Ethan Coen
Nella
deliziosa commedia lesbica a base pseudo-thriller Drive-Away Dolls di
Ethan Coen, Jamie (volitiva, promiscua, sboccata, un po’
incosciente) è in viaggio verso Tallahassee, Florida, insieme alla
sua amica Marian (seria, severa, lettrice di Henry James, un po’
repressa), per andare a trovare la zia di quest’ultima. Il guaio è
che la Dodge che hanno noleggiato è stata data loro per equivoco:
era destinata a un trio di gangster che dovevano portare a
Tallahassee una valigetta nascosta nella macchina.
Quando
la coppia Coen si separa in due entità individuali, la bravura
registica rimane, ma sembra perdersi, almeno in parte, quella qualità
imperscrutabile che evidentemente nasceva dall’amalgama dei due. Se
dovessimo provare a separare le influenze dei fratelli Coen sul loro
cinema (agli inizi solo Joel firmava la regia, ma le opere sono
sempre state frutto di entrambi) alla luce dei due film che hanno
diretto dopo una speriamo provvisoria separazione, verrebbe voglia di
pensare che in Joel prevalga l’elemento tragico-filosofico (da solo
ha diretto un Macbeth in b/n, buono ma molto debitore a Welles) e in
Ethan l’elemento colorato e farsesco. Chiariamoci, sicuramente non
c’è una distinzione così netta, ma va detto che nel Macbeth di
Joel non c’è la “follia” coeniana mentre nell'adorabile
Drive-Away Dolls di Ethan la follia non raggiunge il livello di
nichilismo cosmico dei film della coppia.
Perché
dietro le opere dei Coen come coppia c’è la consapevolezza di un
immenso mondo buio, dominato nella forma tragica dalla violenza e dal
fallimento, nella forma comica dalla stupidità. Anche le commedie
più esilaranti, come Burn After Reading, hanno un sapore di fondo
drammatico e nichilista che rappresenta l’assoluta disperazione
razionale sull'universo e sull’uomo. Totus mundus stultus. In
questo buio brillano a volte alcune fiammelle, i “giusti”, come
la poliziotta incinta di Fargo – che non servono a sollevare la
situazione generale ma vi portano la loro piccola luce, equilibrando
moralmente la presenza del male. Forse, secondo la leggenda ebraica,
sono il motivo per cui Dio lascia esistere il mondo.
Drive-Away
Dolls non si può dire che rientri appieno in questo schema. Questo
non vuol dire che il film – scritto da Ethan con Trisha Cooke – non
sia notevole: è bello ed è estremamente divertente. Aperto da
titoli coloratissimi al neon, che sono puro Coen, cui segue una scena
di folle crudeltà esilarante (idem), è un road movie a lieto fine.
Mentre nel cinema dei Coen coppia il contenuto è l'assurdo e il
punto fermo è la morte, qui il contenuto è l’assurdo (il
MacGuffin è un dildo) ma il punto fermo è il matrimonio. Fra le due
donne, naturalmente.
Bisogna
segnalare per prima cosa la bellezza del dialogo: è una screwball
comedy dei giorni nostri, lesbica e sboccatissima. I dialoghi fra
Jamie e Marian, con la prima che cerca di far uscire la seconda dal suo
guscio, sono umoristicamente raddoppiati da quelli fra i gangster
Arliss e Flint (che voltano la stessa intenzione di didassi
esistenziale in chiave puramente comica). Divertenti i
riferimenti a Henry James, a Steinbeck, e non dimentichiamo l’accenno
alla steiniana Alice B. Toklas nel nome di una cagnetta. Il montaggio
(anche quello firmato da Ethan Coen e Trisha Cooke) è perfetto: non
solo nell’interpunzione (grande una tendina trasversale che sembra
“crollare” sull'immagine) ma anche e soprattutto per la logica e
l’umorismo dei raccordi.
Tutto
diventa una corsa in montaggio parallelo verso Tallahassee: le due
ragazze, i gangster, più la durissima e rancorosa poliziotta ex
fidanzata di Jamie, che vuole sbolognarle la cagnetta. Trattandosi di
un road movie, è inevitabile che il racconto si strutturi in
episodi, o tappe; ma per evitare che diventi una serie di vignette la
sceneggiatura “recupera” i nuclei passati inserendo dei richiami
(la ex poliziotta passa all'agenzia dove giace il gerente in precedenza pestato dai
gangster, i due gangster interrogano la squadra di calcio femminile
con cui le nostre hanno fatto un’orgia, e si fanno imbrogliare).
Il
film contiene sequenze flashback/oniriche su due diversi livelli
narrativi. Il primo (in realtà abbastanza forzato e inutile) è
relativo alla giovinezza drogata del villain in capo, come sapremo
alla fine. Il secondo invece è indovinato: è una rievocazione
dell’adolescenza di Marian coi suoi trucchi per spiare la vicina
nuda al bordo della piscina di là della staccionata. Per inciso,
l’immagine della bella donna nuda che, chiamata in casa dal marito
panzone, si infila gli stivali ha una misteriosa carica di erotismo
fetish, che giustifica l’espressione della giovane Marian in
primissimo piano.
Il
film, naturalmente, deve moltissimo alle interpretazioni strepitose
di Margaret Qualley (Jamie), con la sua sfrenata loquela texana, e
Geraldine Viswanathan (Marian), con il suo gioco di occhi. Ma anche
di tutti i personaggio secondari, nessuno escluso, anche se per
ragioni di spazio vorrei menzionare solo Joey Slotnick (il pedante
gangster Arliss). L’eccellente uso degli attori è una delle
caratteristiche dello “stile Coen” – e questo né Joel né
Ethan l’hanno perso nella separazione.
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