Zhang Yimou
Cina
del XII secolo: prima dell’incontro tra il delegato imperiale e
l’ambasciatore dei ribelli Jin quest'ultimo viene ucciso e la
lettera che portava con sé viene rubata. Un capitano e un caporale,
imparentati, sono incaricati di ritrovarla entro due ore. Se non ci
riusciranno verranno giustiziati, ma stante l’importanza della
lettera segreta è prevedibile che se la ritrovano saranno egualmente
uccisi; egualmente, tutti coloro che compaiono nel film in un modo o
nell’altro rischiano la vita.
Full
River Red di Zhang Yimou si apre con una corsa: in una fredda luce
notturna, soldati in armatura corrono fra due mura che formano un
corridoio a cielo aperto, inquadrati “a piombo” e seguiti in
carrellata orizzontale dall’alto, con un’interminabile
progressione artificiale interrotta regolarmente dalla comparsa di
gallerie coperte. E lo spettatore ingenuamente pensa che Zhang Yimou si sia
definitivamente arreso alla CGI; sembra un videogioco. Poi si va
avanti nel film, e ci si accorge che quello che sembrava un limite è
un punto di forza, quella che sembrava una debolezza tecnica è una
scelta stilistica. Zhang ha sempre usato nei suoi wuxia e period
pieces l’architettura in funzione simbolico-espressiva. Le corse
incessanti lungo i “corridoi” a cielo aperto che sono le mura
della fortezza entro la quale si svolge (quasi in tempo reale) il
film sono corse di topi in un labirinto; servono a rendere l'elemento
di insicurezza, incomprensibilità e costrizione che pesa sui
personaggi. C’è
un attivismo frenetico nel film, di cui sono simbolo le corse avanti
e indietro, sulle quali si sovrimprime con la potenza di un tuono la
geniale score di Han Hong “che unisce tonalità rock a temi
folkloristici creano un’atmosfera dinamica e contemporanea in una
storia ambientata nella Cina del passato” (Maria Barbieri). Di più,
è tutto un continuo agitarsi, puntarsi le lame alla gola, ferirsi e
uccidersi – ove, “di sangue in sangue”, appare e scompare una
verità più grande, avvolta in una rete di inganni che si modifica
continuamente: un senso che si afferma e poi si smentisce. La grande
trappola mutevole, che inghiotte e offusca i suoi stessi membri,
sembra trasferire sul piano dell’azione cospirativa le antichissime
regole dell’Arte della guerra di Sun Tzu. “Le questioni belliche
seguono il Dao [la Via] dell'inganno. Perciò, se si è capaci
bisogna mostrarsi incapaci, e se si è attivi bisogna mostrasi
inattivi. Quando si è vicini bisogna dare l’impressione di essere
ancora lontani, e quando si è lontani quella di essere già vicini.
Si tenti il nemico facendolo sentire in vantaggio, e lo si schiacci
fingendosi confusi” (traduzione di Riccardo Fracasso).
Full
River Red sotto quest’aspetto è un film pirandelliano. La verità
si nasconde in una ridda dove, per modo di dire, una pietra è un
uccello che in realtà è una pietra che in realtà è un uccello,
apparentemente all’infinito, ridefinendo di continuo essenza e
motivazioni anche di quelli che sembrano i personaggi più semplici.
Inutile osservare come l’inganno e l’ambiguità profonda siano
una componente essenziale non solo del genere wuxia ma in particolare
dei plot wuxia di Zhang Yimou, da Hero a Shadow: ognuno gioca il suo
gioco; dov’è la verità?
La
fotografia “notturna” del regular Zhao Xiaoding bagna i
personaggi di una luce grigioazzurrina. All’amore per i colori
caldi, da cui è partito il suo cinema, Zhang Yimou alterna opere
basate sui colori freddi: basta ricordare il bellissimo Shadow
(anch’esso fotografato da Zhao Xiaoding), malauguratamente poco visto in Italia. L’elemento di astrazione
dell’inizio si stempera nel prosieguo mantenendo l’adeguamento
tra scenografia e racconto (per un esempio affascinante di questa
sintonia, pensiamo all'inizio de La Città Proibita). È vivificato
dal ritmo frenetico che si gioca anche sull’impostazione
pseudo-thriller e sul contrasto fra la recitazione realistica di Shen
Teng e quella isterica di Jackson Yee. Nel loro scontro di caratteri
risuona quell'alternanza di tragico e di comico che non è certo
nuova nel cinema di Zhang. Da menzionare di nuovo il bellissimo
commento musicale straniante, che arriva a sottolineare gesti
ripetuti come un colpo in testa con il ventaglio a mo’ di
rimprovero con un colpo di gong come nel teatro classico cinese.
Va
aggiunto che in Occidente questo correre avanti e indietro di inganno
in inganno apparirebbe come una metafora dell’assurdità della
vita, mentre qui è visto come il dispiegarsi di un gigantesco piano
sacrificale (alla fine muoiono tutti meno un testimone, come
nell’Amleto). E lo scopo di questo piano gigantesco è la scoperta
e la divulgazione di una poesia patriottica scritta da un generale
giustiziato, che diventa eredità del popolo cinese. In un film
basato sulla rivendicazione di un’opera d’arte – la poesia eponima di
Yue Fei – per il suo messaggio patriottico, si farebbe torto a non
riconoscerne l’analogia come opera d’arte a sfondo patriottico
(il confucianesimo di Zhang Yimou, poi, era chiaro fin da La storia
di Qiu Ju). Sempre nei suoi film storici e non il grande regista
cinese esplora la complicata dialettica dell’ordine e della
ribellione – nella tensione continua e impossibile verso l'armonia
del Cielo e della Terra.
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