Todd Field
Chi
ama la musica classica, e non i trapper, non può che amare il
notevole Tár di Todd Field, interpretato da una grande Cate
Blanchett, che si è meritata la Coppa Volpi a Venezia e ora una
candidatura all’Oscar. Questo dramma psicologico su una direttrice
d'orchestra ci porta dentro la comprensione della musica attraverso
una domanda: che cosa significa dirigere un pezzo? Com’è che
Mahler o Beethoven escono dalla partitura e diventano vivi
nell’interpretazione? Su questo terreno il film è illuminante, a
piccoli tocchi, fra cui una magnifica micro-lezione su Bach che la
protagonista impartisce senza gentilezza a un odioso ragazzino
fanatico che rappresenta tutto l’orrore della cultura woke. Le
prove d’orchestra sono la continua ricerca della perfezione.
Delizioso il “Vergessen Sie Visconti, ok?” (“Dimenticatevi di
Visconti”) che Tár rivolge all’orchestra provando Mahler.
Parimenti Tár ci porta dentro la politica delle grandi orchestre,
terreno di scontro sia come gestione sia come motivi personali.
Arrogante
e geniale, dotata di un umorismo sarcastico, Lydia Tár è una
direttrice d’orchestra, lesbica e sposata con una donna che è il
primo violino nella sua orchestra a Berlino. Hanno una bambina, che
viene bullizzata a scuola e Tár risolve la questione con una gelida
minaccia alla bulla. Per l’acutezza delle sue opinioni, per il modo
vigoroso di esprimerle e anche per il carattere outspoken Tár fa
pensare a un altro genio femminile omosessuale, non immaginaria
questa: Camille Paglia.
Da
una posizione di fama mondiale, Tár cade rovinosamente, perdendo
anche la famiglia, quando viene accusata di essere una predatrice
sessuale e di avere stroncato la carriera a una musicista morta
suicida. Il film è un apologo sulla fragilità del potere nella
nostra epoca, che non dipende dalla posizione conquistata ma va
negoziato continuamente con i media. La caduta di Tár comincia con
un fake (un video preso con l’Iphone e artatamente rimontato) – e
poi su di lei si scatenano attivisti e metooiste. “Al giorno d’oggi
essere accusati significa essere colpevoli”, sentiamo nel film.
Certamente
Lydia Tár ha in sé un lato oscuro. Si spinge solo fino al
favoritismo nelle scelte (peraltro in sé oculate), o arriva alla
persecuzione? Imbroglia le carte per imporre nel concerto per
violoncello e orchestra di Elgar una violoncellista che le piace
(nella prima apparizione vediamo solo i suoi piedi scendere le scale,
risuonando ominously come le note iniziali della Quinta – e poi,
ellissi). Poi però si è studiata un concerto di lei in
videocassetta, e la ragazza è bravissima.
Fino
a che punto Tár abusi del suo potere, il film lo lascia alla
decisione dello spettatore, bilanciando imparzialmente l’autodifesa
di Tár e le accuse che la travolgono – non per opportunismo
(sarebbe stato più facile fare una sviolinata al MeToo) ma perché
il personaggio è tridimensionale. C’è un’ambiguità di fondo
negli esseri umani – e quindi nei personaggi artisticamente
riusciti – che rende difficile, e in arte affascinante, scrutarci
dentro e giudicare. Peraltro esiste anche il tema generale della non
coincidenza fra l’arte e la persona, che qui, sebbene non portato
in primo piano, rimane implicito. Quel ch’è certo è che questo
personaggio formidabile ci appare nel corso del film come un’adulta
in un mondo di bambocci.
Sotto
la narrazione corre una riflessione continua sul suono (reali o
immaginari quelli che sente a volte Tár?) all'interno della grande
esposizione sulla musica. C’è in Tár una capacità di messa in
scena elegante, di narrazione in piccoli episodi netti e pensosi, che
ricorda il cinema di altri tempi. Il racconto è libero, ellittico,
con sospensioni narrative e dettagli appena accennati (solo nella
parte finale diventa alquanto sbrigativo); questo è un film che
stabilisce le proprie regole e non fa compromessi – del resto Field
è stato allievo di Stanley Kubrick ai tempi del suo primo film –
un po’ come la sua protagonista. Nell’epoca del cinema
pappa-in-bocca per lo spettatore, Tár è un film profondamente
adulto.
1 commento:
Grazie.
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