Watanabe Hirobumi si è letteralmente innamorato di Udine e dell’Italia – ma anche la Udine del FEFF 2020 si era innamorata di lui, con la bellissima personale che il FEFF gli ha dedicato, purtroppo online. Adesso però i Watanabe Bros., Hirobumi e Yoji, sono potuti venire, e al FEFF hanno fatto collezione di applausi. Naturalmente l’occasione è stata la presentazione degli ultimi film di Watanabe, uno come interprete e due come regista (e interprete, con Yuji). Ecco qualche riga sui tre film, dove salta subito all’occhio una grande novità nel cinema watanabiano: l’irruzione del colore.
Xavier
De Maistre, confinato per punizione per un duello, scrisse
il Viaggio intorno alla mia camera. Way
of Life è
un video-diario
dei tempi del Covid, in
cui Watanabe ci mostra se stesso confinato in
camera
durante
il lockdown. Sono addirittura ossessive queste immagini ricorrenti in
b/n che riprendono la camera sempre dallo stesso punto di vista –
con una fotografia che non ha l’eleganza di Bang Woohyun, il suo storico direttore della fotografia, anzi non si preoccupa neppure del controluce. E’ vero che i giapponesi
hanno un’altra concezione dello spazio rispetto a noi occidentali, ma ci
sentiamo terribilmente costretti in questa stanza con inquadratura
unica.
Per
passare il tempo Watanabe fa lunghe telefonate con Bang in Corea
(dice
che muore se non gira, ma non si può girare;
cerca di arruolarlo per futuri lavori ma Bang esita perché ha
bisogno di guadagnare nel lavoro; prendono in giro i governi
giapponese e coreano). Racconta
che avrebbe dovuto venire a Udine per la personale del 2020, poi
fatta online; e gli dispiace, perché gli hanno detto che è un bel
posto.
Soprattutto,
impossibilitato
a dirigere, Watanabe
disegnando tutto il giorno. E
i suoi disegni, che appende in camera come poster, sono bellissimi!
E’ tanto un inventare
quanto
un rifare motivi (riconosci
Van Gogh, il Doganiere Rousseau, Picasso, i disegni infantili, i
fumetti americani, e naturalmente
Basquiat)
con una verve e una bellezza che hanno del prodigioso. Su
questi disegni esplode, come una liberazione, il colore. In
pratica, con Way
of Life l’autore
organizza la propria personale
pittorica.
Se
Dio vuole, tutto finisce, e si torna a uscire. C’è una visita in
cimitero, con Watanabe e i suoi genitori, alla
tomba della
bisnonna.
La parte finale ci mostra Watanabe che gira con Yuji
e gli
altri interpreti Techno Brothers.
Come
si può non amare un film che spudoratamente si apre sulle note di
Also Sprach Zarathustra? e con lo stesso senso di gloriosa ascesa?
Con l’adorabile Techno Brothers Watanabe Hirobumi sviluppa
quell'elemento narrativo che emergeva in particolare in I’m Really
Good. Vale a dire che, pur continuando sulla linea del suo cinema, si
apre a nuovi tentativi e nuove esperienze – fra le quali c’è il
colore. A questo proposito è da segnalare, nella fotografia di
Watanabe Yuichiro, l’amore per il rosso, che spicca a macchie,
tanto da far pensare a Ozu.
Il
primo riferimento del film è ovviamente ai Blues Brothers, di cui i
Techno Brothers sono il rovesciamento parodistico: quelli in completo
nero, questi con camicia rossa e cravatta scura, ma allo stesso modo
impassibili e con occhiali neri (è un omaggio al gruppo tedesco Kraftwerk); e naturalmente la score di Watanabe Yuji mette al posto
del blues la musica techno. Sono, i Techno Brothers, Watanabe
Hirobumi e Watanabe Yuji – poi c’è un terzo, Kurosaki
Takanori, ma
muore di fame durante il film. Il secondo grande riferimento è a uno
dei registi del sancta sanctorum di Watanabe, Aki Kaurismäki.
Incrociando la classica impassibilità tanto watanabiana quanto
kaurismäkiana, Techno Brothers è l’ironica cronaca del “viaggio
della speranza” verso Tokyo di un trio (poi duo) di sfigati
suonatori di strada, muti, maltrattati, impassibili, sotto la ferula
di una durissima manager, una simil-Anna Wintour, che li reclamizza
come musicisti al livello di Bach e dei Beatles, ma li tratta come
Matti Pellonpää trattava
i Leningrad Cowboys
in
Leningrad
Cowboys Go America. Superba
la gag ricorrente di loro al ristorante, con lei che ordina da
mangiare a quattro palmenti per sé, e per gli altri solo un bicchier
d’acqua. Compare
anche Riko, presenza fissa del regista, nel ruolo di un misterioso mogul della musica, Boss Riko,
che li disprezza; e Watanabe Hirobumi si diletta di interpretare
vari personaggi differenti.
Il
plot, senza sorpresa, è anti-narrativo: si basa largamente
sulla frustrazione delle attese (come nel caso dell’amuleto su
carta, che in un film tradizionale rappresenterebbe un punto di
svolta, e qui si risolve in gag).
Anche l’unico vero
sviluppo (la fuga dei due) viene presto recuperato. C’è
molto di sospeso e di non
detto, e infatti il film si chiude con la promessa di un sequel.
Inutile aggiungere
che il finale è un omaggio a Otawara!
Your
Lovely Smile di Lim Kah Wai presenta il “nostro” Watanabe
Hirobumi nella parte di se stesso – o meglio, di un suo alter ego
sottilmente ironico, regista indipendente e produttore con la Foolish
Piggies, alla ricerca del successo: “La parte più difficile è il
finanziamento”, dice speranzoso a un possibile contributore, che
non risponde. Il fratello Yuji, all’inizio del film, a casa loro a
Otawara, gli dice, in sintesi, “Solo io porto soldi a casa, con le
lezioni di piano” (e la bambina con la mascherina che vediamo
suonare il piano è la piccola Riko). Sono allo stesso tempo buffe e commoventi le vanterie di “Watanabe” su
Amazon e Netflix, o l’episodio in cui va a lavorare in una serra
(la stessa che vediamo in Techno Brothers), arrivano i suoi genitori, e lui fa
finta di essere lì per documentazione.
Un'opportunità di realizzare un film, poi comicamente fallita, lo porta in giro per il Giappone da sud a nord,
cercando di far proiettare i suoi film in tutta una serie di cinema
d’essai. Gli incontri con i gestori sono tipicamente watanabiani –
ma qui, ecco che Your Lovely Smile cambia registro e diventa una sorta di di
“fiction documentaristica”,
perché quei cinema e quei gestori sono autentici, e questi incontri
(culminanti in interviste durante i titoli di coda) compongono
un quadro desolato dello stato disastroso dei
cinema d’essai in Giappone, fra
il declino delle sale e la mazzata della pandemia. Un’alta
dichiarazione d’amore, sul piano artistico e su quello emotivo, per
il cinema indipendente e i cinema d’essai – dove, se posso
permettermi un accenno personale, noi del gruppo del Visionario
ci riconosciamo come in uno specchio.
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