Aki Kaurismäki
Il
cane che compare in Foglie al vento, sentiamo alla fine, si chiama
Chaplin; è giusto, perché il film di Aki Kaurismäki ha la più
chapliniana delle conclusioni. Con gioia ritroviamo l’eroica
sobrietà stilistica di Kaurismäki, la sua umanità, il suo bizzarro
umorismo, reso più risonante dalle espressioni deadpan e dalla
pronuncia distaccata. E naturalmente, la recitazione antipsicologica,
ai limiti dell’impassibilità, che chiede agli attori.
I
protagonisti Ansa e Holappa (Alma
Pyösti
e
Jussi Vatanen)
sono una replica
contemporanea dell’indimenticabile coppia kaurismäkiana del
passato, Kati Outinen e Matti Pellonpää: due proletari finlandesi,
sfruttati e vilipesi, senza speranza di riscatto sociale, che si
innamorano in mezzo al gelo esistenziale di una Finlandia povera che Kaurismäki
descrive come una specie di inferno temperato (una breve nota ironica è dedicata al libro di Marko Tapio Arctic Hysteria) dove una disperazione
universale ha come agghiacciato le anime – che trovano rifugio
nell’alcool e nel karaoke, ascoltato con volti impassibili. Eppure, in questo deserto spuntano inaspettate rivelazioni di gentilezza d'animo (il collega pieno di bambini e
cani). Intanto la radio continua a raccontare ossessivamente
dell’aggressione russa all’Ucraina e dei crimini di guerra
connessi.
Ma
nel cinema di Kaurismäki l’amore è sempre un’ancora di
salvezza. Certo, bisogna raggiungerlo. Tutto cospira contro Ansa e
Holappa: non solo la macchina sociale, non solo (per lui) il richiamo
della bottiglia, ma anche il caso: dal foglietto col numero di
telefono che va perduto al tram che lo investe. Eppure, a volte il
caso può anche essere favorevole: non dimentichiamolo, in Kaurismäki
i miracoli possono accadere (come il cliente affamato – un cameo di
Peter von Bagh – al ristorante aperto dai protagonisti alla fine di
Nuvole in viaggio). La pagina della lettura per svegliare Holappa dal
coma è superba, di un umorismo surreale e commovente al tempo
stesso. Chaplin non c’è solo nell'ultima inquadratura.
Il
racconto di Foglie al vento si rispecchia nel cinema intero. Si vede
una dichiarazione esplicita nell'"Immagino siano sempre stati zombie" del film di Jim Jarmusch I morti non muoiono che la coppia va a vedere. Di più, i manifesti del cinema
Ritz, che ritorna come luogo di incontro e di ricerca, sono un
mosaico di citazioni affettive di Kaurismäki e di intenti
metanarrativi. Non per caso i due protagonisti, uscendo dal cinema,
si fermano a parlare davanti al poster del crepuscolare Breve
incontro di David Lean; e c’è L’Argent di Robert Bresson,
adeguato per una Finlandia dove sembra valga solo il denaro; si notano l’adorato Godard e l’amaro John Huston di Fat
City; spuntano anche, a riprova dell'amore di Kaurismäki per il
cinema di serie B, il dinosauro gigante (The Valley of Gwangi) e il
volto mefistofelico di Fu Manchu (The Face of Fu Manchu di Don
Sharp).
Ma
soprattutto, le canzoni. Foglie al vento non è un musical,
i protagonisti non cantano o ballano, ma in qualche misura lo è:
perché è letteralmente costellato di vecchie, belle canzoni
popolari (e sì, c’è anche Les feuilles mortes, tradotto in
finlandese) che rispecchiano perfettamente pensieri e sentimenti dei
protagonisti: esattamente come in On connait la chanson (Parole,
parole, parole…) di Alain Resnais, le canzoni popolari come
inconscio collettivo.
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