Paul Schrader
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Paul Schrader! La stella del regista di Hardcore, American Gigolo, Il
bacio della pantera, nonché sceneggiatore (ai limiti del coautore)
di quattro film di Martin Scorsese, si è – a torto – alquanto
offuscata nell’ultimo ventennio, anche per la sua coerenza e la
sua irriducibilità alle tendenze. Il suo ultimo film, Il maestro
giardiniere, è passato alla Mostra di Venezia nel 2022 ma solo
quest’inverno è uscito, un po’ alla spicciolata, sugli schermi
italiani.
Se
nel precedente Il collezionista di carte si coglieva una difficoltà
a unificare le varie linee, pur se l’insieme produceva comunque un
film ammirevole, Il maestro giardiniere richiama, nella sua tessitura
poetica e coerente, lo Schrader migliore. Paul Schrader ci parla
sempre di solitudine e redenzione, o crocifissione; i suoi
personaggi devono traversare il deserto del passato e della colpa. È
un percorso bressoniano, e ricordiamo l’amore del regista per
Pickpocket, citato esplicitamente nel finale di American Gigolo.
Narvel Roth, il maestro giardiniere eponimo (Joel Edgerton), è un
uomo solitario, segretamente segnato (non solo nell'anima: porta il
suo passato tatuato sulla schiena), che cura con competenza il grande
giardino di proprietà di una milionaria (Sigourney Weaver) che è
anche la sua amante. L’arrivo di Maya, una giovane apprendista con
problemi di droga alle spalle (Quintessa Swindell, provoca una crisi
tanto fra le persone quanto in relazione alla sopravvivenza stessa
del giardino.
L'artificio
del diario consente un’entrata non invasiva della voce narrante;
ecco l’elemento di consapevolezza di molti personaggi schraderiani:
è produttivo riflettersi in uno scritto. Nel rapporto di Narvel Roth
con Maya – dapprima didattico e amicale, poi amoroso – c’è una
strana connessione di paternità e sessualità: un tema, quello del
padre, centrale in Schrader. Giocato sul peso della memoria, Il
maestro giardiniere è un film psicologico ma teso, non privo di un
lato di suspense e violenza (la “visita” di Roth agli spacciatori
riporta un concetto di moralità western: oltre che Bresson, Schrader
ama John Ford). Detto in margine, non manca l’interesse di Schrader
per il cinema – che, sul piano biografico, scoprì tardissimo – e
i meccanismi della riproduzione (pensiamo ad Auto Focus). C’è
anche, in una corsa in auto nella notte, un’entrata improvvisa di
CGI nel film: lungo i bordi della strada, fiori e piante sbocciano e
fioriscono; poi tutta la strada diventa un prato.
Schrader
ci introduce alla filosofia dei giardini: temperare il caos con
l'armonia ma anche introdurre un po’ di disordine dove occorre,
temperare gli opposti. “I giardinieri estirpano le erbacce”:
questa semplice nozione è il concetto base: un faticoso
miglioramento sia nello spazio esterno sia nello spazio interiore,
in un giardino che è insieme molto concreto e molto metaforico.
Anzi, dall’estirpare la malerba alla lotta agli afidi, dal ruolo
del concime alla fioritura delle piante nello stesso momento (alcune
vanno d'accordo, altre si sopportano a malapena), ricorda la poetica
barocca il modo in cui tutta l’attività del giardiniere e e tutta
la vita del giardino trovano una puntuale corrispondenza a livello di
metafora (plurimetaforico, visto che in un’intervista Schrader ha
menzionato il Guardino dell'Eden). Mette conto, qui, ricordare la
grande costruzione architettonica del capolavoro Adam Resurrected,
dove ogni passo, ogni figura, ogni movimento attiva il riconoscimento
di correspondances. Schrader ama la metafora. La sua educazione
calvinista, e quindi biblica, lo ha formato; il suo cinema assume
sempre la forma della parabola. Il maestro giardiniere
è insieme un manuale di giardinaggio e un manuale dell’anima.
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