martedì 2 maggio 2023

Full River Red

Zhang Yimou

Cina del XII secolo: prima dell’incontro tra il delegato imperiale e l’ambasciatore dei ribelli Jin quest'ultimo viene ucciso e la lettera che portava con sé viene rubata. Un capitano e un caporale, imparentati, sono incaricati di ritrovarla entro due ore. Se non ci riusciranno verranno giustiziati, ma stante l’importanza della lettera segreta è prevedibile che se la ritrovano saranno egualmente uccisi; egualmente, tutti coloro che compaiono nel film in un modo o nell’altro rischiano la vita.
Full River Red di Zhang Yimou si apre con una corsa: in una fredda luce notturna, soldati in armatura corrono fra due mura che formano un corridoio a cielo aperto, inquadrati “a piombo” e seguiti in carrellata orizzontale dall’alto, con un’interminabile progressione artificiale interrotta regolarmente dalla comparsa di gallerie coperte. E lo spettatore ingenuamente pensa che Zhang Yimou si sia definitivamente arreso alla CGI; sembra un videogioco. Poi si va avanti nel film, e ci si accorge che quello che sembrava un limite è un punto di forza, quella che sembrava una debolezza tecnica è una scelta stilistica. Zhang ha sempre usato nei suoi wuxia e period pieces l’architettura in funzione simbolico-espressiva. Le corse incessanti lungo i “corridoi” a cielo aperto che sono le mura della fortezza entro la quale si svolge (quasi in tempo reale) il film sono corse di topi in un labirinto; servono a rendere l'elemento di insicurezza, incomprensibilità e costrizione che pesa sui personaggi. C’è un attivismo frenetico nel film, di cui sono simbolo le corse avanti e indietro, sulle quali si sovrimprime con la potenza di un tuono la geniale score di Han Hong “che unisce tonalità rock a temi folkloristici creano un’atmosfera dinamica e contemporanea in una storia ambientata nella Cina del passato” (Maria Barbieri). Di più, è tutto un continuo agitarsi, puntarsi le lame alla gola, ferirsi e uccidersi – ove, “di sangue in sangue”, appare e scompare una verità più grande, avvolta in una rete di inganni che si modifica continuamente: un senso che si afferma e poi si smentisce. La grande trappola mutevole, che inghiotte e offusca i suoi stessi membri, sembra trasferire sul piano dell’azione cospirativa le antichissime regole dell’Arte della guerra di Sun Tzu. “Le questioni belliche seguono il Dao [la Via] dell'inganno. Perciò, se si è capaci bisogna mostrarsi incapaci, e se si è attivi bisogna mostrasi inattivi. Quando si è vicini bisogna dare l’impressione di essere ancora lontani, e quando si è lontani quella di essere già vicini. Si tenti il nemico facendolo sentire in vantaggio, e lo si schiacci fingendosi confusi” (traduzione di Riccardo Fracasso).
Full River Red sotto quest’aspetto è un film pirandelliano. La verità si nasconde in una ridda dove, per modo di dire, una pietra è un uccello che in realtà è una pietra che in realtà è un uccello, apparentemente all’infinito, ridefinendo di continuo essenza e motivazioni anche di quelli che sembrano i personaggi più semplici. Inutile osservare come l’inganno e l’ambiguità profonda siano una componente essenziale non solo del genere wuxia ma in particolare dei plot wuxia di Zhang Yimou, da Hero a Shadow: ognuno gioca il suo gioco; dov’è la verità?
La fotografia “notturna” del regular Zhao Xiaoding bagna i personaggi di una luce grigioazzurrina. All’amore per i colori caldi, da cui è partito il suo cinema, Zhang Yimou alterna opere basate sui colori freddi: basta ricordare il bellissimo Shadow (anch’esso fotografato da Zhao Xiaoding), malauguratamente poco visto in Italia. L’elemento di astrazione dell’inizio si stempera nel prosieguo mantenendo l’adeguamento tra scenografia e racconto (per un esempio affascinante di questa sintonia, pensiamo all'inizio de La Città Proibita). È vivificato dal ritmo frenetico che si gioca anche sull’impostazione pseudo-thriller e sul contrasto fra la recitazione realistica di Shen Teng e quella isterica di Jackson Yee. Nel loro scontro di caratteri risuona quell'alternanza di tragico e di comico che non è certo nuova nel cinema di Zhang. Da menzionare di nuovo il bellissimo commento musicale straniante, che arriva a sottolineare gesti ripetuti come un colpo in testa con il ventaglio a mo’ di rimprovero con un colpo di gong come nel teatro classico cinese.
Va aggiunto che in Occidente questo correre avanti e indietro di inganno in inganno apparirebbe come una metafora dell’assurdità della vita, mentre qui è visto come il dispiegarsi di un gigantesco piano sacrificale (alla fine muoiono tutti meno un testimone, come nell’Amleto). E lo scopo di questo piano gigantesco è la scoperta e la divulgazione di una poesia patriottica scritta da un generale giustiziato, che diventa eredità del popolo cinese. In un film basato sulla rivendicazione di un’opera d’arte – la poesia eponima di Yue Fei – per il suo messaggio patriottico, si farebbe torto a non riconoscerne l’analogia come opera d’arte a sfondo patriottico (il confucianesimo di Zhang Yimou, poi, era chiaro fin da La storia di Qiu Ju). Sempre nei suoi film storici e non il grande regista cinese esplora la complicata dialettica dell’ordine e della ribellione – nella tensione continua e impossibile verso l'armonia del Cielo e della Terra.

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