sabato 1 ottobre 2022

Don't Worry Darling

Olivia Wilde

Quando Don’t Worry Darling è inspiegabilmente approdato alla Mostra del Cinema di Venezia, al festival non si sentiva discorrere tanto del film quanto delle liti connesse, con la protagonista Florence Pugh e la regista Olivia Wilde che non si parlavano, Shia LaBeouf che non è chiaro se uscito o cacciato, e il giallo di un asserito sputo dell'interprete Harry Styles verso il collega Chris Pine. Ma è giusto, perché questo contorno gossip è più avvincente del film stesso.
Don’t Worry Darling si svolge in un’atmosfera anni Cinquanta in un lussuoso villaggio nel deserto dove gli impiegati del “Progetto Victory” e le loro mogli vivono una vita irreale, corrispondente al concetto di felicità familiare che si ritrova nella pubblicità dell’epoca; ed è una satira implicita della coeva “mistica della femminilità”, con le donne occupate ad aspettare giulive il ritorno del marito preparando l'arrosto. Ma ovviamente, come scopre Alice (Florence Pugh), moglie di Jack (Harry Styles), c'è il verme nella mela. Ne è simbolo e anticipazione (un raro bel tocco del film) la citazione del cartone animato disneyano Skeleton Dance che appare in televisione all'inizio.
Chris Pine è Frank(enstein?), il creatore del progetto e boss di questo mondo di impiegati felici; ove fa parte della costruzione irreale, ce ne accorgiamo dopo, l'enorme quantità di alcool consumata da tutti nel film. Ebbene, ai tempi del dottor Faust (attenzione, è un’analogia, non uno spoiler) le anime si vendevano a miglior prezzo. Adesso questi si accontentano di far carriera in ditta, sbronzarsi e – come massimo della trasgressione – una festa con un casto striptease di Dita von Teese, con questo cretino di Frank che continua a berciare al microfono “How about that?!”
Naturalmente anche questa è satira; ma quando la satira è così piatta e telegrafata, perde di vista il suo obiettivo e quindi diventa una cartuccia bagnata. E’ già un po’ meglio quella sulla vita “rilassata” delle mogli.
In sé Don’t Worry Darling è un modesto fanta-thriller, a metà tra La fabbrica delle mogli e Total Recall, e infatti la mezzora finale (quando il film letargico si dà una mossa) avrebbe quel minimo d’interesse ch’è sempre connesso alle fughe e al car chasing, se non portasse a una conclusione del tutto insoddisfacente. Lo svolgimento è forzato e faticoso; tutto suona falso, e non perché stiamo vedendo un film su una vita falsa ma per incapacità del racconto di rendersi vivo e concreto. Mentre Florence Pugh cammina sul sentiero percorso da una pletora di attrici prima di lei (“Non sono pazza!”), il film non è capace di usare il suo materiale per costruire una reale ambiguità e tensione. A renderlo irritante è l'intellettualismo pretenzioso della regista Olivia Wilde, che mira al film “raffinato” con poche idee, e nessuna nuova. Tra Florence Pugh e il legnoso Harry Styles non c’è alchimia; ma lui piace molto alle sue fan, e su questo si reggono le speranze commerciali del film.

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