Kenneth Branagh
Così
mediocre era Assassinio sul Nilo, il precedente Poirot di Kenneth
Branagh, che vien naturale trovare migliore il nuovo episodio.
Peraltro è
vero: Assassinio a Venezia è
un po’ meccanico ma piacevole, atmosferico
e abbastanza
divertente.
Svolgendosi
in un palazzo di Venezia che tutti
ritengono infestato da
spiriti vendicativi,
gioca
amabilmente con l’horror
delle case infestate: un caposaldo, se non del grande schermo, delle
serie televisive. Ottimo
il lavoro sulla scenografia (se no, che horror sarebbe?).
Senza rivelare nulla dello svolgimento, diremo
solo che il film si mantiene
sul filo di una soddisfacente ambiguità con
una soluzione ingegnosa che
salva la capra del realismo
giallo e i cavoli del fantastico
spettrale. La regia enfatica
di Branagh, che ricorda gli
horror degli anni Venti e Trenta,
riempie il film di grandangoli e di inquadrature sghembe, e cupi
primissimi piani carichi
di angoscia ricorrono nel montaggio effettistico di Lucy Donaldson.
Il
film è tratto (in
realtà solo
nominalmente)
dal romanzo di Agatha
Christie Poirot e la strage
degli innocenti, in originale Halloween Party; anche
se il
film s’intitola
A Haunting in Venice,
probabilmente viene di lì
il pesante anacronismo
di
una festa di Halloween per
gli
orfani, sotto
la sorveglianza delle suore poi!,
nella Venezia del 1947.
Fortunatamente
Kenneth Branagh qui rinuncia al revisionismo sfacciato con cui ha
trattato Poirot nel precedente episodio. Il Poirot di Assassinio a
Venezia è stanco e amareggiato
ma ciò non va contro il personaggio – al
quale manca
anche quella vigoria
fisica che caratterizzava Assassinio sull’Orient
Express. Branagh
incarna un Poirot depresso per l’orrore del mondo e, cosa
interessante (di cui lui viene accusato nel dialogo), per quella
bizzarra caratteristica dei detective dilettanti di essere araldi
della morte: dovunque vadano, avviene un delitto.
Fra
gli altri interpreti, di livello vario, rivediamo con piacere
Michelle Yeoh in veste di medium (visivamente efficace la sua prima
apparizione in maschera). Il genietto occhialuto che legge Poe è
Jude Hill, il bambino di Belfast.
Un po’ maligno ma inevitabile osservare che l’unico attore il cui
nome precede Branagh sui manifesti, Kyle Allen, interpreta senza
verve un personaggio senza nerbo.
E
se l’exploit conclusivo di
Poirot ha un sapore
più di intuizione che di deduzione, che importa? Dame Agatha
Christie, che era una
deliziosa vecchietta
imbrogliona, sulla sua nuvoletta sarà l’ultima a dolersene.
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