domenica 21 gennaio 2024

Il maestro giardiniere

Paul Schrader

Torna Paul Schrader! La stella del regista di Hardcore, American Gigolo, Il bacio della pantera, nonché sceneggiatore (ai limiti del coautore) di quattro film di Martin Scorsese, si è – a torto – alquanto offuscata nell’ultimo ventennio, anche per la sua coerenza e la sua irriducibilità alle tendenze. Il suo ultimo film, Il maestro giardiniere, è passato alla Mostra di Venezia nel 2022 ma solo quest’inverno è uscito, un po’ alla spicciolata, sugli schermi italiani.
Se nel precedente Il collezionista di carte si coglieva una difficoltà a unificare le varie linee, pur se l’insieme produceva comunque un film ammirevole, Il maestro giardiniere richiama, nella sua tessitura poetica e coerente, lo Schrader migliore. Paul Schrader ci parla sempre di solitudine e redenzione, o crocifissione; i suoi personaggi devono traversare il deserto del passato e della colpa. È un percorso bressoniano, e ricordiamo l’amore del regista per Pickpocket, citato esplicitamente nel finale di American Gigolo. Narvel Roth, il maestro giardiniere eponimo (Joel Edgerton), è un uomo solitario, segretamente segnato (non solo nell'anima: porta il suo passato tatuato sulla schiena), che cura con competenza il grande giardino di proprietà di una milionaria (Sigourney Weaver) che è anche la sua amante. L’arrivo di Maya, una giovane apprendista con problemi di droga alle spalle (Quintessa Swindell, provoca una crisi tanto fra le persone quanto in relazione alla sopravvivenza stessa del giardino.
L'artificio del diario consente un’entrata non invasiva della voce narrante; ecco l’elemento di consapevolezza di molti personaggi schraderiani: è produttivo riflettersi in uno scritto. Nel rapporto di Narvel Roth con Maya – dapprima didattico e amicale, poi amoroso – c’è una strana connessione di paternità e sessualità: un tema, quello del padre, centrale in Schrader. Giocato sul peso della memoria, Il maestro giardiniere è un film psicologico ma teso, non privo di un lato di suspense e violenza (la “visita” di Roth agli spacciatori riporta un concetto di moralità western: oltre che Bresson, Schrader ama John Ford). Detto in margine, non manca l’interesse di Schrader per il cinema – che, sul piano biografico, scoprì tardissimo – e i meccanismi della riproduzione (pensiamo ad Auto Focus). C’è anche, in una corsa in auto nella notte, un’entrata improvvisa di CGI nel film: lungo i bordi della strada, fiori e piante sbocciano e fioriscono; poi tutta la strada diventa un prato.
Schrader ci introduce alla filosofia dei giardini: temperare il caos con l'armonia ma anche introdurre un po’ di disordine dove occorre, temperare gli opposti. “I giardinieri estirpano le erbacce”: questa semplice nozione è il concetto base: un faticoso miglioramento sia nello spazio esterno sia nello spazio interiore, in un giardino che è insieme molto concreto e molto metaforico. Anzi, dall’estirpare la malerba alla lotta agli afidi, dal ruolo del concime alla fioritura delle piante nello stesso momento (alcune vanno d'accordo, altre si sopportano a malapena), ricorda la poetica barocca il modo in cui tutta l’attività del giardiniere e e tutta la vita del giardino trovano una puntuale corrispondenza a livello di metafora (plurimetaforico, visto che in un’intervista Schrader ha menzionato il Guardino dell'Eden). Mette conto, qui, ricordare la grande costruzione architettonica del capolavoro Adam Resurrected, dove ogni passo, ogni figura, ogni movimento attiva il riconoscimento di correspondances. Schrader ama la metafora. La sua educazione calvinista, e quindi biblica, lo ha formato; il suo cinema assume sempre la forma della parabola. Il maestro 
giardiniere è insieme un manuale di giardinaggio e un manuale dell’anima.

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