Ken Loach
La
K del pub “The Old Oak”, nel film di Ken Loach dallo stesso
titolo, è tutta storta, sta per cadere. È, si capisce, la metafora
di un crollo in atto; ma crollo di che cosa? Non dell'Inghilterra
imperiale, che a Loach non è mai piaciuta, ma di un’Inghilterra
operaia, organizzata, grintosa, finita con la chiusura delle miniere.
Quella dei grandi romanzi populisti (prima che questa parola
diventasse una clava che i politici usano per insultarsi l’un
l’altro) come E le stelle stanno a guardare di Cronin, sui minatori
dell’Inghilterra del nord, o Com’era verde la mia vallata di
Llewellyn, su quelli del Galles; o di molto vecchio cinema
britannico, produzioni Ealing ma non solo, dal quale discende Loach.
E’
nell’Inghilterra del nord che è ambientato The Old Oak. Un gruppo
di rifugiati siriani si stabilisce in un paese in declino e viene
fatto segno ad attacchi razzisti: una vera guerra fra poveri che
coinvolge anche l’umanissimo proprietario del pub (l’ottimo Dave
Turner). Con la fine delle miniere, dice Loach, non si è perduto
solo il tessuto sociale ma anche lo spirito comunitario ad esso
sotteso.
“E
se non piangi, di che pianger suoli?” The Old Oak è schematico ma
commovente; alla potente scena finale – in cui quasi tutto il paese
mostra un’imprevista solidarietà ai siriani dopo la notizia di una
morte – bisogna essere insensibili per non sentirsi le lacrime agli
occhi. Va detto che il film sarebbe stato egualmente commovente se il
suo aspetto didascalico non fosse così insistito, in particolare nei
dialoghi. Invero Ken Loach non è più quello di Riff Raff, che era
altrettanto politico senza essere predicatorio. Tuttavia,
l’eccellente uso dei visi e la sobrietà nel racconto dei fatti
(come la morte del cane) bilanciano la didattica con un senso di
autenticità.
(Messaggero
Veneto)
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