è una donna qualunque di aspetto ordinario che, dopo aver perso la sua piccola lavanderia in un incendio, è stata vittima di voice phishing (truffa al telefono, spacciandosi per la sua banca) e ora è rovinata. La voce era del giovane Jae-min, costretto a farlo da un’organizzazione criminale (coreana) che lo tiene prigioniero a Qingdan in Cina con altri, picchiandoli e minacciando le loro famiglie. Come atto di ribellione, lui riesce a far pervenire alcuni messaggi alla disperata Deok-hee. Siccome la polizia coreana non la prende sul serio, la donna va di persona a Qingdan alla ricerca del covo della gang, insieme a tre amiche che forniscono il comic relief in una gustosa recitazione a quattro.
Da notare lo sguardo scettico sulla polizia, impacciatissima in contrapposizione all'organizzazione e alla gelida crudeltà del big boss della banda – circa la quale c’è una scena molto violenta nel finale. I poliziotti coreani sono benintenzionati e stupidi; quelli cinesi sono incapaci e arroganti. Sviluppandosi sulle linee narrative parallele dei due personaggi principali, il film elabora con successo una storia thriller su Jae-min (divenuto in pratica un undercover nel covo) ed una di tensione investigativa con tocchi di commedia su Deok-hee. La cosa importante è che riesce a “cucire” molto bene queste due linee che sulla carta rischiavano di andare ciascuna per la sua strada. L’interpretazione umanissima di Ra Mi-ran, come vittima attiva anziché piagnona, contribuisce a renderlo appassionante.

Exhuma

Com’è ovvio, nel campo dell’horror asiatico un film di ispirazione occidentale può essere comunque piacevole (penso ai bei film di vampiri para-hammeriani di Yamamoto Michio degli anni ‘70), ma quelli che attingono al patrimonio delle credenze e superstizioni orientali hanno in partenza qualcosa in più, perché ci introducono in un mondo meno conosciuto: una specie di esotismo dell’orrore.
Di solito questo tuffo nell’orrore locale si ha attraverso la figura del mostro (i film sulla krasue, sulla pontianak, sugli aswang e via dicendo), ma Exhuma di Jang Jae-hyun si situa un passo più in là, perché mette al centro i riti sciamanici, le superstizioni mortuarie e la stessa visione del mondo orientale, ovvero la teoria dei cinque elementi (proprio su di essa è costruito il finale).
Lee Hwa-rim (Kim Go-eun) è una sciamana ed è amica dell’esperto di feng shui relativo alle tombe Kim Sang-duk (il grande Choi Min-sik) - i cui interventi assieme all'operatore di pompe funebri Ko (Yoo Hai-jin) si muovono nella zona ambigua fra la serietà e l’imbroglio. I tre sono specialisti nel riesumare i morti per spostarli da sepolture “mal collocate”. Ma quando capitano davanti a un’antica tomba solitaria fra le montagne – la scena del rito celebrato dalla sciamana davanti alla tomba vale da sola il prezzo del biglietto – avranno modo di pentirsene.
Il regista Jang Jae-hyun è una vecchia conoscenza del FEFF (The Priests, Svaha). Mostra sempre una sorta di energia selvaggia che anche in Exhuma è molto efficace: non solo per la sua costruzione di fantasmi a scatole cinesi ma per la sensazione di minaccia che congegna e mantiene per tutto il film. L’uso del buio e la scelta di mostrare poco il mostro, fino alla deflagrazione del finale, rinforza quest'atmosfera.

AlienoidAlienoid: Return to the Future

Questa coppia di ambiziosi film di fantascienza, il cui successo è stato limitato dal Covid, è certamente spettacolare ed eccessiva al massimo, sebbene non trascini sempre “dentro” lo spettatore come vorrebbe. Il motivo non riguarda le singole sequenze, spesso eccellenti, ma l’impostazione narrativa: il film è basato sull’accumulo; sviluppi e personaggi sono introdotti in modo un po’ meccanico; è una sorta di “montaggio delle attrazioni” allo stato bruto che denuncia la scuola dei film Marvel (però c’è dentro anche qualcosa di Matrix) – sebbene con qualche tocco di crudeltà molto coreana.
Impossibile descrivere il plot perché c’è di tutto, dagli alieni buoni e cattivi, uno dei quali è un’automobile senziente, al disaster movie fantascientifico, ai viaggi nel tempo, che permettono di introdurre il fantasy in costume e le arti marziali. Un aspetto positivo è un certo sense of humour nelle figure di contorno (i due uomini-gatto e i due “Sorcerers of Twin Peaks”). Dopo che il primo film si interrompe su un cliffhanger, arriva il secondo episodio, o meglio la seconda metà, dove i fili della storia si ricongiungono ma sempre con quella proliferazione un po’ confusa e frenetica. Nuovamente il racconto si articola su due piani temporali, la Corea d’oggi e quella del 1380. Nella parte contemporanea ho trovato piuttosto insensato che in due film girati back to back il secondo film riprenda direttamente dal primo la sequenza dell’esplosione della capsula di atmosfera aliena (solo, aggiungendo in montaggio un personaggio femminile che osserva). Questo aspetto un po’ disappointing aumenta la sensazione di spaccatura già esistente fra la parte in costume, che è la migliore, e quella contemporanea. Fra l’altro, nella parte in costume c’è tutto l’elemento di humour del film. Le due tracce narrative si annodano alla fine, quando gli eroi del XIV secolo e quelli del XXI si uniscono assieme a combattere contro un mostro in CGI non nuovissimo come concezione. Ma almeno è una sequenza passabilmente indiavolata.

12.12: The Day

In Italia non fa pensare a niente ma per i coreani il 12 dicembre è una di quelle date dal significato immediato come per gli italiani il 25 aprile o l’8 settembre. Il 12 dicembre 1979, poco dopo il famoso assassinio del presidente-dittatore Park Chun-hee, il generale Chun organizzò un colpo di stato in Corea. A opporsi fu il generale Jang Tae-wan (nel film, Lee Tae-shin), comandante della guarnigione di Seoul, ma perse. Sia Chun sia il suo amico e complice generale Roh sarebbero poi diventati presidenti della Corea.
L’immondo Malaparte scrisse nel 1931 un libro intitolato Tecnica del colpo di stato. Potrebbe essere il titolo di questo film di Kim Sung-su, che illustra con buona capacità narrativa ed eccellente tecnica della suspense il prepararsi del golpe (eseguito da una specie di P2 militare diretta da Chun), il suo svolgimento, favorito dall’intrico burocratico e dalla vigliaccheria della classe dirigente politico-militare coreana, e infine il suo trionfo. Il golpe minuto per minuto: non è una storia piacevole da contemplare – come sempre nella vita, i cattivi non si pongono regole mentre i buoni sono troppo buoni – ma questa è la storia accaduta. Senza sorpresa, è stato un grosso successo in Corea.

The Roundup: Punishment

I criminali, più sono cattivi più si sentono liberi di far male; la polizia è imbrigliata da leggi e regolamenti, e in fondo è giusto così (guai se no). Sull’innegabile frustrazione creata da questo stato di cose, mettono un cerotto psicologico per lo spettatore i cazzotti potentissimi di Don Lee, alias Ma Dong-seok. Dopo il suo successo personale in Train to Busan, quest’attore coreano è diventato un’icona cinematografica, in particolare con la serie Roundup, di cui The Roundup: Punishment è il quarto capitolo. L’eroe è Ma Seok-do (la somiglianza del nome con quello coreano dell'attore lo rende un marchio di fabbrica), poliziotto burbero e corpulento, dai pugni come mazzate e di poca pazienza con criminali e teppisti – come vediamo qui quando ne incontra un gruppo che sta devastando un ristorantino.
Il regista esordiente Heo Myeong-haeng ha alle spalle una carriera come stunt coordinator: non per nulla le scene di combattimento sono molto buone. In questo film semplice e veloce, il detective Ma riduce in pezzetti un'organizzazione illegale di gioco d’azzardo online. Ma nella vita, e ancor meno nei film polizieschi coreani, non esistono trionfi facili, e anche il colossale Ma dovrà prenderne quasi quante ne dà.


Altri film

Il piacevole Ransomed di Kim Seong-hun è vagamente ispirato a una storia vera. Il rapimento di un diplomatico coreano in Libano (per la gang dei rapitori, il regista ha fatto incetta delle facce più patibolari che si possano trovare in tutto l’Oriente!) viene risolto dall’alleanza fra un “pesce piccolo” della diplomazia scaraventato in loco e un tassista coreano espatriato, amico-nemico-amico, nel più classico buddy movie. Se la plausibilità è traballante (non che importi molto!), l'atmosfera è garantita, e questo Libano odioso e ostile – come nella scena notturna nel villaggio – non ce lo dimenticheremo.

Smugglers è un piacevole film di avventure, ispirato alla tradizione di quelle che in giapponese si chiamano ama (pescatrici subacquee) incrociata con una storia di contrabbando e di tradimenti, con una resa dei conti a distanza di anni. Si lascia vedere, ma certo è un’opera minore nell’importante panorama del cinema di Ryoo Seung-wan. Da notare la presenza della grande Kim Hye-soo, indimenticata ospite a Udine anni fa.

Infine, lasciamo perdere l’inutile e irritante thriller The Guest di Yeon Je-gwang. La prima mezzora potrebbe essere imbottigliata e venduta come rimedio contro l’insonnia; il resto è il più banale (e mal girato) rifacimento di film visti mille volte che si possa immaginare. Non si può pretendere sempre l’originalità, ma almeno, copiare con dignità! Non ci crederete, ma c’è perfino l’ascia di Jack Nicholson che sfonda la porta.

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