Olivia Wilde
Quando
Don’t Worry Darling è inspiegabilmente approdato alla Mostra del
Cinema di Venezia, al festival non si sentiva discorrere tanto del
film quanto delle liti connesse, con la protagonista Florence Pugh e
la regista Olivia Wilde che non si parlavano, Shia LaBeouf che non è
chiaro se uscito o cacciato, e il giallo di un asserito sputo
dell'interprete Harry Styles verso il collega Chris Pine. Ma è
giusto, perché questo contorno gossip è più avvincente del film
stesso.
Don’t
Worry Darling si svolge in un’atmosfera anni Cinquanta in un
lussuoso villaggio nel deserto dove gli impiegati del “Progetto
Victory” e le loro mogli vivono una vita irreale, corrispondente al
concetto di felicità familiare che si ritrova nella pubblicità
dell’epoca; ed è una satira implicita della coeva “mistica della
femminilità”, con le donne occupate ad aspettare giulive il
ritorno del marito preparando l'arrosto. Ma ovviamente, come scopre
Alice (Florence Pugh), moglie di Jack (Harry Styles), c'è il verme
nella mela. Ne è simbolo e anticipazione (un raro bel tocco del
film) la citazione del cartone animato disneyano Skeleton Dance che
appare in televisione all'inizio.
Chris
Pine è Frank(enstein?), il creatore del progetto e boss di questo
mondo di impiegati felici; ove fa parte della costruzione irreale, ce
ne accorgiamo dopo, l'enorme quantità di alcool consumata da tutti
nel film. Ebbene, ai tempi del dottor Faust (attenzione, è
un’analogia, non uno spoiler) le anime si vendevano a miglior
prezzo. Adesso questi si accontentano di far carriera in ditta,
sbronzarsi e – come massimo della trasgressione – una festa con
un casto striptease di Dita von Teese, con questo cretino di Frank
che continua a berciare al microfono “How about that?!”
Naturalmente
anche questa è satira; ma quando la satira è così piatta e
telegrafata, perde di vista il suo obiettivo e quindi diventa una
cartuccia bagnata. E’ già un po’ meglio quella sulla vita
“rilassata” delle mogli.
In
sé Don’t Worry Darling è un modesto fanta-thriller, a metà tra
La fabbrica delle mogli e Total Recall, e infatti la mezzora finale
(quando il film letargico si dà una mossa) avrebbe quel minimo
d’interesse ch’è sempre connesso alle fughe e al car chasing, se
non portasse a una conclusione del tutto insoddisfacente. Lo
svolgimento è forzato e faticoso; tutto suona falso, e non perché
stiamo vedendo un film su una vita falsa ma per incapacità del
racconto di rendersi vivo e concreto. Mentre Florence Pugh cammina
sul sentiero percorso da una pletora di attrici prima di lei (“Non
sono pazza!”), il film non è capace di usare il suo materiale per
costruire una reale ambiguità e tensione. A renderlo irritante è
l'intellettualismo pretenzioso della regista Olivia Wilde, che mira
al film “raffinato” con poche idee, e nessuna nuova. Tra Florence
Pugh e il legnoso Harry Styles non c’è alchimia; ma lui piace
molto alle sue fan, e su questo si reggono le speranze commerciali
del film.
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