Pupi Avati
Un
famoso dipinto del 1883 del preraffaellita Henry Holiday mostra Dante
che vede passare Beatrice in riva dell’Arno. E’ tutto pulizia,
ordine, lussuose vesti fluttuanti delle donne. Il poeta, col
copricapo dell’iconografia tradizionale, tiene la mano sul cuore;
lo immaginiamo nell’atto di declamare “Tanto gentile e tanto
onesta pare” subito dopo.
Sta
all’opposto il magnifico Dante di Pupi Avati, che toglie ogni
aspetto di celebrazione astratta e ci presenta un Dante giovane,
concreto e carnale, com’è tutto attorno a lui. Da sempre maestro
nella rievocazione storica, Avati ha girato un film audace, che
disintegra quell’effetto di “museo delle cere” che hanno di
solito i biopic, ma che allo stesso tempo non cade nella volgarità
contemporanea della demitizzazione.
Il
film presenta la vita di Dante, con preponderanza della giovinezza,
in flashback interlineati col racconto del viaggio che, dopo la morte
del poeta, il suo grande ammiratore e difensore Giovanni Boccaccio fa
per incontrare la figlia di Dante, suor Beatrice, a Ravenna, e
consegnarle un risarcimento da parte della città di Firenze (ma
soprattutto conoscerla come tramite con la figura del poeta
venerato). Un Boccaccio malinconico, con frusti abiti da viaggio,
malato di scabbia, le mani fasciate. Dante è un film materiale in
cui si mangia, si defeca, si fa sesso, si dorme nudi, si muore –
con il volto massacrato dalla guerra o deformato dalla malattia. E’
un mondo povero, affamato e crudele, in cui l’odio non ha riposo e
la guerra è spietata (l’episodio dei cadaveri portati in chiesa);
un mondo in cui la morte è sempre presente come costituente
dell’esistenza: è un momento memorabile quando Dante bambino bacia
la madre morta, secondo l’uso, e poi si pulisce la bocca (quei
gesti significativi di cui Avati ha il magistero). O ancora, sempre
connessi alla morte, la paura della bambina Violante quando le viene
regalata la “bambola nuziale” appartenuta a Beatrice, oppure la
scena impressionante della danza di Beatrice con le altre giovani
sotto i tuoni. Pupi Avati è un maestro dell’horror italiano, e di
questo recano splendida traccia alcune scene (la morta Beatrice che
allucinatoriamente volge il viso a guardare verso Dante durante un
suo rapporto carnale con una donna), ma sarebbe sbagliato leggere
tutto il suo film secondo quest’ottica. Piuttosto la sua
caratteristica va indicata nella carnalità.
Il giovane Dante è un ragazzo con cui si rinnova un tema ritornante nel cinema di Pupi Avati, quello dell'amore timido e impossibile – qui per ragioni di classe e ricchezza. Dopo una prima visione di Beatrice a nove anni, in accordo con la Vita nova, il loro secondo incontro con un semplice "Vi saluto" trasferisce il "Quand'ella altrui saluta" su un piano fortemente personale e reale. In tutto il film la poesia di Dante nasce dalla concretezza: Dante ascolta la storia di Paolo e Francesca a un bivacco di guerra; vuole incontrare la figlia del conte Ugolino per farsi raccontare i particolari della morte del padre; trova ispirazione nei mosaici di Ravenna alla luce dell'alba per i versi del Paradiso. E' con questa concretezza che vediamo il giovane Dante nudo sul letto recitare commosso ed emozionato "Tanto gentile e tanto onesta pare" – il che non esclude momenti lirici, come quando il sonetto è recitato da lui e dall'assente Beatrice a due voci, sul piano, molto presente nel film, della visione impossibile.
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