lunedì 25 dicembre 2023

Foglie al vento

Aki Kaurismäki

Il cane che compare in Foglie al vento, sentiamo alla fine, si chiama Chaplin; è giusto, perché il film di Aki Kaurismäki ha la più chapliniana delle conclusioni. Con gioia ritroviamo l’eroica sobrietà stilistica di Kaurismäki, la sua umanità, il suo bizzarro umorismo, reso più risonante dalle espressioni deadpan e dalla pronuncia distaccata. E naturalmente, la recitazione antipsicologica, ai limiti dell’impassibilità, che chiede agli attori.
I protagonisti Ansa e Holappa (Alma Pyösti e Jussi Vatanen) sono una replica contemporanea dell’indimenticabile coppia kaurismäkiana del passato, Kati Outinen e Matti Pellonpää: due proletari finlandesi, sfruttati e vilipesi, senza speranza di riscatto sociale, che si innamorano in mezzo al gelo esistenziale di una Finlandia povera che Kaurismäki descrive come una specie di inferno temperato (una breve nota ironica è dedicata al libro di Marko Tapio Arctic Hysteria) dove una disperazione universale ha come agghiacciato le anime – che trovano rifugio nell’alcool e nel karaoke, ascoltato con volti impassibili. Eppure, in questo deserto spuntano inaspettate rivelazioni di gentilezza d'animo (il collega pieno di bambini e cani). Intanto la radio continua a raccontare ossessivamente dell’aggressione russa all’Ucraina e dei crimini di guerra connessi.
Ma nel cinema di Kaurismäki l’amore è sempre un’ancora di salvezza. Certo, bisogna raggiungerlo. Tutto cospira contro Ansa e Holappa: non solo la macchina sociale, non solo (per lui) il richiamo della bottiglia, ma anche il caso: dal foglietto col numero di telefono che va perduto al tram che lo investe. Eppure, a volte il caso può anche essere favorevole: non dimentichiamolo, in Kaurismäki i miracoli possono accadere (come il cliente affamato – un cameo di Peter von Bagh – al ristorante aperto dai protagonisti alla fine di Nuvole in viaggio
). La pagina della lettura per svegliare Holappa dal coma è superba, di un umorismo surreale e commovente al tempo stesso. Chaplin non c’è solo nell'ultima inquadratura.
Il racconto di Foglie al vento si rispecchia nel cinema intero. Si vede una dichiarazione esplicita nell'"Immagino siano sempre stati zombie" del film di Jim Jarmusch I morti non muoiono
che la coppia va a vedere. Di più, i manifesti del cinema Ritz, che ritorna come luogo di incontro e di ricerca, sono un mosaico di citazioni affettive di Kaurismäki e di intenti metanarrativi. Non per caso i due protagonisti, uscendo dal cinema, si fermano a parlare davanti al poster del crepuscolare Breve incontro di David Lean; e c’è L’Argent di Robert Bresson, adeguato per una Finlandia dove sembra valga solo il denaro; si notano l’adorato Godard e l’amaro John Huston di Fat City; spuntano anche, a riprova dell'amore di Kaurismäki per il cinema di serie B, il dinosauro gigante (The Valley of Gwangi) e il volto mefistofelico di Fu Manchu (The Face of Fu Manchu di Don Sharp).
Ma soprattutto, le canzoni. Foglie al vento non è un musical, i protagonisti non cantano o ballano, ma in qualche misura lo è: perché è letteralmente costellato di vecchie, belle canzoni popolari (e sì, c’è anche Les feuilles mortes, tradotto in finlandese) che rispecchiano perfettamente pensieri e sentimenti dei protagonisti: esattamente come in On connait la chanson (Parole, parole, parole…) di Alain Resnais, le canzoni popolari come inconscio collettivo.

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