lunedì 11 dicembre 2023

Il male non esiste

Hamaguchi Ryusuke

Con Il male non esiste Hamaguchi Ryusuke si trasferisce dalla città al mondo della natura. Siamo così abituati a pensarlo come un autore urbano che restiamo un po’ colpiti di fronte a questo spostamento, dimenticando non solo che l’ultima parte di Drive My Car è un viaggio nelle campagne innevate dell’Hokkaido ma che un richiamo alla natura ricorre implicito in Happy Hour e perfino ne Il gioco del destino e della fantasia.
Già con la carrellata iniziale sotto gli alberi inquadrati dal basso il film impone imperiosamente allo spettatore il proprio tempo: il tempo reale, ossia, al cinema, il tempo lento. È il tempo dilatato della scena all’inizio in cui vediamo il protagonista Takumi tagliare e poi spaccare la legna; ed è, inutile osservarlo, il ritmo lento della natura. E la concretezza viva e tangibile della natura (l’acqua pura di sorgente, il sapore forte delle foglie di wasabi selvatico) si oppone nel film all’inautenticità cittadina (discutere attraverso i monitor, frequentare app di incontri matrimoniali). Ma non si pensi a una natura retorica, disneyana. È potente e terribile.
Nel film, una compagnia che si occupa di musica e spettacolo, ma che ora mira ai fondi governativi post-pandemia, progetta di costruire un glamping (glamour + camping: un camping di lusso con tutte le comodità) nelle vicinanze di un villaggio immerso tra gli alberi. Le tensioni con gli abitanti emergono verbalmente in un’appassionata ma composta assemblea (ispirata, dice Hamaguchi in un’intervista, alla registrazione audio di una riunione realmente accaduta) dove gli abitanti incontrano due rappresentanti della compagnia. In primo luogo, la fossa settica inquinerà la falda da cui sgorga l'acqua di sorgente di cui fa uso il villaggio; e l’acqua è un elemento centrale del film. Andarla a prendere con un mestolo di legno nel ruscello tra la neve, per portarla in taniche al ristorante che la userà per gli udon, ha la calma composta di un rito.
La consueta sorprendente precisione psicologica di Hamaguchi delinea la figura dei due impiegati di secondo piano mandati allo sbaraglio all’assemblea solo per poter dire al governo che si è parlato con i locali. Una lunga conversazione in auto (come non ricordare Drive My Car) approfondisce la loro realtà intima. Se dapprima la donna, Mayuzumi, sembrava la più conscia e compassionevole dei due, poi vediamo che è l’uomo, Takahashi, a tenersi tutto dentro; e questo esplode in una decisione improvvisa di cambiar vita (su cui Hamaguchi è delicatamente ironico) mentre lei mostra una sorta di accettazione rassegnata, che emerge anche dal suo discorso sul fatto che si aspettava, e quindi non è stupita, di lavorare in un ambiente pieno di scumbags (questo nei sottotitoli inglesi; quelli italiani, con leggera enfatizzazione, usano il termine “stronzi”). Ma al centro del film sta Takumi, il tuttofare del paese, un uomo silenzioso e introverso, che sembra essere vedovo; dell'assenza della moglie, presente in fotografie recenti, non viene data alcuna spiegazione: Il male non esiste è un film di ellissi e di mistero (cioè al cento per cento Hamaguchi), di brusche deviazioni, imprevisti, accenni lasciati aperti, come la misteriosa ferita sulla mano di Mayuzumi.
Takumi vive con la figlia di otto anni Hana, che ogni tanto si dimentica di andare a prendere a scuola, e che istruisce sul mondo della natura. In una carrellata laterale stupenda vediamo Takumi che cammina nel bosco, poi la mdp lo abbandona andando avanti fra gli alberi, poi lo “ritrova” che porta la figlia sulla schiena, insegnandole a riconoscere gli alberi, spiegandole le tracce dei cervi, mostrandole la pozza nel laghetto ghiacciato dove vanno a bere. Rispetto alla natura il film ha un atteggiamento quasi di sospensione estatica, dove la centralità della musica di Ishibashi Eiko è totale. Il male non esiste in effetti è lo sviluppo di un progetto in cui Hamaguchi ha illustrato visivamente la musica della cantante e compositrice.
Anche i primi coloni, i nonni dei presenti all’assemblea, ci viene ricordato, hanno danneggiato l’ambiente naturale: è nell'ordine delle cose. Ora il nuovo equilibrio fra uomo e natura che si è formato mostra incrinature anche prima che arrivi la speculazione del glamping: già all’inizio risuonano infaustamente in distanza gli spari della caccia al cervo. Hamaguchi è un autore che intesse i suoi film di ripetizioni, richiami, rime: due volte risuonano gli spari lontani, due volte compare la carcassa del cerbiatto ferito dai cacciatori che è andato a morire nel folto. Il film è un lento costruirsi drammatico, di violenza sottesa, nel quale criptici “avvertimenti” risuonano come tocchi di campana; alcuni li comprendiamo retrospettivamente, come il dialogo casuale in auto sul comportamento dei cervi feriti, altri rimangono chiusi nella loro autonomia poetica, come il dettaglio di una spina con una goccia di sangue. Tutto converge verso un potente ed enigmatico finale, dove con una virata di folle audacia Hamaguchi rovescia (a 15 minuti dalla fine) l'impianto del racconto. Certo, una piccola sfida interpretativa allo spettatore la lanciavano anche il finale di Drive My Car e quello del primo episodio de Il gioco del destino e della fantasia. Ma non in modo rivoluzionario come nel presente film; e però di questo finale ovviamente sarebbe un dispetto parlare.
Se non limitandosi a dire che il punto nodale del film, nucleo per l’interpretazione del finale, viene enunciato durante l’assemblea del villaggio: “Il problema è l’equilibrio”. Ricordiamo che l’equilibrio e l’armonia sono un caposaldo della cultura orientale (come è molto sentito nella cultura giapponese, ma anche individualmente dal regista-sceneggiatore, il tema dell'assunzione di responsabilità, adombrato dal discorso del sindaco nella stessa assemblea). La rottura dell’equilibrio fra uomo e natura si raddoppia entro il mondo degli uomini come rottura dell’equilibrio fra gli esseri umani. Facciamo tutti parte della natura – anche se lo dimentichiamo.

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