Ilker Çatak
Se
basta un granello di sabbia per inceppare una macchina perfetta,
figuriamoci cosa può succedere in
una scuola, che è un
delicato esercizio di equilibrio instabile fra amministrazione
dell'istituzione, insegnamento della materie e psicologia applicata.
Ne fa fede
il film tedesco “La sala professori” di Ilker
Çatak,
ambientato in una scuola
dove si verificano vari furti. Una giovane professoressa (Leonie
Benesch) scopre
che mancano dei soldi dal
giubbotto lasciato in
sala professori. Ma ha lasciata aperta la sua webcam, e vi appare
la camicia (non
il volto)
di chi frugava.
Dal disegno della camicia individua la presunta colpevole e l’accusa,
prima in un confronto personale senza esito, poi con la preside. Da
ciò
procede una serie di avvenimenti concatenati che significano rovina.
Questa
storia di caduta su due
livelli
(l’insegnante in sala professori e l'insegnante in classe) è
la parte interessante del film: possiede una logicità e una sorta di
suspense del dolore, che brillano per contrasto in una drammaturgia
per altri aspetti grezza e meccanica. In effetti bisognerebbe esser
grati alla (possibile) ladra per averla messa in moto, giacché prima
di questo avvenimento
il film è puerile,
con un comportamento degli altri insegnanti e della preside
completamente irrazionale:
un bambino di origine turca viene
accusato
di furto su basi
debolissime. In
realtà la sceneggiatura vuol
solo dirci
che le autorità scolastiche sono
senza cuore, tant’è vero
che l’istituto proclama di
avere una politica di
“tolleranza zero”. Ma quando abbandona le
banalità “politically correct”, il film è convincente nel
descrivere l’odissea della professoressa – che
si rispecchia in quella del
figlio dell’accusata – e
riesce ad abbozzare alla
grossa uno sguardo sulla
scuola e sul
ruolo dell’insegnante.
(Messaggero
Veneto)
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